lunedì 28 aprile 2014

La vitamina D

Alterazione dei livelli di vitamina D nell’organismo

La concentrazione di vitamina D a livello plasmatico può essere influenzata da numerosi fattori; i più importanti sono la stagione (nella stagione estiva si ha una produzione maggiore di vitamina D che ne permette un accumulo per i periodi meno soleggiati), il tempo di esposizione alla luce solare, la razza (i soggetti con la pelle scura, a parità di esposizione solare, raggiungono livelli ematici inferiori di vitamina D), le quantità assorbite tramite il regime alimentare e/o tramite un’eventuale integrazione.

I sottoindicati intervalli di riferimento definiscono i livelli di presenza di vitamina D a livello plasmatico, in base a tali intervalli si definiscono livelli di deficienza, insufficienza, sufficienza e tossicità:

deficienza: <10 ng/mL (0 – 25 nmol/L)
insufficienza: 10 – 30 ng/mL (25 – 75 nmol/L)
sufficienza: 30 – 100 ng/mL (75 – 250 nmol/L)
tossicità:  >100 ng/mL (> 250 nmol/L).

La presenza di valori superiori alla norma è un evento abbastanza raro; è infatti alquanto improbabile che si assumano quantità in eccesso di vitamina D con la dieta dal momento che gli alimenti che la contengono in quantità apprezzabili non sono poi molto numerosi; non sono noti poi casi di ipervitaminosi D provocati da un eccesso di esposizione alla luce solare. Sono invece possibili casi di sovradosaggio o intossicazione dovuti o all’assunzione eccessiva di calciferolo per scopi terapeutici oppure per abuso di integratori alimentari.
Attualmente si considera che il limite superiore giornaliero tollerabile di vitamina D per un adulto sia di 2.000 UI (anche se alcune fonti si spingono fino a 5.000 UI).
L’ipervitaminosi D provoca un aumento dell’assorbimento di calcio da parte dell’intestino e un innalzamento del riassorbimento di calcio da parte delle ossa. Le conseguenze vanno dalle sensazioni di nausea, al vomito, alla diarrea; possono poi verificarsi ipercalcemia e ipercalciuria, nefrocalcinosi, cardiocalcinosi, timpanocalcinosi ecc.
Più frequenti sono invece i casi di deficienza o quantomeno insufficienza dei livelli plasmatici di vitamina D. 

Quale che sia la sua origine (sintetizzata grazie ai raggi del sole o assunta con la dieta e/o integratori), il nostro metabolismo converte la vitamina D in due forme:
1)      il calcidiolo (o 25-idrossi-colecalciferolo, o 25(OH)D) è prodotto a partire dalla vitamina D nel fegato, ed è la forma in cui il nostro organismo la tiene in serbo come scorta; quindi per valutare eventuali carenze, questo è l'esame da fare;
2)      il calcitriolo (o 1,25-diidrossi-colecalciferolo, o 1,25(OH)D) è la forma attiva, prodotta a partire dal calcidiolo nei reni e anche in altri organi: si tratta del più potente ormone steroideo nel nostro corpo, capace di modulare l'espressione di oltre 2700 geni a livello del DNA di ciascuna cellula, ma ha una vita media di poche ore e non è, quindi, significativo misurarne i livelli nel sangue per determinare eventuali stati di carenza da vitamina D.

Per quanto riguarda la tossicità della vitamina D, il corpo ha un meccanismo automatico di regolazione della sintesi solare, per cui in mancanza di integrazioni alimentari, non si presentano mai i sintomi di tossicità; essi sono stati osservati solo in persone che assumevano integratori quotidiani per oltre 40.000 IU (1.000 μg).

Come ottenere la vitamina D

Ci sono solo due vie affidabili:

-          esposizione ai raggi ultravioletti più corti (UVB);
-          integratori di vitamina D3.

I pochi cibi che contengono vitamina D non ne contengono a sufficienza per essere considerati come fonte affidabile, dunque rimangono solo l'esposizione agli UVB e l'integrazione di D3.

L'esposizione agli UVB solari richiede che il sole sia alto più di 45° dall'orizzonte, e ciò può essere valutato con una prova semplice: se, stando in piedi su una superficie piana, la propria ombra è più corta della propria altezza, allora la produzione di vitamina D può avere luogo!
In questo modo si verificano semplicemente ed automaticamente tre dei molti fattori che influenzano la sintesi solare della vitamina D: latitudine, stagione e orario di esposizione; più è alto il sole, comunque, più la produzione è efficiente, quindi sono sempre da preferire le ore centrali della giornata, e senza creme solari (che, a partire dal fattore SPF 8, bloccano almeno il 95% dei raggi ultravioletti).

Il fototipo (colore) della pelle di un individuo, determinato dal contenuto di melanina, influenza l'efficienza della produzione di vitamina D; gli individui di fototipo più chiaro (tra I e III) sono i più veloci, mentre i più scuri (tra V e VI) ci mettono anche 6 volte di più.
Anche la quantità di pelle esposta influenza la produzione, ovviamente; almeno il 40% della pelle dovrebbe essere esposta per avere una produzione ottimale, e la pelle del tronco è più efficiente mentre in periferia diventa sempre meno efficiente (mani, faccia e piedi producono molto poco).
L'età dell'individuo ha pure effetto sulla produzione di vitamina D: sopra i 60 e sotto i 20 anni di età la produzione può richiedere un tempo anche 4 volte superiore.
Altri fattori ambientali influenzano la produzione di vitamina D: l'altitudine (in montagna l'atmosfera filtra meno raggi UVB rispetto alla spiaggia, quindi la produzione è più efficiente), la presenza di nuvole (riflettono molti UVB indietro nello spazio), l'inquinamento (il particolato fine sospeso nell'atmosfera può sia assorbire che riflettere gli UVB), i vetri (bloccano tutti gli UVB).

Riassumendo: il fototipo I con il sole abbastanza alto, senza filtri solari e in costume da bagno, produce circa 15.000 UI di vitamina D in 15-20 minuti; gli altri fototipi avranno bisogno di più tempo, ma è comunque sempre garantito che si riesca a produrre tutta la vitamina D di cui c'è bisogno molto prima di scottarsi: in generale basta circa la metà del tempo necessario alla comparsa del primo arrossamento.

Anche i solarium, normalmente utilizzati per l'abbronzatura artificiale a fini solamente estetici, possono essere utili per stimolare la produzione di vitamina D, a patto che sia possibile utilizzare lampade dotate di una buona percentuale di UVB, e che li si usi con cautela; come già detto, non è necessario arrivare a scottarsi per produrre tutta la vitamina D di cui c'è bisogno.

Tabella riassuntiva sintesi vitamina D dal Sole

Nella colonna orizzontale si trovano la media settimanale in ore di esposizione al sole, con i minuti necessari ogni giorno per arrivarci.
Nella colonna verticale si trova la percentuale di corpo esposta al sole, senza creme, necessaria per produrre vitamina D.

I valori ottenuti (ng/ml) sono la proiezione teorica dei livelli di vitamina D nel sangue che si possono ottenere esponendosi al sole per i minuti indicati nella tabella.

In grassetto i valori considerati buoni.
In giallo i valori più facilmente ottenibili senza scottarsi.

Ore sett./
%corpo esposto
0
(0”)
1
(8.5”)
2
(17”)
3
(26”)
4
(35”)
5
(43”)
6
(52”)
7
(1h)
8
(1h,08”)
9
(1h,18”)
10
(1h,25”)
0%
15
15
15
15
15
15
15
15
15
15
15
10%
15
18
21
23
24
26
28
31
33
36
38
30%
15
23
28
36
43
49
56
62
68
74
80
50%
15
26
38
49
60
70
80
89
98
107
116
70%
15
31
47
62
76
89
102
115
127
139
141
80%
15
33
51
68
83
98
113
127
141
141
141
100%
15
38
60
80
98
116
134
141
141
141
141

Percentuale del corpo esposta
10%
Maniche lunghe
Pantaloni lunghi
30%
Maniche corte
Pantaloni lunghi
50%
Maniche corte
Pantaloni corti
70%
Pantaloni corti
Parte superiore bikini
80%
Bikini
100%
Senza abiti


Mesi e orario in cui è possibile sintetizzare vitamina D dall’esposizione solare:

Italia del nord e Svizzera (45° N):
  • aprile: dalle 11:00 alle 15:20;
  • maggio: dalle 10:20 alle 16:00;
  • giugno: dalle 10:00 alle 16:20;
  • luglio: dalle 10:10 alle 16:20;
  • agosto: dalle 10:50 alle 15:50;
  • settembre: dalle 12:00 alle 14:10.

Verifica dei propri livelli di vitamina D

Siccome il corpo è in grado di conservare e riciclare la vitamina D, ognuno dovrà verificare durante l'inverno i livelli plasmatici di calcidiolo (anche detto idrossicolecalciferolo, 25-idrossi-D, o 25(OH)D) per poi procedere all'eventuale integrazione. Siccome l'esposizione solare, ma anche l'utilizzo di integratori alimentari o di lettini solari sono scelte soggettive relative allo stile di vita individuale, può essere utile seguire una strategia di test per la vitamina D, almeno per il primo anno, in modo da introdurre le necessarie modifiche allo stile di vita entro l'anno successivo.

Il mese migliore per eseguire il primo test è ottobre, per verificare se si è preso il sole a sufficienza durante l'estate; il risultato del test deve cadere nel seguente intervallo, secondo le diverse organizzazioni che conducono la ricerca scientifica in questo campo:
da 50 a 80 ng/ml (o da 125 a 200 nmol/l) secondo VitaminDCouncil;
da 40 a 60 ng/ml (o da 100 a 150 nmol/l) secondo GrassrootsHealth.
Se non si raggiungono questi livelli, allora è opportuno iniziare subito l'integrazione di vitamina D.

Qualora l'integrazione di vitamina D attraverso l'esposizione agli UVB nei solarium risultasse non praticabile per una qualunque ragione, rimane la possibilità di utilizzare integratori di vitamina D3, a dosi di:
da 1000 a 3000 IU al giorno secondo GrassrootsHealth;
almeno 5000 IU al giorno secondo VitaminDCouncil.
Queste dosi non sono chiare e certe, perché valgono sempre questi fatti fondamentali:
il nostro corpo non incorre nel rischio di raggiungere livelli tossici di vitamina D solo quando essa è sintetizzata nella pelle (sia al sole che nei solarium); la risposta individuale all'integrazione di vitamina D per via orale è enormemente variabile, ed è quindi impossibile, allo stato attuale, individuare una esatta correlazione tra dose orale di vitamina D3 e livello ematico di calcidiolo; l'importante è ottenere i livelli ematici di calcidiolo sopra indicati: l'esatta dose di integrazione necessaria andrà stabilita, su base individuale, ripetendo il test ematico.




giovedì 24 aprile 2014

Le radiazioni solari

Il sole è fonte di gioia e benessere. La sua luce e il suo calore consentono la vita sulla Terra.
Ma il sole può anche provocare danni: i suoi raggi UV mettono in pericolo la nostra salute.
Il calore emanato dal sole lo possiamo sentire, i suoi raggi visibili (luce) li possiamo vedere,
ma proprio i pericolosi raggi ultravioletti non li possiamo né sentire né vedere. Oggi li possiamo però misurare!

Le radiazioni solari sono costituite da diversi tipi di radiazioni: raggi infrarossi o termici, raggi visibili e raggi ultravioletti (UV).

Rappresentazione dell'indice UV

L’indice UV viene rappresentato con una cifra e un pittogramma. La cifra indica il valore dell’indice UV, ossia l’intensità della radiazione UV. Il pittogramma a destra del numero illustra il comportamento da adottare in presenza di questo valore. Più alto è l’indice UV, maggiore dovrà essere la protezione.

Tipi di cute

L’effetto dannoso della radiazione UV non dipende soltanto dalla dose ricevuta, ma anche dalla sensibilità dei vari individui. La cute umana viene classificata in quattro gruppi sulla base della sua capacità di abbronzarsi. Questa classificazione è presentata nella tabella sottostante, che fornisce anche la dose approssimativa (in J/m2) necessaria a provocare l’arrossamento della cute (1 MED). Quindi 1 MED varia al variare dei tipi di cute.

Tipo di Cute
Si Abbronza
Si scotta 
Capelli 
Occhi 
1Med (J/m2) 
I
II
III
IV
Mai
Talvolta
Sempre
Sempre
Sempre
Talvolta
Raramente
Mai
Rossi
Biondi
Castani
Neri
Blue
Blue/verdi
Marroni
Marroni
200
250
350
450

Tempo di esposizione consigliato

E’ il tempo massimo di esposizione al sole senza subire scottature, non avendo adottato alcuna precauzione. Tale tempo può essere calcolato per ciascun tipo di cute sulla base dell’Indice UV e del valore di 1 MED per ogni tipo di cute. Ad esempio, nella Figura sottostante sono rappresentati i tempi di esposizione consigliati per differenti valori di Indice UV e MED secondo la definizione DIN-5050 . E’ importante sottolineare come il valore di 1 MED non sia un valore preciso per ciascun tipo di cute. Studi dermatologici hanno evidenziato come per uno stesso tipo di cute il valore di 1 MED possa variare considerevolmente a seconda della sensibilità individuale. Per descrivere ulteriormente questo fenomeno sarebbero necessari dettagliati studi sulla fotosensibilità delle popolazioni europee.





Tempo di esposizione in minuti senza subire scottature per cute di tipo I,II,III,IV calcolati in condizione di cielo sereno
Nella tabella sottostante riportiamo, per ogni tipo di pelle, i tempi di esposizione massimi al sole e le precauzioni consigliate per evitare danni alla salute.

Indice UV
Esposizione consigliata
Bambini e pelle di tipo I
pelle di tipo II
pelle di tipo III
pelle di tipo IV
> 9
Estremo
meno di 15 min.
meno di 20 min.
meno di 30 min.
meno di 40 min.
7-9
Alto
20 min.
30 min.
40 min.
50 min.
4-7
Medio
30 min.
40 min.
60 min.
80 min.
2-4
Basso
30-60 min.
40-80 min.
60-120 min.
80-160 min.
0-2
Minimo
più di 60 min.
più di 80 min.
più di 120 min.
più di 160 min.

I raggi UV e la salute

A partire da una certa intensità, i raggi UV hanno effetti negativi sulla nostra pelle, sui nostri occhi e sul nostro organismo.

Quando la pelle è arrossata o addirittura ustionata, è troppo tardi. Infatti, i danni cutanei iniziano prima di poterli vedere o sentire. Per questo motivo è fondamentale proteggersi in modo adeguato.

La «memoria» della pelle immagazzina tutte le radiazioni UV assorbite nel corso della vita e le registra sul nostro «conto salute».



giovedì 17 aprile 2014

L'intolleranza all'istamina

Istamina negli alimenti - Intolleranza all'istamina

Istamina

L'istamina è un composto azotato ampiamente diffuso nell'organismo, dove ricopre un ruolo di primo piano nelle risposte infiammatorie ed allergiche, nella secrezione gastrica ed in alcune attività cerebrali. Oltre che dall'uomo, l'istamina può essere prodotta anche da altri organismi - più o meno complessi - per semplice decarbossilazione dell'amminoacido istidina.

Alimenti ricchi di Istamina

Le concentrazioni di istamina negli alimenti dipendono quindi dalla ricchezza in amminoacidi liberi e dalla presenza di determinati microorganismi; l'esempio più caratteristico di cibo talmente ricco di istamina da provocare problemi a chi lo assume è quello del pesce conservato troppo a lungo o in maniera inopportuna. I principali incriminati in tal senso sono gli esemplari appartenenti alle famiglie: Scombridae (tonno, sgombro), Clupeidae (sardina, aringa, spratto, alaccia, cheppia), Engraulidae (acciuga) e Coryphaenidae (lampuga). La formazione di istamina è solo in minima parte riconducibile a fenomeni autolitici conseguenti alla morte dell'animale. Piuttosto, è da ricondursi alla proliferazione di germi Gram negativi che hanno contaminato le carni (generi: Morganella, Klebsiella, Proteus, Hafnia, Enterobacter, Citrobacter, Vibrio, Photobacterium). Una volta prodotta, l'istamina tende a rimanere inalterata nell'alimento, in quanto si dimostra particolarmente resistente al calore: per una completa inattivazione è necessario un trattamento di 90 minuti a 116 °C.
Anche il consumo di alcuni formaggi, vini rossi, spinaci e pomodori (specie se in scatola), estratto di lievito, cibi fermentati anche vegetali (crauti) e birra, può scatenare sintomi da intossicazione di istamina. Altri alimenti vengono definiti istamino-liberatori, poiché favoriscono il rilascio di istamina da parte dell'organismo; è il caso di alcool, banane, cioccolato, uova, pesce, latte, papaya, frutti di mare, fragole e pomodori.

Intolleranza all'istamina

Tutti questi alimenti, direttamente o indirettamente ricchi di istamina, quando assunti in grande quantità possono provocare sintomi simili a quelli di un'allergia alimentare; tecnicamente, però, si tratta di un'intolleranza, poiché il sistema immunitario non viene coinvolto (si parla in genere di reazioni pseudoallergiche da intossicazione di istamina).
ALIMENTI PARTICOLARMENTE RICCHI DI ISTAMINA
Sgombro - Aringa - Sardina - Tonno - Formaggio tipo Gouda - Camembert - Cheddar - Emmental - Parmigiano - Salsiccia e carne in scatola - Salami ed insaccati - Crauti - Spinaci - Melanzane - Pomodoro - Ketchup - Aceto di vino rosso - Vino bianco - Alcol - Birra fermentata - Champagne
ALIMENTI IN GRADO DI AUMENTARE IL RILASCIO DI ISTAMINA
Papaya - Fragole - Agrumi - Crostacei - Liquirizia - Spezie - Ananas - Albume d'uovo - Frutta secca - Spinaci - Cioccolato - Spezie - Conservanti alimentari come i benzoati (acido benzoico e suoi sali) - Mirtillo rosso -
ALIMENTI IN GRADO DI INIBIRE L'ATTIVITA' DEL DAO
Alcol, in particolare il vino rosso
Prurito, arrossamento del viso e del collo, orticaria, nausea, vomito, diarrea, cefalea e vertigini, sono i sintomi più comuni dell'intolleranza all'istamina; questi sintomi, variabili in base alla concentrazione della sostanza e alla sensibilità individuale, tendono a svanire abbastanza rapidamente, ma nei casi più gravi possono arrivare a produrre un brusco calo della pressione arteriosa, fino al collasso cardio-circolatorio

Particolarmente a rischio sono i soggetti intolleranti all'istamina (circa l'uno per cento della popolazione; soprattutto le donne di mezza età) e le persone con insufficienza primaria o secondaria di DAO (ad esempio per assunzione di farmaci particolari). L'enzima diaminossidasi (DAO) partecipa infatti ai meccanismi endogeni di degradazione dell'istamina a livello intestinale.

Alle persone con intolleranza all'istamina viene prescritta una dieta priva di alimenti ricchi di istamina o istamino-liberatori; in base alla gravità dei sintomi tali restrizioni saranno più o meno importanti, anche se in genere vengono allontanati soltanto i cibi elencati in precedenza, con particolare attenzione a quelli ittici, agli alcolici e a tutti i cibi fermentati e stagionati. Per il discorso fatto in precedenza, il medico potrebbe aggiustare il dosaggio di eventuali farmaci assunti o suggerirne di alternativi, mentre a scopo terapeutico - dinanzi al fallimento dell'intervento dietetico - potrebbe prescrivere medicinali antistaminici o specifici integratori a base di diaminossidasi (DAO), vitamina C e vitamina B6.




martedì 1 aprile 2014

Alcuni articoli scientifici colon-related

Auto-antibodies and their association with clinical findings in women diagnosed with microscopic colitis.

BACKGROUND:
Microscopic colitis (MC) is a disease manifested by diarrhoea and is divided into collagenous and lymphocytic colitis. The aetiology is unknown, but auto-immunity is suggested. Auto-antibodies have been only rarely examined in this entity. The aim of the study was to examine the prevalence of auto-antibodies, and to examine associations between the presence of antibodies and clinical findings.

METHODS AND FINDINGS:
Women with MC verified by biopsy and younger than 73 years, at any Department of Gastroenterology, in the district of Skåne, between 2002 and 2010 were invited to participate in this study. The patients were asked to complete both a questionnaire describing their medical history and the Gastrointestinal Symptom Rating Scale (GSRS). Blood samples were collected. Anti-nuclear antibodies (ANA), anti-neutrophil cytoplasmic antibodies (ANCA), anti-Saccharomyces cerevisiae antibodies (ASCA), and antibodies against glutamic acid decarboxylase (anti-GAD), islet antigens-like insulin 2 (anti-IA2), thyroid peroxidase (anti-TPO), and thyrotropin receptor (TRAK) were analysed. Of 240 women identified, 133 were finally included in the study, median age 63 (59-67) years. Apart from the MC diagnosis, 52% also suffered from irritable bowel syndrome, 31% from hypertension and 31% from allergy. The prevalence of ANA (14%), ASCA IgG (13%), and anti-TPO antibodies (14%) for these patients was slightly higher than for the general population, and were found together with other concomitant diseases. Patients had more of all gastrointestinal symptoms compared with norm values, irrespective of antibody expression.

CONCLUSIONS:
Women with MC have a slightly increased prevalence of some auto-antibodies. These antibodies are not associated with symptoms, but are expressed in patients with concomitant diseases, obscuring the pathophysiology and clinical picture of MC.

Le coliti microscopiche sono malattie benigne e con gli opportuni accorgimenti terapeutici la maggior parte dei pazienti va incontro alla completa risoluzione sintomatologica con normalizzazione del quadro istopatologico.

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Isolated active ileitis: is it a mild subtype of Crohn's disease?

BACKGROUND:
Ileal intubation is being increasingly performed at colonoscopy and has in turn lead to an increasingly recognized subgroup of patients-those with mild terminal ileal inflammation, an entity that we have coined isolated active ileitis (IAI). The aims of this study were to define the natural history of IAI and determine if IAI shares a similar genetic and serologic profile with Crohn's disease (CD).

METHODS:
Patients with IAI were identified from our institution's histopathology and endoscopy databases. Cases attended for repeat colonoscopy and blood were analyzed for the expression of antineutrophil cytoplasmic antibody, anti-OmpC, anti-Saccharomyces cerevisiae antigen (ASCA) IgA, ASCA IgG, and anti-CBir antibodies and NOD2 genotyping. Age and sex-matched healthy controls, CD, and UC cases were also recruited.

RESULTS:
Sixty-three patients with IAI were recruited. There was no significant difference in the prevalence of antibodies between IAI cases and healthy controls for antineutrophil cytoplasmic antibody, OmpC, ASCA IgA, or ASCA IgG. 
The presence of all 5 antibodies was significantly higher in the CD group than the IAI group, P < 0.05. There were 28.6% of CD cases that carried one or more NOD2 variants, compared to 26.2% of the IAI cohort and 6.1% of healthy controls. Forty-three cases underwent follow-up ileocolonoscopy. Six of 43 cases (14%) had definite CD.

CONCLUSIONS:
A majority of IAI cases developed persistent symptoms and terminal ileal abnormalities; however, only 14% developed classical, histological, or radiological features of CD. Although patients with IAI have a low level of seropositivity, similar to healthy controls, they do share an excess of NOD2 mutations with CD cases.