giovedì 24 dicembre 2015

La vitamina D


Quando parliamo di vitamina D, ci riferiamo normalmente alla D2 e D3.
La vitamina D, conosciuta per la sua principale attività antirachitica è un nutriente liposolubile indispensabile per un corretto sviluppo dei tessuti ossei e per una funzione neuromuscolare ottimale.
La sua funzione fisiologica principale consiste nel promuovere l’assorbimento di calcio e fosforo attraverso la mucosa intestinale, rendendo possibile la calcificazione dello scheletro.
Oggi riconsiderata per nuove molteplici altre funzioni: Svolge un ruolo importante nell’assicurare un corretto funzionamento di muscoli, nervi, coagulazione sanguigna e utilizzo dell’energia, essendo un fattore essenziale per l’omeostasi minerale. Inoltre agisce come antiossidante, immunomodulatore e antinfiammatorio.
Per questo è utilizzata in diverse patologie e disturbi quali sclerosi multipla, cardiopatie, psoriasi, artrite reumatoide.

Studi recenti sembrano confermare che la maggior parte della popolazione non assume quantità adeguate di vitamina D attraverso la dieta e l’esposizione al sole. Sono infatti molto poche le fonti alimentari di vitamina D e la maggior quantità viene assimilata grazie ad alimenti arricchiti.
Una corretta integrazione sopperisce a tali carenze, contribuendo alla salute dell’organismo.

La ricerca suggerisce che la vitamina D possiede un ruolo attivo nella funzione immunitaria, la sintesi delle proteine, la funzione muscolare, la risposta infiammatoria, la crescita cellulare e svariate regolazioni a livello del muscolo scheletrico. Un sintomo comune di carenza di vitamina D è la debolezza muscolare.
Visti i molti ruoli essenziali della vitamina D nel corpo, è stato suggerito che le prestazione fisica può essere influenzata seriamente da un adeguata presenza di vitamina D, specialmente in quelli che sono clinicamente carenti.
La via autocrina sembra essere di estrema importanza e ha recentemente ricevuto molta attenzione per quanto riguarda la vitamina D e l’ influenza sulla funzione del muscolo scheletrico.

Vitamina D e salute delle ossa

La vitamina D agisce in due modi distinti all’interno del corpo, attraverso meccanismi  endocrini e autocrini. Il primo è il più noto, tale meccanismo agisce aumenta l’attività di assorbimento del calcio e osteoclasti intestinale. La vitamina D è essenziale per la crescita ossea, la densità e il rimodellamento, e senza adeguate quantità, si verifica facilmente perdita ossea e conseguenti lesioni.
Quando la vitamina D è bassa, l’ormone paratiroideo (PTH) aumenta l’attività di riassorbimento osseo al fine di soddisfare la domanda del corpo del fabbisogno di calcio. Quindi bassi livelli di vitamina D aumentano il turnover osseo, che amplifica il rischio di una lesione ossea, spesso definite fratture da stress.

Livelli raccomandati di assunzione per la vitamina D

L’esposizione della pelle al sole è la più abbondante fonte di vitamina D, inoltre ci sono alcune fonti alimentari interessanti.  Alcuni alimenti contengono naturalmente  livelli significativi di vitamina D, tra essi annoveriamo: salmone, pesce grasso, tuorli d’uovo,  inoltre esistono prodotti fortificati, come, latte, cereali e succo d’arancia. Anche se queste fonti alimentari possono apparire utili come fonte di vitamina D, purtroppo il processo di assorbimento dietetico è efficace solo per circa il 50%; pertanto, gran parte del valore nutritivo si perde nella digestione.
La mancanza di vitamina D nella dieta è un altro fattore che aumenta il rischio di insufficienza di vitamina D. La maggior parte degli esperti concordano sul fatto che una maggiore assunzione di vitamina D, attraverso fonti alimentari, raggi ultravioletti B (UVB) dell’esposizione al sole, e l’integrazione sono necessari per ottenere livelli ottimali di vitamina D nel siero.

The Endocrine Society
Al giorno UI
Limite max giorno UI
Bambini (0–18 years)
400–1000
2000–4000
Adulti (19–70 years)
1500–2000
10,000
Anziani (>70 years)
1500–2000
10,000

La carenza di vitamina D è spesso definita come <20 ng/mL (50 nmol/L),
l’insufficienza  come 20-32 ng/mL (50-80 nmol/L),
livelli ottimali sono> 40 ng/ml (100 nmol/L).
Il termine insufficienza “sembra essere il termine attualmente preferito per i livelli di carenza di concentrazione teorica nel siero non sufficiente a proteggere contro svariate malattie croniche”.

Quando i livelli sierici di vitamina D sono maggiori di 32 ng/ml, l’ormone paratiroideo (PTH) mantiene livelli stabili e si ridurre il rischio di ipoparatiroidismo secondario, comunemente associato con bassi livelli di vitamina D. Inoltre, l’assorbimento di calcio intestinale migliora, riducendo il rischio di malattia ossee secondarie.
A livelli maggiori di 40 ng/ml, la vitamina D comincia ad essere immagazzinata nel muscolo e grasso.

Si stima che il corpo richiede 3000-5000 UI di vitamina D al giorno per soddisfare le esigenze di “essenzialmente in ogni tessuto e cellula del corpo”.

I principali esperti sostengono che anche con una dose giornaliera di 10.000 UI ci vorrebbero mesi, o anche anni per manifestare sintomi di tossicità.
Una recente pubblicazione non ha trovato casi di tossicità con dosi giornaliere di 30.000 UI al giorno per un periodo di tempo molto esteso.
Indipendentemente dal valore di assunzione alimentare, la quantità di vitamina D prodotta da 15 minuti di esposizione al sole senza protezione è di 10.000 a 20.000 UI, in un individuo di pelle chiara, ecco perché per la maggior parte degli esperti ritengono  che la tossicità è un evento raro ed improbabile.

Durante i mesi che i raggi UVB sono disponibili dal sole, cinque a 15 minuti di esposizione al sole senza protezione, tra le ore 10:00 e 03:00 sembra fornire adeguate quantità di vitamina D.

Non sono mai stati segnalati casi di tossicità da vitamina D da esposizione al sole; tuttavia, i sintomi di intossicazione, come ipercalcemia, sono stati osservati durante livelli 25 (OH) D superiori a 150 ng/mL.


Vitamina D e morbo di Crohn

Numerose evidenze scientifiche, infatti, hanno individuato un’associazione tra carenza di vitamina D e sviluppo del morbo di Crohn.
In un piccolo studio di 24 settimane di assunzione di 5.000 u.i. di vitamina D, ha mostrato di aumentare effettivamente i livelli di vitamina D, riducendo il punteggio di CDAI, suggerendo che il ripristino dei livelli di vitamina D possa essere utile per il controllo di questa patologia.

Vitamina D e depressione

Sembra infatti che la vitamina D sia importante per la salute cerebrale e possa essere coinvolta nella patogenesi o nella prevenzione della depressione.
Precedenti studi avevano mostrato che i soggetti affetti da depressione sono a rischio di carenza di vitamina D, sia per la tendenza a non uscire spesso di casa (l’organismo produce la vitamina D autonomamente quando esposto alla luce solare), sia perché generalmente non praticano attività fisica.
Altri dati indicano che questa vitamina aumenta i livelli di serotonina, il neurotrasmettitore su cui gli antidepressivi agiscono.
Una meta-analisi di tutti gli studi ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo nella depressione grazie alla supplementazione di vitamina D.



martedì 22 dicembre 2015

Ruolo della serotonina nell’interazione tra microbiota e sistema nervoso centrale

Nell’intestino, oltre alla mera funzione digestiva, avviene la produzione di serotonina, neurotrasmettitore in grado di darci la felicità. Ed in che modo un’alterazione del microbiota può intervenire sull’umore?  

Dal punto di vista biochimico gli episodi depressivi vengono interpretati come un’alterazione della concentrazione della serotonina, chiamata anche ormone del buonumore.
La serotonina instaura una sensazione di serenità e benessere globale ed un suo difetto provoca aggressività ed ansia.
Controlla l’appetito facendo percepire il senso di sazietà attraverso una riduzione del desiderio di carboidrati a favore dell’introduzione di proteine.
Il precursore della serotonina è l’amminoacido triptofano, da cui attraverso l’enzima triptofano idrossilasi viene sintetizzata; ed a sua volta la serotonina è un precursore della melatonina, una molecola che ha la funzione di regolare i ritmi circadiani; ovvero i cicli veglia sonno e gli ormoni ad essi correlati.

Contenuta in concentrazione maggiore in tre distretti corporei

A livello della parete intestinale abbiamo le cellule cromaffini che contengono il 95% della serotonina totale dell’organismo.  Se presente in difetto determina stitichezza, un eccesso invece determina diarrea.

Nel sangue e più precisamente nelle piastrine, dove viene rilasciata in seguito a danno tissutale per favorire l’aggregazione;  inoltre esplica un’azione vasocostrittice diminuendo il rischio di emorragia a seguito di una lesione.

Nel sistema nervoso centrale dov’è un neurotrasmettitore.
Viene rilasciata a livello del sistema nervoso centrale dal neurone, e  più precisamente dal terminale assonico per interagire con i recettori postsinaptici, l’eccesso di serotonina viene riassorbito dal terminale presinaptico, oppure degradata dalle monoamminossidasi (MAO).

Analisi

Un gruppo di scienziati ipotizzano una connessione fra osso, cervello ed intestino, dove la serotonina rappresenta l’anello di congiunzione. Esistono due tipi di enzimi triptofano idrossilasi (Tph1 e Tph2), il primo promuove la sintesi di serotonina a livello delle cellule cromaffini, il secondo nel cervello. La serotonina rilasciata nell’intestino stimola, in parte, la peristalsi, ed una parte entra nel torrente circolatorio dove è trasportata dalle piastrine attraverso il trasportatore 5-idrossitriptamina (5HTT); da cui viene rilasciata in situazioni dove serva attivare il meccanismo della coagulazione.

In presenza di disbiosi si sviluppa un’alterazione della serotonina prodotta a livello intestinale e perciò in maniera del tutto teorica, per il momento, si prospetta una probabile correlazione tra disbiosi, depressione e disturbo bipolare.
Anche se, anche a livello statistico, si è già trovata un’elevata incidenza di fenomeni depressivi in individui con patologie infiammatorie intestinali.

Questo significa che abbiamo la presenza di due rafforzativi: alterazioni di membrana alterano il trasporto della serotonina verso il SNC, favorendo un’infiammazione causata dalla presenza di serotonina libera, e la presenza di infiammazione intestinale riduce la produzione di serotonina a livello enterico. Inoltre la disbiosi può incrementare sia diminuire la peristalsi intestinale come effetto diretto sull’intestino, due condizioni gestite dal sistema simpatico e parasimatico regolando il metabolismo cellulare dell’organismo. In caso di costipazione se il tono simpatico aumenta si rallenta la digestione e l’assorbimento aumenta, perché a livello capillare la noradrenlina ha un effetto vasodilatatore e non costrittore; e causando iperlipogenesi e iperglicemia plasmatica induce glicolisi e lipolisi metabolica per produrre energia. L’opposto in caso di diarrea quando il tono vagale aumenta.





venerdì 11 dicembre 2015

La colite microscopica

Il termine colite microscopica comprende due entità cliniche con sintomi in comune ma caratteristiche istologiche differenti e ben definite: la colite linfocitica e la colite collagenosica.
E' una malattia identificata recentemente, nel 1976 da C. G. Lindstrom che fu il primo a descriverla. Si presenta tipicamente con diarrea cronica, spesso associata a dolore addominale e perdita di peso.
La mucosa del colon osservata in corso di colonscopia appare tuttavia normale mentre l'esame istologico eseguito su biopsie di mucosa colica permette di confermare la diagnosi e distinguere le due entità che in alcuni casi possono coesistere. E' fondamentale eseguire biopsie in tutti i tratti intestinali esaminati secondo un preciso protocollo.
Non è una malattia rara: riguarda il 4-13% dei pazienti indagati per diarrea cronica.
La prevalenza nella popolazione generale è invece di circa 100 casi su 100.000 individui con una prevalenza di colite linfocitica rispetto alla collagenosica.
Sono numeri simili a quelli relativi alle malattie infiammatorie croniche intestinali ovvero colite ulcerosa e malattia di Crohn.
In Europa e negli USA le due forme istologiche sono entrambe  rappresentate.
Esiste una maggiore incidenza in alcune aree geografiche, in particolare il Nord Europa ed alcune aree degli Stati Uniti mentre i paesi del Sud Europa sono considerati a bassa incidenza.
La malattia è più comunemente identificata tra i 50 ed il 70 anni soprattutto nelle donna in rapporto di 3 a 1 rispetto all' uomo.

Sono considerati fattori di rischio l'età avanzata, il sesso femminile, la presenza di malattie autoimmuni quali ad esempio la tiroidite o la celiachia e una precedente diagnosi di neoplasia o un trapianto.
L'associazione con la celiachia appare particolarmente significativa.
Fattori ambientali o genetici sono stati considerati e in effetti nel 12% dei casi vi è familiarità per malattia infiammatoria intestinale o celiachia.
Una causa infettiva è stata ipotizzata, in particolare la colite da Yersinia, da Clostridium difficile o da Campylobacter potrebbe essere un fattore scatenante soprattutto della colite collagenosica.
L'assunzione di alcuni farmaci, in particolare gli antinfiammatori non stroidei, gli inibitori di pompa protonica, l' acarbosio, l'aspirina, la carbamazepina,la ranitidina, la sertalina, la ticlopidina e i beta bloccanti sono stati considerati come farmaci "a rischio".
Il fumo infine sembrerebbe in qualche modo associato alla malattia.

Sintomi

Il sintomo più comune e presente nel 98% dei pazienti è la diarrea, mentre il dolore addominale si osserva in un quarto di casi ed il calo di peso nel 10%.
Meno comuni l'incontinenza fecale ed il sanguinamento rettale.
I sintomi quindi sono in buona parte comuni a quelli della sintome dell' intestino irritabile rendendo la diagnosi non sempre agevole.
L'aspetto della mucosa intestinale all'esame endoscopico, che abitualmente è normale, può essere patologico nel 30% dei casi e si possono osservare edema, eritema ed aumento del reticolo venoso.
Il decorso clinico è variabile, la scomparsa della diarrea si ottiene nel 50% dei pazienti sottoposti a terapia steroidea. Si considera in remissione un paziente con meno di tre evacuazioni giornaliere o meno di un episodio di diarrea quotidiano.

Terapie

La terapia prevede l'utilizzo di antidiarroici ed antinfiammatori ed in particolare gli steroidi per via orale.
Il farmaco di scelta è infatti la budesonide: la risposta è elevata con un alto numero di recidive tuttavia alla sospensione della terapia.
E' consigliabile assumere la terapia a dosaggio pieno per alcune settimane fino a remissione completa e successivamente ridurre gradualmente le dosi. In caso di recidiva la terapia va ripresa fino ad essere assunta in alcuni casi a tempo indeterminato.
Le terapie efficaci comprendono la budesonide per via orale,la dieta priva di glutine,la mesalazina associata eventualmente a colestiramina, i farmaci immunosoppressori in casi selezionati, mentre il ruolo dei probiotici, del prednisolone dell'estratto di Boswellia serrata e del salicilato di bismuto è ancora da definire.
Nelle forme lievi la loperamide può essere utilizzata ed è meno gravata da effetti collaterali, rispetto alla budesonide.
Si tratta quindi di una malattia verosimilmente autoimmune in passato considerata rara ma oggi sempre più diagnosticata soprattutto nei pazienti con diarrea cronica non giustificata da altre patologie.
La prognosi è buona ed il rapporto con le malattie infiammatorie e con il cancro colorettale non certo.
Appare quindi evidente come, nell'iter diagnostico di una diarrea cronica, sia fondamentaleeseguire una colonscopia con biopsie qualora non si sia raggiunta la diagnosi con altri mezzi, unico modo per identificare e trattare adeguatamente questa condizione.
Non sono pochi i pazienti nei quali la diagnosi viene posta dopo anni di sintomi riferiti a colon irritabile nel quali una corretta terapia permette di eliminare un sintomo che condiziona pesantemente la qualità della vita quale è la diarrea.





domenica 6 dicembre 2015

Ruolo del S-IGA nell'intestino

Il SIgA ( Secretory Immunoglobulin A), del quale sta emergendo sempre di più l’importanza per un buon funzionamento del sistema immunitario, viene ancora raramente misurato; si misura in genere solo l’IgA, la cui importanza è ben nota, ma può benissimo accadere che la misurazione dell’IgA dia valori normali mentre quella del SIgA risulta bassa. E’ importante misurare anche il SIgA perché se risulta carente (la sua concentrazione tende a diminuire con l’età) vi sono varie possibili misure per potenziarlo, con effetto positivo sia per allergie ed intolleranze alimentari che per infiammazioni e suscettibilità alle infezioni.
Il SIgA è l’immunoglobulina principale che si trova nel muco, nella saliva, lacrime, fluido vaginale e nelle secrezioni delle pareti intestinali e polmonari. E’ resistente alla degradazione da parte di enzimi vari ed è la nostra prima linea di difesa e protezione contro microbi, candida ed agenti patogeni e tossici vari. Le cellule intestinali producono circa 2-3 grammi di SIgA al giorno; la produzione raggiunge il vertice durante l’infanzia e comincia a declinare dopo i 60 anni.
Molti pensano che la parete mucosa si trovi solo nel naso e seni nasali, ma in realtà la mucosa con la superficie di gran lunga più estesa si trova nell’intestino, dove costituisce la nostra prima linea di difesa contro batteri, funghi, virus, tossine varie, e contro proteine alimentari che, superando questo rivestimento e penetrando nel sangue, provocherebbero reazioni di allergie ed intolleranze alimentari. In termini semplici: gli anticorpi SIgA si “appiccicano” a microrganismi, proteine alimentari e carcinogeni , li intrappolano nel muco ed impediscono loro di andare altrove; questi invasori vengono invece “scortati” fuori dall’organismo con le feci.
Molte persone hanno dei livelli di SIgA carenti, e ciò le rende più vulnerabili verso allergie, intolleranze alimentari, eczemi ed infezioni. Constato spesso che le persone che non riescono a sbarazzarsi della candida hanno livelli di SIgA bassi, come pure le persone che soffrono di morbo di Crohn colite ulcerativa, morbo celiaco, autismo, asma, infezioni croniche e ricorrenti del tratto respiratorio e varie malattie autoimmuni.
Se i livelli bassi di SIgA si prolungano per molto tempo allora anche le ghiandole surrenali, che cercano di mettere riparo al danno provocato da questa carenza, si stancano ed indeboliscono e quindi spesso i test dimostrano sia bassi livelli di SIgA che scarsa funzionalità delle surrenali.
Il livello di SIgA può essere misurato con un test fatto con un campione di saliva o feci. 
Se i risultati sono più alti del normale ciò indica che vi è qualche infezione o infiammazione in corso nell’organismo, che sta cercando di combattere questo problema aumentando la produzione di SIgA.
Se invece i valori del SIgA sono più bassi del normale è bene cercare di farli aumentare, e per fortuna vi sono vari modi per farlo. I modi più efficaci variano da persona a persona, ma sono basati in genere su vari tipi di probiotici, sul beta glucano ed altre sostanze.
Se si riesce a far aumentare i livelli di SIgA, anche se non sempre si ottiene la soluzione completa del problema di salute (possono essere presenti vari altri fattori negativi da individuare ed affrontare), si ottiene tuttavia spesso un miglioramento.


mercoledì 18 novembre 2015

L’intolleranza agli amidi e la sensibilità al glutine non celiaca


 Nel vasto panorama delle intolleranze alimentari, oltre che della ben nota celiachia, si parla spesso di sensibilità al glutine non celiaca, ma è ancora più inquietante che esistano sempre più casi di intolleranza a tutti i tipi di amidi.
Dobbiamo capire cosa si intende per sensibilità al glutine non celiaca e per intolleranza agli amidi in genere.
Facciamo alcune precisazioni: è evidente che anche i pazienti affetti da celiachia o da allergia al grano sono sensibili al glutine. La diagnosi di “sensibilità al glutine non celiaca” presuppone quindi che sia stata preventivamente esclusa non solo la celiachia, ma anche una eventuale allergia al grano.

Riguardo all’intolleranza agli amidi non è chiaro se questa esista come entità separata dalla prima, dato che sulla base delle ricerche più recenti l’intolleranza al glutine non celiaca sembrerebbe essere in realtà legata più che al glutine, all’amido di frumento e, più in generale, a sostanze fermentabili.

Per parlare della frequenza, è certo che un numero sempre maggiore di persone riferisce disturbi dopo ingestione di pane, pasta e, soprattutto, pizza.

I sintomi più frequentemente riferiti in soggetti non celiaci sensibili al glutine sono: gonfiore e/o dolore addominale, alterazioni della funzione intestinale (diarrea, stipsi o l’alternanza dei due il classico “colon irritabile”), stanchezza cronica, facile affaticabilità, difficoltà di concentrazione e/o sonnolenza dopi i pasti (la cosiddetta mente annebbiata o “alloppiata”), cefalea, eruzioni cutanee, prurito senza altra causa, dolori articolari e/o muscolari, formicolii specie all’estremità di mani e piedi, talora bruciore e/o dolore alla bocca dello stomaco o dietro allo sterno.
Occorre precisare che una percentuale rilevante di pazienti affetti da vera sindrome dell’intestino irritabile, diagnosticata attraverso i criteri riconosciuti a livello internazionale, risponde positivamente alla dieta priva di glutine».

La diagnosi  

A differenza della celiachia e dell’allergia al grano per la sensibilità al glutine non celiaca e per l’intolleranza agli amidi, non sono disponibili esami di laboratorio e/o strumentali che permettano di fare con certezza la diagnosi.
Questa si basa su due osservazioni:
a) l’evidenza di un chiaro miglioramento o addirittura della scomparsa dei sintomi dopo eliminazione del glutine dalla dieta
b) la ricomparsa dei disturbi, spesso in modo ancor più accentuato, alla sua successiva reintroduzione.

Attenti alla dieta


La terapia si basa sull’esclusione del glutine dalla dieta che deve essere rigorosa, perlomeno per tutto il periodo di valutazione clinica (in media 3 mesi); tuttavia, spesso questo non è sufficiente, ed è necessario eliminare dalla dieta o quantomeno ridurre drasticamente, altri alimenti fermentabili quali lattosio, fruttosio, sorbitolo e, più in generale, amidi.



venerdì 2 ottobre 2015

Intestino irritabile – SIBO – celiachia e alimenti “pericolosi”

Iniziamo una panoramica sugli alimenti più frequentemente coinvolti nel determinare la SIBO e dunque "pericolosi". 
Il lattosio e il fruttosio sono conosciuti, meno conosciuti sono gli amidi resistenti. 


Lattosio
Intolleranza al lattosio o malassorbimento del lattosio sono sinonimi ed indicano l’incapacità a digerire ed assorbire il lattosio. Con l’età questa capacità si riduce anche se meno nei popoli nord-europei rispetto al resto del mondo. La diagnosi può essere fatta col test dell’idrogeno oppure andando a misurare dopo alcune ore i livelli ematici di glucosio indicativi di quanto il lattosio è stato convertito in glucosio e poi assorbito: se i livelli sono bassi c’è intolleranza al lattosio. A volte ridurre la quantità di lattosio ingerita (meno di 10 grammi) è sufficiente a lenire i sintomi; In altri casi occorre astenersi dal consumo e/o assumere integratori di lattasi (enzima che scinde il lattosio). Il latte è l’alimento che contiene più lattosio mentre yogurt e formaggi fermentati sono quelli che ne contengono meno perché appunto il lattosio è stato fermentato (cioè digerito) dai batteri presenti nel cibo. Lo yogurt infatti contiene lattasi e quindi può essere assunto anche come integratore di lattasi, anche se in parte viene distrutta nello stomaco.

Fruttosio
Essendo il fruttosio un monosaccaride in questo caso il problema risiede nell’assorbimento che avviene attraverso un meccanismo assai meno efficiente rispetto a quello per il glucosio (si parla di “diffusione facilitata” in cui il fruttosio si lega ad una proteina trasportatrice, denominata Glut5, la cui carenza è alla base del malassorbimento del fruttosio). L’assorbimento è più efficiente in caso di concomitante presenza di glucosio: questo spiega perché il saccarosio (una molecola di fruttosio ed una di glucosio) è meglio assorbito rispetto al fruttosio puro. La diagnosi viene fatta col test dell’idrogeno. La terapia consiste nell’evitare il fruttosio ed i fruttani che di fatto si comportano come fibre.
Il fruttosio è ampiamente utilizzato dall’industria alimentare e si ritrova anche nel saccarosio, nel miele (circa 50% fruttosio e 50% glucosio), nello sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (più del 50%) ed in generale nei dolcificanti a base di mais, nello sciroppo di acero, nella melassa.

Amidi
Per anni si è pensato che gli amidi fossero completamente digeriti ed assorbiti, ma studi col test all’idrogeno hanno dimostrato che dal 10% al 20% degli amidi non lo sono: si parla di “amidi resistenti”. Probabilmente la percentuale sale in persone affette da disturbi digestivi. Amidi resistenti si trovano nei cereali (grano e prodotti come pane e pasta), legumi, semi, noci, molte varietà di riso, mais, molte varietà di patata, alcuni frutti come le banane acerbe. Cotti poco oppure cotti e mangiati freddi contengono più amidi resistenti. Molti fattori entrano in gioco nel rendere un amido resistente, ma in particolare il rapporto quantitativo tra amilosio (difficile da digerire) ed amilopectina (più facile). Per avere un’idea del contenuto in amilosio e amilopectina è sufficiente guardare l’indice glicemico degli alimenti (vedi oltre): maggiore è l’indice glicemico maggiore è l’assorbimento ed il contenuto in amilopectina (ma maggiore anche la produzione di insulina che ci fa ingrassare). Ad alto indice glicemico sono il riso asiatico per il sushi (98%) ed il riso jasmine ed alcune varietà di patata, mentre a basso indice glicemico sono il riso basmati (58%), la pasta, molti prodotti a base di grano, mais, avena e orzo, molte patate e le banane. Interessante è notare a questo proposito che il 30% o più della popolazione occidentale è affetta da SIBO contro il 10% di quella asiatica. I batteri del colon sono in grado di digerire l’amilopectina e l’amilosio mentre quelli del tenue digeriscono disaccaridi e monosaccaridi. Piccole quantità di amidi resistenti non sono un problema per persone senza difficoltà digestive, ma il consumo di quantità significative soprattutto in persone con disturbi digestivi può portare alla SIBO.
Tutto questo non ha nulla a che vedere col glutine: cibi privi di glutine contengono amidi resistenti e questo spiega perché pazienti celiaci mantenuti con una dieta priva di glutine possono ancora accusare sintomatologia gastrointestinale.

Per la diagnosi teoricamente si potrebbe ricorre al test dell’idrogeno oppure al test che registra l’innalzamento del glucosio ematico dopo la somministrazione di una soluzione a base di amidi, ma in pratica tale test non è ancora stato messo a punto. La terapia consiste nell’evitare di assumere amilosio, cosa piuttosto complessa.

Fibre
La fibra ha una reputazione invidiabile. Tuttavia gli studi che ne dimostrano le doti sono studi osservazionali-ad esempio i popoli che consumano più fibra hanno meno tumori al colon-indicando un’associazione tra i due fattori ma non necessariamente un nesso di causa effetto. Cioè non è sicuro che il consumo di fibra riduca il rischio di tumori al colon. I popoli che consumano fibra infatti potrebbero essere ad esempio quelli che praticano più attività fisica riducendo per questa via il rischio di tumore. Senza considerare che gli studi più recenti, sempre  osservazionali, non hanno dimostrato riduzione del tumore al colon dal consumo di fibra. Di converso la fibra essendo indigeribile viene fermentata dai batteri favorendo lo sviluppo di SIBO. La cosa sorprendente è che il consumo di fibra è una delle terapie maggiormente consigliata in caso di sindrome dell’intestino irritabile, quando invece gli studi dimostrano che la sua rimozione ne migliora la sintomatologia. Non esiste un test specifico per le fibre in quanto per definizione sono indigeribili.

Polioli
Vengono usati dai diabetici perché scarsamente digeriti ed assorbiti.







sabato 6 giugno 2015

Protocollo “Colon irritabile”

Protocollo “Colon irritabile”
Considerazioni ed esami da che si possono effettuare

Il colon irritabile è una diagnosi di esclusione, ma ci sono studi che hanno evidenziato una modificazione del microbiota intestinale e di conseguenza dei focolari micro infiammatori nell’intestino come la principale causa del famoso “colon irritabile”.

Se si soffre di meteorismo, diarrea, stipsi, dolori, bisogna fare tutti gli esami per escludere malattie come le MICI (malattie infiammatorie croniche intestinali quali Morbo di Crohn o Rettocolite ulcerosa), la celiachia, la sindrome di Habba, i diverticoli, i tumori, i batteri, i parassiti, i virus, i protozoi, la candida intestinale, le allergie alimentari e le intolleranze alimentari.
Ci sono comunque altre patologie che danno come risultato i sintomi del colon irritabile, ad esempio il diabete o altre malattie autoimmuni.

Ecco una serie di esami utili da fare.

1) Intolleranza al lattosio: esame sul sangue genetico per ricerca allele -13910 per la persistenza della lattasi. Se risultate -13910 CC siete omozigoti e dunque avrete intolleranza primaria al lattosio. Dopo i primi 5-10 anni di vita l'enzima della lattasi non verrà più prodotto e inizieranno a farsi sentire i sintomi. Attenzione: continuare a ingerire lattosio nonostante l'intolleranza porterà l'intestino in disbiosi e ad una possibile permeabilità intestinale e/o sovraccrescita batterica nell'intestino tenue.

2) Test HLA tipizzazione classe I e II celiachia. Se è presente il DQ2 (o la sola catena beta del DQ2) o il DQ8 siete positivi alla predisposizione celiaca, dunque esiste la reale possibilità di sviluppare la malattia nel corso della vita. Questo porta una sensibilità quasi certa al glutine. In seguito potete fare altri test sugli anticorpi per vedere se avete la celiachia attiva: anticorpi IGA totali, anti transglutaminasi (TtG IGA e IGG), anti gliadina (anti AGA IGA e IGG) e anti endomisio, gastroscopia.

Se risultate celiaci eliminate completamente il glutine e fate attenzione alla contaminazione.
Se non avete gli anticorpi della celiachia e siete positivi alla genetica siete sicuramente gluten sensitive: eliminatelo completamente come se foste celiaci. Attenzione: è provato che le persone con colon irritabile e DNA positivo alla celiachia (anche senza avere la malattia attiva) presentano alterazioni della permeabilità intestinale. Continuare ad ingerire glutine causerà ulteriore permeabilità intestinale e/o sovraccrescita batterica nell'intestino tenue.

Le seguenti combinazioni genetiche danno predisposizione alla CELIACHIA:
HLA-B8
HLA-DQ2
HLA-DQ7
HLA-DQ8
HLA-DR3
Le seguenti combinazioni genetiche danno predisposizione alla GLUTEN SENSITIVITY:
HLA-DQ1 
HLA-DQ3
HLA-DQ5 
HLA-DQ6 


3) Sono disponibili diversi breath test, per determinare se esiste malassorbimento in caso di colon irritabile. Essi sono:
  • breath test al lattosio (in concomitanza con la ricerca genetica sul sangue): per ricercare una possibile intolleranza al lattosio. Questa intolleranza può essere primitiva (determinata geneticamente e dunque non esiste possibilità di guarigione ma solo di controllo dei sintomi) oppure secondaria (a seguito di patologie dell'intestino tenue, quali celiachia o morbo di Crohn e può guarire completamente una volta guarita la patologia primaria).
  • breath test al lattulosio/glucosio: per la sindrome da sovraccrescita batterica dell'intestino tenue (SIBO). Si misura nel respiro la quantità di idrogeno (H2) e metano (CH4) prodotte.
  • breath test al fruttosio: per determinare la presenza di malassorbimento del fruttosio (presente nella frutta e usato come dolcificante quasi dappertutto, specie nei prodotti per diabetici).
  • breath test al sorbitolo: per determinare la presenza di malassorbimento del sorbitolo. Il sorbitolo è un polialcolo presente in molte bibite gassate ed usato come additivo alimentare.
  • breath test per ricerca Helicobacter pylori: se il test è positivo c'è la presenza del batterio nello stomaco.


4) Test per misurare lo stato del colon:
Ci sono laboratori che esaminano la composizione batterica delle feci e stilano un elenco dei principali batteri aerobi e anaerobi, indicando se sono in equilibrio, in eccesso o in difetto.
Questo check può essere molto utile per capire in prima fase in che stato è il proprio intestino. Se ci sono più batteri in disequilibrio allora siamo in presenza di una disbiosi, di grado lieve, medio o forte.

Possono esaminare anche altri parametri quali:
  • la zonulina: per la permeabilità intestinale. La zonulina si può misurare anche sul sangue;
  • la calprotectina: per l’infiammazione al colon;
  • l’istamina: per le allergie alimentari. L’istamina si può misurare anche sul sangue;
  • la gliadina iga: per la sensibilità al glutine. Essa si può misurare anche sul sangue, ma nelle feci risulta molto più sensibile rispetto al sangue e può evidenziare una sensibilità al glutine e/o una celiachia silente o in fase iniziale, ancor prima che arrivi a positivizzarsi sul sangue. Se l’esame per la gliadina iga sulle feci è positivo, consiglio una tipizzazione genetica HLA. Se fosse negativa allora indica solo sensibilità al glutine; ma se fosse positiva la genetica indica che si sta sviluppando una celiachia vera e propria. Dunque meglio astenersi dal glutine in entrambi i casi!
  • la serotonina: se non è in equilibrio può causare diarrea o stipsi. Essa si può misurare anche nel sangue.
  • l’immunoglobilina secretiva A: se è bassa può indicare un sistema immunitario indebolito, se è alta al contrario un sistema immunitario troppo attivato, magari contro batteri patogeni;
  • la candida: se è in eccesso prolifera in maniera incondizionata creando molti problemi, oltre al colon, anche in altre parti del corpo (es. naso/sinusite, vagina/candidosi, anche nell’uomo!);
  • la defensina: è un parametro che indica se l’intestino è attivato contro dei batteri patogeni;
  • l’elastasi pancreatica: indica se il pancreas funziona bene, o si è in presenza di possibile malassorbimento. L’elastasi pancreatica si può misurare anche sul sangue.
  • gli acidi biliari: se sono troppi possono causare diarrea; se sono troppo pochi può darsi che ci siano calcoli o fango biliare alla cistifellea che ostruiscono il loro deflusso. 

Esiste anche un test per esaminare la permeabilità intestinale tramite le urine, che consiste nel bere una miscela di acqua e zuccheri (lattulosio, mannitolo e sucrosio) a digiuno e nel raccogliere le urine nelle sei ore successive.
Normalmente questi zuccheri non sono assorbiti, se non in piccole quantità, a livello intestinale, e non sono pertanto dosabili nelle urine raccolte.
Valori superiori a quelli di norma possono indicare la presenza di un’alterazione nella permeabilità intestinale ed è indicativo di alterato assorbimento.

5) Altri esami non invasivi da fare:
  • Calprotectina fecale (misura l’infiammazione del colon): si effettua su un campione di feci.
  • Ricerca di virus / batteri / funghi / parassiti nelle feci: si effettua su un campione di feci.
  • Esami del sangue di routine (VES e PCR compresi): si fa un prelievo venoso.
  • Esame della vitamina B12: si fa un prelievo venoso.
  • Esame della vitamina D: si fa un prelievo venoso.
  • Esame della ferritina: si fa un prelievo venoso.
  • Ricerca sangue occulto fecale: si effettua su un campione di feci.
  • Ecografia addome completa: si una l'ecografo esterno.
  • Ecografia delle anse intestinali dell'ileo (per ricerca Morbo di Crohn): è come una normale ecografia esterna.
  • Colonscopia virtuale (colon TC): è una colonscopia effettuata con l'apparecchio della TAC. Si vedono polipi fino a 0.5 mm, stenosi, neoplasie. Non è possibile effettuare biopsie.

6) Esami invasivi da fare:
  • Colonscopia classica: bisogna bere una preparazione speciale il giorno prima e poi effettuare la colonscopia in sedazione. E' consigliabile effettuare molte biopsie in diverse parti del colon (sigma, ascendente, discendente, traverso, ileo).
  • Gastroscopia: bisogna essere a digiuno, può essere fatta da svegli o da sedati. Si effettuano diverse biopsie dello stomaco e del duodeno.
  • Rettoscopia: vedono solo il retto, utile per diagnosticare le emorroidi o delle fistole anali.
  • Rettosigmoidoscopia: non vedono tutto il colon ma solo il retto, il sigma e il colon discendente per circa 80 cm.
  • Radiografia dell’intestino tenue (esame seriato del tenue): utilizzata per analizzare le anse intestinali. Bisogna bere una preparazione con un liquido di contrasto al solfato di bario.
  • Endoscopia con capsula: serve per analizzare l'intestino tenue. Si deve ingerire una speciale capsula con una videocamera incorporata.


7) Esami allergie IGE alimentari: da fare sul sangue da un allergologo. Si testano una ventina di alimenti per cercare una vera allergia alimentare. Le allergie alimentari si riconoscono facilmente perché pizzica la bocca e la lingua e possono uscire rash cutanei o orticaria dopo poco tempo dall'ingestione del cibo allergico.

8) Test cutaneo per allergia al nichel: è utile fare il test per sapere se esiste una positività al nichel (solfato di nichelio). Esso è presente un po' dappertutto, nell'acqua, nei cibi, nei prodotti per la cura personali, nei detersivi, nelle monete, nelle cinture, nelle sigarette, ecc. Normalmente chi è allergico al nichel ha come reazione una dermatite da contatto. Ci sono persone che sviluppano una sindrome che si chiama SNAS (sindrome sistemica da allergia al nichel) e possono avere gravi orticarie e/o problemi gastrointestinali e/o respiratori causati dall'ingestione di cibi contenenti nichel. La medicina ufficiale non è ancora giunta ad una conclusione certa riguardo all'utilità di effettuare una dieta nichel free per gli allergici al patch test. Ci sono comunque persone che hanno ottenuto benefici con questo tipo di dieta.

9) Esami per intolleranze alimentari IGG: esistono in farmacia dei test sulle intolleranze alimentari che si possono effettuare. Si preleva un po' di sangue dal dito, non è un test invasivo.
(PS: io li ho fatti entrambi, hanno dato gli stessi risultati, dunque li considero affidabili).

10) Esame per gluten sensitivity: in farmacia si può fare il test della natrixlab per vedere se si ha gluten sensitivity. Prelevano il sangue dal dito. Testano gli IGA totali, gli antitranslutaminasi, gli anti gliadina (anti AGA) di vecchia generazione. Se risultano positivi gli anti AGA IGA e/o IGG siamo in presenza di una sensibilità al glutine.

11) Esami per allergeni IGE su cute (prick test). Capita che se si è allergici ai pollini si possono avere reazioni crociate con alcuni cibi.
Ecco un sito dove ne parla:

Riflessione personale sui possibili motivi dello sviluppo del colon irritabile

Il corpo deve essere in equilibrio per funzionare bene e permetterci di stare bene. Quando ci sono eccessi o difetti iniziano i problemi.
L’intestino è la parte più importante del corpo e contiene il 70% del sistema immunitario, il resto è situato nelle pelle e nei polmoni.
Nella nostra società mangiamo male, troppi carboidrati, troppi zuccheri, troppi grassi, troppo glutine e troppo in quantità, siamo sedentari, siamo stressati e tutto influisce.
I nostri nonni stavano meglio di noi perché avevano una dieta sana, senza tanti additivi alimentari, coloranti e conservanti e mangiavano i cibi raccolti nell’orto secondo le stagioni; le malattie autoimmuni erano rare nel secolo scorso, facevano molto movimento e lo stress era nettamente meno.  
Invece oggi tra cibi industrializzati, pieni di coloranti e additivi, senza contare lo zucchero onnipresente, e i grassi saturi, insaturi e molto altro il nostro colon, a lungo andare ne risente!!
Sono i batteri presenti nel colon che fanno festa con la nostra alimentazione zuccherina!!
Proliferano i clostridi, la candida, altri batteri che non dovrebbero proliferare e azzerano i batteri buoni quali i lattobacilli e i bifidobatteri.

La mancanza di questi batteri buoni crea un assottigliamento delle pareti intestinali, crea infiammazioni croniche, crea malassorbimento in tutto l’organismo.

Il malassorbimento crea mancanza cronica di importanti vitamine e sali minerali. Questo si chiama disbiosi (o SIBO) e in genere è presente sempre con un’alterata permeabilità intestinale.
Una disbiosi può restare per anni silente, e quando la si “trova” ha già fatto molti danni. Inoltre un intestino permeabile/disbiotico fa passare nel sangue particelle di alimenti indigeriti e questo attiva il sistema immunitario, che le riconosce come estranee da combattere, e crea le allergie e le intolleranze alimentari. Si possono avere moltissime intolleranze a molti alimenti che si mangiano spesso, se si soffre di alterata permeabilità intestinale e di disbiosi!!

A questo punto oltre ai sintomi al colon si possono avere altri disturbi quali reflusso gastroesofageo, debolezza, capogiri, ansia, depressione, malattie della pelle, problemi respiratori, problemi ginecologici, anche dolori muscolari o reumatismi e molto altro.

Per guarire da allergie, intolleranze alimentari e colon irritabile bisogna guarire la parete intestinale danneggiata !!

Come fare? Non è semplice, ma nemmeno impossibile. Stanno studiando una pillola che permetterà al colon di rigenerarsi, guarendo la permeabilità, ma è ancora in fase di studio. Forse tra molti anni sarà sul mercato disponibile per tutti.
Nel frattempo bisogna agire su: alimentazione e ripristino dell’equilibrio della flora intestinale e anche riduzione dello stress e del peso corporeo (a meno che l’elevato malassorbimento abbia causato una perdita di peso).

Esiste la dieta LOW FODMAP, studiata apposta per chi soffre di colon irritabile. Si riduce l’assunzione di zuccheri con l’alimentazione, e questo permette di ridurre lo sviluppo di batteri cattivi e di candida, con miglioramento dei sintomi.
Esiste la dieta PALEO, che eliminando i cereali dall’alimentazione aiuta a guarire la disbiosi. Bisogna mangiare molta carne e pesce e non è una dieta semplice da seguire.
Ci sono molti integratori di vitamine e fermenti lattici in commercio che aiutano il colon a rigenerarsi.  

Consigli: per eliminare la disbiosi eliminate gli zuccheri e i carboidrati dall’alimentazione !! Eliminate i lieviti e se siete intolleranti anche il lattosio e il fruttosio. Senza questi cibi la candida nel colon tornerà alla normalità, i batteri cattivi moriranno e quelli buoni potranno rigenerarsi. Prendete fermenti lattici (senza lattosio per gli intolleranti) e seguite la dieta fodmap, anche per quanto riguarda verdura e frutta (che contiene molto zucchero).
Nella dieta fodmap sono ammessi molti cereali, qui dipende dalla tollerabilità personale, può darsi che all’inizio sia meglio eliminare tutto, per poi introdurre con gradualità i cereali che vengono tollerati, ma attenzione alle quantità. 50 gr. di pasta possono essere tollerate, 500 gr. no. Stesso discorso per le verdure, 100 gr. a pasto vanno bene, ma il doppio no.
Fate movimento, bevete acqua naturale, calate di peso se necessario, riducete lo stress che bene non fa a nessuno.

Una curiosità: sapete che mangiare un piattone di pasta e mangiare molti cubetti di zucchero per il corpo è la stessa cosa? Quando sono nell’intestino sono assorbiti come puro glucosio. Mangereste un piattone di cubetti di zucchero? Non credo.
C’è una fortissima resistenza nella gente all’idea di eliminare dal menu pasta, riso, dolci, bevande dolcificate, pane & derivati, budini, ecc…. La gente vorrebbe una pillola miracolosa per guarire subito e che permetta di mangiare tutto, in maniera esagerata ed incontrollata. Una volta guariti dalla disbiosi bisogna rieducarsi ad un cibo sano ed evitare di tornare ai cibi di prima… altrimenti la disbiosi torna. .

Link ad articoli che ho scritto per il mio blog

1) Dieta low fodmap e dieta paleo:

2) Alterata permeabilità intestinale/SIBO:


3) Ricerche sui cibi:


Letture consigliate (libri letti da me che penso possono esservi utili)

Vivere 120 anni, di Adriano Panzironi

La paleo dieta, di Robb Wolf

Recuperare la tolleranza alimentare, di Attilio Francesco Speciani

Intestino libero, di Bernard Jensen

The complete Low Fodmap Diet (in inglese), di Sue Shepherd & Peter Bibson