domenica 3 gennaio 2016

Esercizi per la canalolitiasi dx e sx

Eseguire questi esercizi solo dopo aver consultato il proprio medico !! 

CANALOLITIASI SINISTRA

-       Seduti di traverso al letto (1) passate rapidamente sul fianco sinistro ed aspettate che la vertigine termini.
-       Nel caso non si scatenasse alcuna vertigine rimanete nella posizione (2) per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (3) e mantenetela per 30 secondi o fino all'esaurimento della vertigine.
-       Passate rapidamente sul fianco destro (4); nel caso compaia vertigine attendete che termini; qualora non comparisse vertigine mantenete questa posizione per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (5).
-       Nel caso che in almeno una delle posizioni compaia vertigine ripetete la sequenza fino a quando nessuna delle posizioni provochi vertigine.
-       Ripetete questi esercizi ogni 3 ore.
-       Interrompete gli esercizi quando da due giorni non compare vertigine.

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CANALOLITIASI DESTRA

-       Seduti di traverso al letto (1) passate rapidamente sul fianco destro ed aspettate che la vertigine termini.
-       Nel caso non si scatenasse alcuna vertigine rimanete nella posizione (2) per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (3) e mantenetela per 30 secondi o fino all'esaurimento della vertigine.
-       Passate rapidamente sul fianco sinistro (4)
-       nel caso compaia vertigine attendete che termini
-       qualora non comparisse vertigine mantenete questa posizione per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (1).
-       Nel caso che in almeno una delle posizioni compaia vertigine ripetete la sequenza fino a quando nessuna
delle posizioni provochi vertigine.
-       Ripetete questi esercizi ogni 3 ore.
-       Interrompete gli esercizi quando da due giorni non compare vertigine.

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La Vertigine Parossistica Posizionale Benigna

La Vertigine Parossistica Posizionale Benigna rappresenta la forma di vertigine più frequente in assoluto e colpisce qualsiasi fascia d’età, dal bambino al novantenne, con un picco intorno ai 40-60 anni.

La Vertigine Parossistica Posizionale Benigna (VPPB) è caratterizzata da violente crisi di vertigine e, spesso, da instabilità. La vertigine è estremamente caratteristica poiché:

è di breve durata: dura circa 20-40 secondi, durante i quali il paziente vede muovere l’ambiente;
è parossistica: i sintomi aumentano gradualmente fino a raggiungere un picco, per poi ridursi fino a scomparire del tutto;
è posizionale: è scatenata solo dall’assunzione di alcune posizioni e movimenti come stendersi o alzarsi dal letto, girarsi su un fianco o sull’altro quando si è distesi, alzare o abbassare la testa, piegarsi in avanti;
è benigna: molto frequentemente (ma non sempre) si risolve spontaneamente nel giro di 7-15 giorni;
è associata ad un nistagmo specifico: il nistagmo è un movimento dei globi oculari, le cui caratteristiche consentono di stabilire qual è l’orecchio e qual è il canale semicircolare interessato dal disturbo.

Perché insorgono i sintomi?

I sintomi sono determinati dalla presenza, in uno o più canali semicircolari, di una quantità eccessiva di otoconi.
Nel soggetto normale, gli otoconi ricoprono le macule dell’utricolo e del sacculo, due strutture che contribuiscono al controllo dell’equilibrio e dalle quali gli otoconi stessi si distaccano fisiologicamente, penetrando in quantità controllate nei canali semicircolari.

Se il distacco è eccessivo, dalla macula dell’utricolo gli otoconi penetrano in uno o più canali semicircolari, all’interno dei quali formeranno una massa critica che potrà rimanere libera nel lume del canale, dando luogo alla canalolitiasi, o potrà aderire a una struttura gelatinosa definita cupola, dando luogo alla meno frequente cupololitiasi.

In ordine di frequenza, il posteriore è il canale semicircolare più interessato, seguito dal laterale e quindi dall’anteriore.

Il movimento degli otoconi nel canale, conseguente ai movimenti o alle posizioni scatenanti ricordati prima, sarà responsabile della vertigine. Contemporaneamente, la macula dell’utricolo, alleggerita eccessivamente dal distacco non fisiologico degli otoconi, non svolgerà correttamente la propria funzione e sarà pertanto responsabile dell’instabilità.

Quali sono le cause?

Numerose possono essere le cause responsabili dell’eccessivo distacco degli otoconi dalle macule:
un banale trauma cranico, sofferenza circolatoria, ipertensione, presenza di livelli elevati di colesterolo e trigliceridi, diabete, infezioni virali, malattie a carico dell’orecchio come otite cronica, otosclerosi, malattia di Menière, malattia autoimmune della tiroide, emicrania, ecc.
Purtroppo, nella maggior parte dei casi non è possibile riscontrare alcuna causa apparente e allora la VPPB è definita idiopatica.

Diagnosi

Un’attenta anamnesi è fondamentale per orientare la diagnosi.
Generalmente il paziente è molto preciso nel raccontare i suoi sintomi: riferirà, infatti, che la vertigine insorge a seguito di precisi movimenti e in particolari posizioni, che è molto violenta e altrettanto breve, e che si ripete ogni qualvolta ripete lo stesso movimento o assume la stessa posizione.

L’esame vestibolare e in particolare le manovre di posizionamento rapido di Dix-Hallpike, positiva se sono interessati i canali semicircolari posteriore ed anteriore, e di Pagnini-McClure, positiva se è interessato il canale semicircolare laterale, confermano il sospetto diagnostico.

Tali manovre hanno lo scopo di mobilizzare gli otoconi e di provocare la vertigine ed il tipico nistagmo, le cui caratteristiche consentono di stabilire in quale orecchio ed in quale canale semicircolare è presente l’ammasso di otoconi.
Confermata la diagnosi, sarà possibile passare alla terapia. Nei casi tipici, non è necessario eseguire alcun altra indagine.

La terapia

La VPPB è trattata sottoponendo il paziente a manovre liberatorie specifiche, il cui scopo è di allontanare, nel giro di pochi secondi, l’ammasso dal canale semicircolare interessato. Tra le più utilizzate ricordiamo la manovra di Epley, Semont, Gufoni, la posizione coatta di Vannucchi, ecc.

L’efficacia della manovra è confermata dall’immediata scomparsa dei sintomi: i movimenti e le posizioni scatenanti che fino a qualche minuto prima determinavano vertigine e nistagmo non provocheranno più alcun fastidio.

Dopo manovra liberatoria efficace può persistere instabilità, che scomparirà con il recupero della funzione della macula dell’utricolo: affinché questo avvenga, dovrà essere prodotta una quantità di otoconi tale da “riempire” il vuoto lasciato dagli otoconi distaccatisi in eccesso.

In caso di fallimento delle manovre liberatorie si ipotizza la presenza di un ammasso eccessivamente voluminoso che stenta pertanto a fuoriuscire dal canale o che l’ammasso stesso sia adeso alla cupola (cupololitiasi) e pertanto non mobilizzabile. 

In entrambi i casi, il paziente si sottoporrà per 7-10 giorni a particolari esercizi domiciliari (tecnica di dispersione di Brandt-Daroff) che hanno lo scopo di mobilizzare gli otoconi e di favorire quindi il buon esito delle successive manovre liberatorie.

Anamnesi attenta, esame vestibolare e manovre liberatorie correttamente condotti consentono di riconoscere, diagnosticare e trattare la forma più comune di vertigine nell'uomo.

(tratto da Medicitalia)



Le vertigini

La corretta sensazione di equilibrio è resa possibile da una serie di informazioni che derivano fondamentalmente da tre sistemi:
vestibolare;
visivo;
propriocettivo.

1. Il sistema vestibolare è costituito da:

una struttura periferica, il labirinto, localizzato nell’orecchio interno e costituito da tre canali semicircolari (anteriore, laterale e posteriore) e dalle macule del sacculo e dell’utricolo. I canali semicircolari sono sensibili alla rotazione (destra-sinistra) ed alla flesso-estensione del capo (alto-basso). Le macule sono sensibili alla forza di gravità ed alle accelerazioni sul piano verticale (come nell’ascensore) o orizzontale (come nel caso di una spinta da dietro);

varie strutture cerebrali (tronco encefalico, cervelletto, corteccia cerebrale) che formano le vie vestibolari centrali. Tali strutture hanno lo scopo di elaborare i segnali, di modularli ed integrarli con segnali provenienti dal sistema visivo e propriocettivo e di trasferirli alla corteccia cerebrale, dove daranno luogo alla percezione cosciente del nostro stato di equilibrio.

Tali complesse strutture svolgono due fondamentali funzioni:

stabilizzazione dello sguardo; ogni movimento del corpo e/o della testa determina una stimolazione del labirinto e quindi un riflesso compensatorio degli occhi che ha lo scopo di mantenere sempre stabile la visione: il riflesso vestibolo-oculomotore. Si tratta di un riflesso ad alto guadagno: ossia, se la testa ruota ad esempio ad una velocità di 50 gradi al secondo, gli occhi si muoveranno in senso contrario ad una velocità molto simile, diciamo 45 gradi al secondo;

stabilizzazione della postura; anche in questo caso, il movimento determina la stimolazione del labirinto e quindi la contrazione di precise catene muscolari indispensabili per il mantenimento dell’equilibrio e della posizione della testa sul collo: i riflessi vestibolo-spinale e vestibolo-collico.

2. Il sistema visivo svolge un ruolo fondamentale nell’esplorazione dello spazio e consente, grazie ai riflessi visuo-oculomotori, di:

spostare rapidamente lo sguardo allo scopo di visualizzare un oggetto che compare improvvisamente nel campo visivo: il movimento saccadico;

seguire un oggetto che si muova lentamente nel campo visivo, generando un  movimento oculare definito di inseguimento;

stabilizzare lo sguardo quando si osservano scene in movimento, come quando si guarda fuori dal finestrino viaggiando in auto o in treno: il riflesso otticocinetico.
 
3. Il sistema propriocettivo cervicale consente di:

stabilizzare il capo, grazie al riflesso cervico-collico;
stabilizzare lo sguardo, grazie al riflesso cervico-oculomotore. A differenza del riflesso vestibolo-oculomotore, il riflesso cervico-oculomotore nell’uomo ha un guadagno estremamente basso: ossia, se ruotiamo la testa con una velocità di 50 gradi al secondo, gli stimoli a partenza del collo determineranno un movimento oculare compensatorio di soli 3-5 gradi al secondo. Pertanto, in condizioni normali, la capacità di stabilizzazione dello sguardo ad opera delle strutture cervicali è estremamente ridotta.

Riassumendo, per un corretto equilibrio sono necessari riflessi per la:

stabilizzazione dello sguardo: sono implicati esclusivamente il riflesso vestibolo-oculomotore ed il riflesso otticocinetico; il riflesso cervico-oculomotore nell’uomo sano non gioca praticamente alcun ruolo;

stabilizzazione della postura: vestibolo-spinale, vestibolo-collico, cervico-collico;
variazione dello sguardo: movimenti saccadici e di inseguimento.

La vertigine è un sintomo determinato dalla impossibilità di mantenere lo sguardo stabile ed è definita oggettiva se il paziente “vede muovere (e non necessariamente girare) l’ambiente”, mentre è definita soggettiva se il paziente “si sente muovere o girare rispetto all’ambiente”.

Da cosa sono causate?

Qualsiasi patologia in grado di alterare i riflessi di stabilizzazione dello sguardo (vestibolo-oculomotore, ottico-cinetico e cervico-oculomotore) determinerà vertigine.
In realtà, poiché il peso maggiore fra tali riflessi è giocato dal riflesso vestibolo-oculomotore, soltanto una sofferenza a carico del sistema vestibolare periferico o centrale potrà determinare la comparsa di vertigine.
La contemporanea alterazione del riflesso vestibolo-spinale sarà responsabile dell’instabilità, spontanea o provocata dal movimento.
Da quanto appena ricordato, deriva che la vertigine di origine cervicale non esiste. Considerato infatti lo scarso guadagno del riflesso cervico-oculomotore, la sofferenza cervicale non potrà mai indurre una instabilità oculare tale da indurre vertigine, mentre è possibile che tale sofferenza possa alterare il riflesso cervico-collico con conseguente instabilità.
I disturbi della vista infine possono indurre instabilità ma, anche in questo caso, mai vertigine.

Le cause devono essere dunque ricercate in patologie vestibolari periferiche (labirintite, neurite vestibolare, malattia di Menière, fistola labirintica, vertigine parossistica posizionale benigna, ictus labirintico, deiscenza del canale semicircolare superiore, ecc), o centrali (emicrania, lesioni vascolari, insufficienza vertebro-basilare, malattie degenerative, epilessia, neoplasie).

Diagnosi

Il paziente deve sottoporsi il più precocemente possibile ad esame vestibolare e ad una serie di esami audiologici mirati alla ricerca di una eventuale patologia a carico delle strutture vestibolari periferiche e/o centrali.
In sintesi, i punti fondamentali di un corretto iter diagnostico sono i seguenti:
L'anamnesi. È di estrema importanza analizzare correttamente le caratteristiche della vertigine, l’epoca e la durata del primo episodio, le modalità di insorgenza, l’andamento temporale dei sintomi, la ricorrenza degli stessi, i fenomeni neurovegetativi di accompagnamento (nausea, vomito, sudorazione, pallore, sbadigli), gli eventuali sintomi uditivi associati (sensazione di sentire di meno, ovattamento auricolare, fischi, ronzii).

Lo studio della funzione vestibolo-oculomotoria e vestibolo-spinale. Prevede lo studio del nistagmo spontaneo-posizionale (nelle cinque posizioni canoniche); del nistagmo provocato da manovre cliniche (rotazione e flesso-estensione e del capo, manovre di Dix-Hallpike e di Pagnini-McClure, head shaking test); del nistagmo provocato da manovre strumentali (prove di stimolazione termica, prove roto-acceleratorie, test vibratorio); del nistagmo evocato da manovre oculari; il test di Halmagyi; la stabilometria statica e dinamica, i potenziali vestibolari miogenici (cervicali ed oculari) evocati da stimolo acustico.

Lo studio della funzione visuo-oculomotoria. Prevede lo studio dei movimenti saccadici, dei movimenti di inseguimento e del riflesso otticocinetico.

Lo studio della funzione uditiva. Si avvale, quando necessario, dell’audiometria tonale liminare, dell’esame impedenzometrico con lo studio dei riflessi stapediali, dei potenziali evocati precoci del tronco (ABR).

Trattamento

Stabilita la diagnosi, ed escluse patologie di interesse chirurgico o che richiedano l’intervento di altre figure specialistiche, il paziente viene sottoposto ad un trattamento farmacologico ma soprattutto riabilitativo personalizzato, da iniziare il più precocemente possibile.
L'approccio terapeutico è radicalmente cambiato negli ultimi anni grazie alle conoscenze sempre più approfondite del compenso vestibolare, ossia di quel complesso fenomeno spontaneo che consente al sistema nervoso centrale di riprogrammare il nostro sistema dell’equilibrio in presenza di una lesione a carico del sistema vestibolare.
Fino a qualche anno fa, infatti, il trattamento si basava essenzialmente sul concetto di soppressione del sintomo, con paziente costretto a letto ed invitato ad assumere farmaci sintomatici aventi lo scopo di ridurre la sensazione di vertigine.
Oggi è invece noto che l’immobilità e la soppressione del sintomo “vertigine” privano le strutture del sistema nervoso centrale di quel "conflitto di informazioni" assolutamente indispensabile per favorire l'instaurarsi del compenso vestibolare e della già ricordata riprogrammazione del sistema dell’equilibrio.
Si è passati dunque dalla vestibolo-soppressione farmacologica alla stimolazione fisica precoce, che si concretizza in una vera e propria riabilitazione vestibolare: il paziente con disturbi dell’equilibrio deve essere sottoposto ad un corretto e precocissimo trattamento riabilitativo mirato, al quale si associa, a seconda dei casi, la terapia farmacologia a base cortisonici, anticolinergici, antistaminici, antiemetici, osmotici, diuretici, farmaci per migliorare la circolazione, nootropi, benzodiazepine ecc.

La vertigine è un sintomo determinato da una sofferenza del sistema vestibolare periferico o centrale. La correttezza della diagnosi, la terapia farmacologica e soprattutto la riabilitazione vestibolare precoce garantiscono il raggiungimento di risultati eccellenti, che smentiscono in maniera categorica il luogo comune che  “dalla vertigine non si guarisce”.

(Tratto dal sito di: medicitalia)



giovedì 24 dicembre 2015

La vitamina D


Quando parliamo di vitamina D, ci riferiamo normalmente alla D2 e D3.
La vitamina D, conosciuta per la sua principale attività antirachitica è un nutriente liposolubile indispensabile per un corretto sviluppo dei tessuti ossei e per una funzione neuromuscolare ottimale.
La sua funzione fisiologica principale consiste nel promuovere l’assorbimento di calcio e fosforo attraverso la mucosa intestinale, rendendo possibile la calcificazione dello scheletro.
Oggi riconsiderata per nuove molteplici altre funzioni: Svolge un ruolo importante nell’assicurare un corretto funzionamento di muscoli, nervi, coagulazione sanguigna e utilizzo dell’energia, essendo un fattore essenziale per l’omeostasi minerale. Inoltre agisce come antiossidante, immunomodulatore e antinfiammatorio.
Per questo è utilizzata in diverse patologie e disturbi quali sclerosi multipla, cardiopatie, psoriasi, artrite reumatoide.

Studi recenti sembrano confermare che la maggior parte della popolazione non assume quantità adeguate di vitamina D attraverso la dieta e l’esposizione al sole. Sono infatti molto poche le fonti alimentari di vitamina D e la maggior quantità viene assimilata grazie ad alimenti arricchiti.
Una corretta integrazione sopperisce a tali carenze, contribuendo alla salute dell’organismo.

La ricerca suggerisce che la vitamina D possiede un ruolo attivo nella funzione immunitaria, la sintesi delle proteine, la funzione muscolare, la risposta infiammatoria, la crescita cellulare e svariate regolazioni a livello del muscolo scheletrico. Un sintomo comune di carenza di vitamina D è la debolezza muscolare.
Visti i molti ruoli essenziali della vitamina D nel corpo, è stato suggerito che le prestazione fisica può essere influenzata seriamente da un adeguata presenza di vitamina D, specialmente in quelli che sono clinicamente carenti.
La via autocrina sembra essere di estrema importanza e ha recentemente ricevuto molta attenzione per quanto riguarda la vitamina D e l’ influenza sulla funzione del muscolo scheletrico.

Vitamina D e salute delle ossa

La vitamina D agisce in due modi distinti all’interno del corpo, attraverso meccanismi  endocrini e autocrini. Il primo è il più noto, tale meccanismo agisce aumenta l’attività di assorbimento del calcio e osteoclasti intestinale. La vitamina D è essenziale per la crescita ossea, la densità e il rimodellamento, e senza adeguate quantità, si verifica facilmente perdita ossea e conseguenti lesioni.
Quando la vitamina D è bassa, l’ormone paratiroideo (PTH) aumenta l’attività di riassorbimento osseo al fine di soddisfare la domanda del corpo del fabbisogno di calcio. Quindi bassi livelli di vitamina D aumentano il turnover osseo, che amplifica il rischio di una lesione ossea, spesso definite fratture da stress.

Livelli raccomandati di assunzione per la vitamina D

L’esposizione della pelle al sole è la più abbondante fonte di vitamina D, inoltre ci sono alcune fonti alimentari interessanti.  Alcuni alimenti contengono naturalmente  livelli significativi di vitamina D, tra essi annoveriamo: salmone, pesce grasso, tuorli d’uovo,  inoltre esistono prodotti fortificati, come, latte, cereali e succo d’arancia. Anche se queste fonti alimentari possono apparire utili come fonte di vitamina D, purtroppo il processo di assorbimento dietetico è efficace solo per circa il 50%; pertanto, gran parte del valore nutritivo si perde nella digestione.
La mancanza di vitamina D nella dieta è un altro fattore che aumenta il rischio di insufficienza di vitamina D. La maggior parte degli esperti concordano sul fatto che una maggiore assunzione di vitamina D, attraverso fonti alimentari, raggi ultravioletti B (UVB) dell’esposizione al sole, e l’integrazione sono necessari per ottenere livelli ottimali di vitamina D nel siero.

The Endocrine Society
Al giorno UI
Limite max giorno UI
Bambini (0–18 years)
400–1000
2000–4000
Adulti (19–70 years)
1500–2000
10,000
Anziani (>70 years)
1500–2000
10,000

La carenza di vitamina D è spesso definita come <20 ng/mL (50 nmol/L),
l’insufficienza  come 20-32 ng/mL (50-80 nmol/L),
livelli ottimali sono> 40 ng/ml (100 nmol/L).
Il termine insufficienza “sembra essere il termine attualmente preferito per i livelli di carenza di concentrazione teorica nel siero non sufficiente a proteggere contro svariate malattie croniche”.

Quando i livelli sierici di vitamina D sono maggiori di 32 ng/ml, l’ormone paratiroideo (PTH) mantiene livelli stabili e si ridurre il rischio di ipoparatiroidismo secondario, comunemente associato con bassi livelli di vitamina D. Inoltre, l’assorbimento di calcio intestinale migliora, riducendo il rischio di malattia ossee secondarie.
A livelli maggiori di 40 ng/ml, la vitamina D comincia ad essere immagazzinata nel muscolo e grasso.

Si stima che il corpo richiede 3000-5000 UI di vitamina D al giorno per soddisfare le esigenze di “essenzialmente in ogni tessuto e cellula del corpo”.

I principali esperti sostengono che anche con una dose giornaliera di 10.000 UI ci vorrebbero mesi, o anche anni per manifestare sintomi di tossicità.
Una recente pubblicazione non ha trovato casi di tossicità con dosi giornaliere di 30.000 UI al giorno per un periodo di tempo molto esteso.
Indipendentemente dal valore di assunzione alimentare, la quantità di vitamina D prodotta da 15 minuti di esposizione al sole senza protezione è di 10.000 a 20.000 UI, in un individuo di pelle chiara, ecco perché per la maggior parte degli esperti ritengono  che la tossicità è un evento raro ed improbabile.

Durante i mesi che i raggi UVB sono disponibili dal sole, cinque a 15 minuti di esposizione al sole senza protezione, tra le ore 10:00 e 03:00 sembra fornire adeguate quantità di vitamina D.

Non sono mai stati segnalati casi di tossicità da vitamina D da esposizione al sole; tuttavia, i sintomi di intossicazione, come ipercalcemia, sono stati osservati durante livelli 25 (OH) D superiori a 150 ng/mL.


Vitamina D e morbo di Crohn

Numerose evidenze scientifiche, infatti, hanno individuato un’associazione tra carenza di vitamina D e sviluppo del morbo di Crohn.
In un piccolo studio di 24 settimane di assunzione di 5.000 u.i. di vitamina D, ha mostrato di aumentare effettivamente i livelli di vitamina D, riducendo il punteggio di CDAI, suggerendo che il ripristino dei livelli di vitamina D possa essere utile per il controllo di questa patologia.

Vitamina D e depressione

Sembra infatti che la vitamina D sia importante per la salute cerebrale e possa essere coinvolta nella patogenesi o nella prevenzione della depressione.
Precedenti studi avevano mostrato che i soggetti affetti da depressione sono a rischio di carenza di vitamina D, sia per la tendenza a non uscire spesso di casa (l’organismo produce la vitamina D autonomamente quando esposto alla luce solare), sia perché generalmente non praticano attività fisica.
Altri dati indicano che questa vitamina aumenta i livelli di serotonina, il neurotrasmettitore su cui gli antidepressivi agiscono.
Una meta-analisi di tutti gli studi ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo nella depressione grazie alla supplementazione di vitamina D.



martedì 22 dicembre 2015

Ruolo della serotonina nell’interazione tra microbiota e sistema nervoso centrale

Nell’intestino, oltre alla mera funzione digestiva, avviene la produzione di serotonina, neurotrasmettitore in grado di darci la felicità. Ed in che modo un’alterazione del microbiota può intervenire sull’umore?  

Dal punto di vista biochimico gli episodi depressivi vengono interpretati come un’alterazione della concentrazione della serotonina, chiamata anche ormone del buonumore.
La serotonina instaura una sensazione di serenità e benessere globale ed un suo difetto provoca aggressività ed ansia.
Controlla l’appetito facendo percepire il senso di sazietà attraverso una riduzione del desiderio di carboidrati a favore dell’introduzione di proteine.
Il precursore della serotonina è l’amminoacido triptofano, da cui attraverso l’enzima triptofano idrossilasi viene sintetizzata; ed a sua volta la serotonina è un precursore della melatonina, una molecola che ha la funzione di regolare i ritmi circadiani; ovvero i cicli veglia sonno e gli ormoni ad essi correlati.

Contenuta in concentrazione maggiore in tre distretti corporei

A livello della parete intestinale abbiamo le cellule cromaffini che contengono il 95% della serotonina totale dell’organismo.  Se presente in difetto determina stitichezza, un eccesso invece determina diarrea.

Nel sangue e più precisamente nelle piastrine, dove viene rilasciata in seguito a danno tissutale per favorire l’aggregazione;  inoltre esplica un’azione vasocostrittice diminuendo il rischio di emorragia a seguito di una lesione.

Nel sistema nervoso centrale dov’è un neurotrasmettitore.
Viene rilasciata a livello del sistema nervoso centrale dal neurone, e  più precisamente dal terminale assonico per interagire con i recettori postsinaptici, l’eccesso di serotonina viene riassorbito dal terminale presinaptico, oppure degradata dalle monoamminossidasi (MAO).

Analisi

Un gruppo di scienziati ipotizzano una connessione fra osso, cervello ed intestino, dove la serotonina rappresenta l’anello di congiunzione. Esistono due tipi di enzimi triptofano idrossilasi (Tph1 e Tph2), il primo promuove la sintesi di serotonina a livello delle cellule cromaffini, il secondo nel cervello. La serotonina rilasciata nell’intestino stimola, in parte, la peristalsi, ed una parte entra nel torrente circolatorio dove è trasportata dalle piastrine attraverso il trasportatore 5-idrossitriptamina (5HTT); da cui viene rilasciata in situazioni dove serva attivare il meccanismo della coagulazione.

In presenza di disbiosi si sviluppa un’alterazione della serotonina prodotta a livello intestinale e perciò in maniera del tutto teorica, per il momento, si prospetta una probabile correlazione tra disbiosi, depressione e disturbo bipolare.
Anche se, anche a livello statistico, si è già trovata un’elevata incidenza di fenomeni depressivi in individui con patologie infiammatorie intestinali.

Questo significa che abbiamo la presenza di due rafforzativi: alterazioni di membrana alterano il trasporto della serotonina verso il SNC, favorendo un’infiammazione causata dalla presenza di serotonina libera, e la presenza di infiammazione intestinale riduce la produzione di serotonina a livello enterico. Inoltre la disbiosi può incrementare sia diminuire la peristalsi intestinale come effetto diretto sull’intestino, due condizioni gestite dal sistema simpatico e parasimatico regolando il metabolismo cellulare dell’organismo. In caso di costipazione se il tono simpatico aumenta si rallenta la digestione e l’assorbimento aumenta, perché a livello capillare la noradrenlina ha un effetto vasodilatatore e non costrittore; e causando iperlipogenesi e iperglicemia plasmatica induce glicolisi e lipolisi metabolica per produrre energia. L’opposto in caso di diarrea quando il tono vagale aumenta.





venerdì 11 dicembre 2015

La colite microscopica

Il termine colite microscopica comprende due entità cliniche con sintomi in comune ma caratteristiche istologiche differenti e ben definite: la colite linfocitica e la colite collagenosica.
E' una malattia identificata recentemente, nel 1976 da C. G. Lindstrom che fu il primo a descriverla. Si presenta tipicamente con diarrea cronica, spesso associata a dolore addominale e perdita di peso.
La mucosa del colon osservata in corso di colonscopia appare tuttavia normale mentre l'esame istologico eseguito su biopsie di mucosa colica permette di confermare la diagnosi e distinguere le due entità che in alcuni casi possono coesistere. E' fondamentale eseguire biopsie in tutti i tratti intestinali esaminati secondo un preciso protocollo.
Non è una malattia rara: riguarda il 4-13% dei pazienti indagati per diarrea cronica.
La prevalenza nella popolazione generale è invece di circa 100 casi su 100.000 individui con una prevalenza di colite linfocitica rispetto alla collagenosica.
Sono numeri simili a quelli relativi alle malattie infiammatorie croniche intestinali ovvero colite ulcerosa e malattia di Crohn.
In Europa e negli USA le due forme istologiche sono entrambe  rappresentate.
Esiste una maggiore incidenza in alcune aree geografiche, in particolare il Nord Europa ed alcune aree degli Stati Uniti mentre i paesi del Sud Europa sono considerati a bassa incidenza.
La malattia è più comunemente identificata tra i 50 ed il 70 anni soprattutto nelle donna in rapporto di 3 a 1 rispetto all' uomo.

Sono considerati fattori di rischio l'età avanzata, il sesso femminile, la presenza di malattie autoimmuni quali ad esempio la tiroidite o la celiachia e una precedente diagnosi di neoplasia o un trapianto.
L'associazione con la celiachia appare particolarmente significativa.
Fattori ambientali o genetici sono stati considerati e in effetti nel 12% dei casi vi è familiarità per malattia infiammatoria intestinale o celiachia.
Una causa infettiva è stata ipotizzata, in particolare la colite da Yersinia, da Clostridium difficile o da Campylobacter potrebbe essere un fattore scatenante soprattutto della colite collagenosica.
L'assunzione di alcuni farmaci, in particolare gli antinfiammatori non stroidei, gli inibitori di pompa protonica, l' acarbosio, l'aspirina, la carbamazepina,la ranitidina, la sertalina, la ticlopidina e i beta bloccanti sono stati considerati come farmaci "a rischio".
Il fumo infine sembrerebbe in qualche modo associato alla malattia.

Sintomi

Il sintomo più comune e presente nel 98% dei pazienti è la diarrea, mentre il dolore addominale si osserva in un quarto di casi ed il calo di peso nel 10%.
Meno comuni l'incontinenza fecale ed il sanguinamento rettale.
I sintomi quindi sono in buona parte comuni a quelli della sintome dell' intestino irritabile rendendo la diagnosi non sempre agevole.
L'aspetto della mucosa intestinale all'esame endoscopico, che abitualmente è normale, può essere patologico nel 30% dei casi e si possono osservare edema, eritema ed aumento del reticolo venoso.
Il decorso clinico è variabile, la scomparsa della diarrea si ottiene nel 50% dei pazienti sottoposti a terapia steroidea. Si considera in remissione un paziente con meno di tre evacuazioni giornaliere o meno di un episodio di diarrea quotidiano.

Terapie

La terapia prevede l'utilizzo di antidiarroici ed antinfiammatori ed in particolare gli steroidi per via orale.
Il farmaco di scelta è infatti la budesonide: la risposta è elevata con un alto numero di recidive tuttavia alla sospensione della terapia.
E' consigliabile assumere la terapia a dosaggio pieno per alcune settimane fino a remissione completa e successivamente ridurre gradualmente le dosi. In caso di recidiva la terapia va ripresa fino ad essere assunta in alcuni casi a tempo indeterminato.
Le terapie efficaci comprendono la budesonide per via orale,la dieta priva di glutine,la mesalazina associata eventualmente a colestiramina, i farmaci immunosoppressori in casi selezionati, mentre il ruolo dei probiotici, del prednisolone dell'estratto di Boswellia serrata e del salicilato di bismuto è ancora da definire.
Nelle forme lievi la loperamide può essere utilizzata ed è meno gravata da effetti collaterali, rispetto alla budesonide.
Si tratta quindi di una malattia verosimilmente autoimmune in passato considerata rara ma oggi sempre più diagnosticata soprattutto nei pazienti con diarrea cronica non giustificata da altre patologie.
La prognosi è buona ed il rapporto con le malattie infiammatorie e con il cancro colorettale non certo.
Appare quindi evidente come, nell'iter diagnostico di una diarrea cronica, sia fondamentaleeseguire una colonscopia con biopsie qualora non si sia raggiunta la diagnosi con altri mezzi, unico modo per identificare e trattare adeguatamente questa condizione.
Non sono pochi i pazienti nei quali la diagnosi viene posta dopo anni di sintomi riferiti a colon irritabile nel quali una corretta terapia permette di eliminare un sintomo che condiziona pesantemente la qualità della vita quale è la diarrea.





domenica 6 dicembre 2015

Ruolo del S-IGA nell'intestino

Il SIgA ( Secretory Immunoglobulin A), del quale sta emergendo sempre di più l’importanza per un buon funzionamento del sistema immunitario, viene ancora raramente misurato; si misura in genere solo l’IgA, la cui importanza è ben nota, ma può benissimo accadere che la misurazione dell’IgA dia valori normali mentre quella del SIgA risulta bassa. E’ importante misurare anche il SIgA perché se risulta carente (la sua concentrazione tende a diminuire con l’età) vi sono varie possibili misure per potenziarlo, con effetto positivo sia per allergie ed intolleranze alimentari che per infiammazioni e suscettibilità alle infezioni.
Il SIgA è l’immunoglobulina principale che si trova nel muco, nella saliva, lacrime, fluido vaginale e nelle secrezioni delle pareti intestinali e polmonari. E’ resistente alla degradazione da parte di enzimi vari ed è la nostra prima linea di difesa e protezione contro microbi, candida ed agenti patogeni e tossici vari. Le cellule intestinali producono circa 2-3 grammi di SIgA al giorno; la produzione raggiunge il vertice durante l’infanzia e comincia a declinare dopo i 60 anni.
Molti pensano che la parete mucosa si trovi solo nel naso e seni nasali, ma in realtà la mucosa con la superficie di gran lunga più estesa si trova nell’intestino, dove costituisce la nostra prima linea di difesa contro batteri, funghi, virus, tossine varie, e contro proteine alimentari che, superando questo rivestimento e penetrando nel sangue, provocherebbero reazioni di allergie ed intolleranze alimentari. In termini semplici: gli anticorpi SIgA si “appiccicano” a microrganismi, proteine alimentari e carcinogeni , li intrappolano nel muco ed impediscono loro di andare altrove; questi invasori vengono invece “scortati” fuori dall’organismo con le feci.
Molte persone hanno dei livelli di SIgA carenti, e ciò le rende più vulnerabili verso allergie, intolleranze alimentari, eczemi ed infezioni. Constato spesso che le persone che non riescono a sbarazzarsi della candida hanno livelli di SIgA bassi, come pure le persone che soffrono di morbo di Crohn colite ulcerativa, morbo celiaco, autismo, asma, infezioni croniche e ricorrenti del tratto respiratorio e varie malattie autoimmuni.
Se i livelli bassi di SIgA si prolungano per molto tempo allora anche le ghiandole surrenali, che cercano di mettere riparo al danno provocato da questa carenza, si stancano ed indeboliscono e quindi spesso i test dimostrano sia bassi livelli di SIgA che scarsa funzionalità delle surrenali.
Il livello di SIgA può essere misurato con un test fatto con un campione di saliva o feci. 
Se i risultati sono più alti del normale ciò indica che vi è qualche infezione o infiammazione in corso nell’organismo, che sta cercando di combattere questo problema aumentando la produzione di SIgA.
Se invece i valori del SIgA sono più bassi del normale è bene cercare di farli aumentare, e per fortuna vi sono vari modi per farlo. I modi più efficaci variano da persona a persona, ma sono basati in genere su vari tipi di probiotici, sul beta glucano ed altre sostanze.
Se si riesce a far aumentare i livelli di SIgA, anche se non sempre si ottiene la soluzione completa del problema di salute (possono essere presenti vari altri fattori negativi da individuare ed affrontare), si ottiene tuttavia spesso un miglioramento.