mercoledì 27 gennaio 2016

L'idrope endolinfatico e la sindrome di Ménière

Per idrope endolinfatico si intende una condizione di aumento della endolinfa, liquido contenuto nell’orecchio interno ed  in particolare all’interno del labirinto membranoso, costituito dal canale cocleare, dal sacculo, dall’utricolo, dai tre canali semicircolari e dal dotto e sacco endolinfatico.

L’idrope endolinfatico è riconosciuto da tutta la comunità medico-scientifica da moltissimi anni come il substrato patologico della sindrome di Ménière, definita come l’associazione, con caratteristiche particolari, di crisi di vertigine rotatoria (illusoria percezione di movimento o dell’ambiente rispetto al corpo o del corpo rispetto all’ambiente), acufeni soggettivi (percezione uditiva non organizzata in assenza di qualunque sorgente sonora), ipoacusia neurosensoriale(riduzione dell’udito per disfunzione dell’orecchio interno), fullness (termine inglese, generalmente tradotto in italiano come ovattamento, sebbene nell’uso clinico si preferisca utilizzare il termine inglese, corrispondente a un senso di pressione e/o chiusura dell’orecchio, non obbligatoriamente accompagnato a riduzione dell’udito).

Definizioni utilizzate per la diagnosi

Idrope  endolinfatico e Malattia o Sindrome di Ménière non possono essere considerati sinonimi o definizioni intercambiabili poiché la prima rappresenta il substrato anatomopatologico della seconda, che si definisce per i suoi sintomi e non per la sua base anatomopatologica. In tutti i casi di Sindrome di Meniere è presente idrope ma non tutti i casi di idrope si manifestano o si manifesteranno in futuro come sindrome o malattia di Ménière.

I sintomi dell’Idrope

L’idrope oltre che manifestarsi con il quadro classico e tutti i sintomi della sindrome o malattia di Ménière, che peraltro possono fare la loro prima comparsa in epoche differenti, permettendo di definire i tal modo il quadro clinico del paziente spesso solo a distanza di molto tempo dall’esordio dei primi sintomi, può dare origine anche solo ad uno o più degli stessi sintomi che compongono, se associati, la sindrome, o con varianti tradizionalmente non incluse nella sindrome stessa. E l’idrope asintomatico, se si accetta, come ormai accettato dalla comunità scientifica da tempo che l’esame più affidabile per la diagnosi dell’idrope sia l’elettrococleografia, è molto più frequente di quanto non appaia dalle statistiche che tengono conto solo di pazienti, visto che l’esame risulta alterato anche in moltissime persone che non riferiscono alcun disturbo.
Avere “idrope” non significa quindi avere un patologia o che questa inevitabilmente si manifesterà con dei disturbi, ma solo avere una condizione parafisiologica (al limite del normale cioè) che potrebbe evolvere o meno in una vera condizione patologica con dei sintomi successivamente, ma la frequenza stessa dell’idrope, la frequente sporadicità dei sintomi che si prestano spesso in modo del tutto occasionale e in modo non invalidante, e l’assenza di vere terapie preventive, rendono impensabile e del tutto illogico lo sfruttamento di questo dato o di esami diagnostici di screening per attuare strategie di prevenzione.
L’idrope creando una disfunzione idromeccanica nell’orecchio interno può dare origine a uno o più dei seguenti sintomi da questa direttamente derivanti, contemporaneamente o in epoche differenti.
L’insieme dei sintomi elencati costituisce la Sindrome di Méniére. Ufficialmente si può usare quest’ultima definizione diagnostica solo se il paziente “ha avuto nella vita almeno 2 attacchi di vertigine rotatoria oggettiva della durata di almeno 20 minuti”, oltre ad acufeni ed ipoacusia. 

VERTIGINI
crisi rotatorie RECIDIVANTI oggettive spontanee
crisi parossistiche posizionali
disequilibrio soggettivo a crisi o cronico

ACUFENI SOGGETTIVI  (bio-elettrici)
fluttuanti, non costanti, variabili persistenti, invariabili, progressivi

ALTERAZIONEDELL’UDITO
ipoacusia fluttuante, variabile, incostante
ipoacusia persistente invariabile o progressiva
disacusia e/o iperacusia

FULLNESS
(Sensazione di pressione o occlusione)

VERTIGINI

Tutte le forme di vertigini recidivanti a crisi, spontanee o posizionali, di qualunque durata e tipo,  e ogni situazione di disequilibrio soggettivo transitorio o persistente sono sempre dovute ad idrope.

Sono quindi da ricondurre all’idrope, secondo questa affermazione,  non solo crisi recidivanti di tipo rotatorio-oggettivo spontanee della durata di almeno 20 minuti l’una come richiesto nella definizione classica della sindrome di Méniere, ma anche la vertigine parossistica posizionale scatenata in modo specifico da cambiamenti di posizione, tradizionalmente attribuite ad una patogenesi mai realmente dimostrata, la cupololitiasi, o disturbi soggettivi dell’equilibrio (disequilibrio soggettivo cronico). Le crisi rotatorie oggettive spontanee, che possono peraltro durare un tempo anche minore di quanto preso in considerazione dalla definizione ufficiale di sindrome di Meniere, sono la diretta espressione di un brusco aumento dell’endolinfa e del conseguente stimolo delle cupole dei canali semicircolari, i recettori che informano il cervello circa le accelerazioni angolari (ovvero di tipo rotatorio) della testa nei tre assi,  al fine di aggiustare automaticamente la posizione degli occhi, e l’equilibrio.

Ma è anche sempre dovuta all’idrope, e in questo caso agli effetti dell’asimmetria esercitata dall’eccesso di endolinfa sulle macule del sacculo e dell’utricolo, i recettori gravitazionali e di accelerazione lineare già menzionati,  la percezione di disequilibrio soggettivo (percezione di instabilità o sbandamento in assenza di vera instabilità o di vera perdita di equilibrio), più o meno invalidante nello specifico paziente anche a seconda del grado di attenzione prestata, e del tentativo di correzione del disturbo, a sua volta strettamente correlati allo stato psichico del paziente ed a componenti intimamente psichiche come ansia e ipocondria.

ACUFENI E IPOACUSIA

L’acufene soggettivo, ovvero la percezione di un segnale acustico di tipo non intermittente (fischio, ronzio, fruscio, sibilo, rombo ecc), indipendentemente dalle sue caratteristiche di durata, è sempre l’espressione di un segnale bio-elettrico generato nell’ambito dell’apparato uditivo ed in particolare nel tratto orecchio interno – nervo acustico
Non esiste alcuna sorgente sonora che produca meccanicamente (secondo le regole fisiche dell’acustica) il suono o rumore percepito dal paziente, ma una sorgente di segnale bio-elettrico che produce un segnale bio-elettrico, il quale viaggiando lungo le fibre del nervo acustico e passando per le stazioni intermedie delle vie acustiche centrali, giunge alla area acustica della corteccia cerebrale, dove viene percepito come segnale acustico.

L’acufene soggettivo, nella maggior parte dei casi, non è altro che la percezione del segnale bio-elettrico generato e propagato fino alla corteccia esattamente come avviene normalmente, ma in questo caso non in risposta ad  una stimolazione reale proveniente dall’esterno.  

Sebbene al momento non sia stato confermato alcun altro meccanismo certo con il quale qualcosa diverso dall’idrope e dalla disfunzione idromeccanica da questo esercitata possa produrre un acufene soggettivo, è possibile che esistano anche meccanismi, quali danni permanenti a livello delle cellule ciliate, o una produzione autonoma, improbabile ma che non può ancora essere esclusa, a causa di danni a livello delle vie uditive centrali. 

Il tipico acufene della Sindrome di Meniere, e quindi da idrope, comunque, stando a quello su cui tutti concordano è un acufene, almeno all’inizio, fluttuante, sebbene non sia assolutamente vero che un acufene esordito come persistente non possa essere dovuto ad un idrope persistente. Ciò nonostante la diagnosi è spesso misconosciuta in assenza di un quadro classico e tipico “da manuale” dei Malattia di Ménière con tutti i sintomi che la costituisco.
Dall’ idrope sono causati, con lo stesso meccanismo, ovviamente anche tutti gli acufeni transitori di breve durata, quali quelli da trauma acustico che si verificano all’uscita da un concerto o da una discoteca. La frequenza di questi acufeni transitori da idrope è tale da aver generato noti detti popolari a conferma di quanto l’idrope sia frequente.

FULLNESS

La sensazione di orecchio chiuso e/o pressione nell’orecchio (fullness) è sempre dovuta a una di queste tre possibili cause: ostruzione del condotto uditivo esterno, ad esempio da tappo di cerume; accumulo di secrezione a densità variabile dell’orecchio medio (otite catarrale o sieromucosa, glue ear), o a un idrope endolinfatico o forse anche più spesso perilinfatico dell’orecchio interno.

Nei primi due casi però è inevitabile l’associazione con una ipoacusia trasmissiva di tipo meccanico,  (e non neurosensoriale), dovuta all’ostruzione del meccanismo di conduzione aerea dell’orecchio esterno, nel caso del tappo di cerume, o all’impedimento alla normale vibrazione della membrana del timpano.

Nel caso di percezione di orecchio chiuso (fullness) dovuta all’idrope (più probabilmente in questo caso alla pressione nel compartimento perilinfatico per aumento di perilinfa o per trasmissione della aumentata pressione endolinfatica), invece l’ipoacusia  può associarsi o anche mancare mentre è, di solito, riferito dal paziente un senso di pressione, di spinta avvertito all’interno dell’orecchio, più raramente riferito se il senso di occlusione è dovuto ad altre cause.
La diagnosi differenziale è comunque in questo caso molto semplice eseguendo un esame audiometrico e soprattutto un esame impedenzometrico (timpanometria, studio della motilità del timpano). Se la timpanometria mostra l’assenza di ostacoli alla normale mobilità della membrana timpanica, l’unica causa possibile di fullness resta l’idrope dell’orecchio interno.

LE CAUSE DELL’IDROPE E LE TERAPIE SPECIFICHE ANTi-IDROPE

Il meccanismo primario che porterebbe all’aumento dei liquidi labirintici non è ancora stato accertato nonostante molte ipotesi siano state formulate. Quelle attualmente più seguite sono il difetto di riassorbimento dovuto ad ostruzione del dotto endolinfatico e/o del sacco endolinfatici, che si ritiene essere la sede primaria di riassorbimento dell’endolinfa e l’eccesso di produzione da parte della cosiddetta stria vascolare. Che l’occlusione sperimentale del dotto endolinfatico possa portare a idrope è un dato certo e confermato, ma in patologia umana sono probabilmente implicati anche altri fattori.

L’ipotesi più suggestiva e finora l’unica supportata da conferme scientifiche e basi logiche  di fisiologia umana è invece quella che mette in relazione l’idrope con l’ormone antidiuretico (ADH, vasopressina, adiuretina). Nonostante la conferma, certa ormai da diversi anni (Beitz E. 1999 e numerose altre pubblicazioni) della presenza nell’orecchio interno di recettori specifici per l’ADH e di aquaporine(canali proteici che modificherebbero la loro permeabilità in risposta all’interazione tra l’ADH ed i suoi recettori), e l’efficacia dimostrata da terapie specifiche che riducono indirettamente la produzione di ormone antidiuretico, l’esatto meccanismo che porterebbe all’idrope o all’insorgenza dei non è però ancora noto ed è probabile che questo risulti da più fattori associati quali ad esempio una ipersensensibilità all’azione dell’ADH e/o condizioni anatomiche favorenti, quali un ridotto riassorbimento a livello del sacco endolinfatico.

Ormai accertato invece è il ruolo dello stress, come fattore favorente e di mantenimento o ricorrenza dei sintomi ed è certo che l’ormone antidiuretico è uno dei principali ormoni da stress del nostro organismo.
Una possibile spiegazione è che picchi non costanti di ADH (ormone sensibile soprattutto alla osmolarità plasmatica, ovvero alla carenza di liquidi, e allo stress, non solo psicogeno, ma anche di natura climatica o legata  ad altri fattori) determinerebbero una aumentata produzione a poussées di endolinfa nell’orecchio interno.  

Quando la capacità di smaltimento e riassorbimento dell’eccesso dei liquidi si mantiene nella norma potrebbero comparire sintomi sporadici e occasionali, o  anche nessun sintomo, mentre la presenza di ostacoli al riassorbimento dei liquidi associati ad aumentata produzione potrebbero portare a disturbi più frequenti o duraturi o addirittura a disturbi stazionari.

Senza tenere in considerazione le numerose terapie prive a priori di alcuna possibile efficacia nei confronti dell’idrope e propagandate spesso solo a scopo speculativo per questa come per molte altre situazioni, quali integratori, vitamine, aminoacidi, ricostituenti, rimedi omeopatici, e tutte le cure cosiddette “alternative”agopunturaosteopatia ed altro, aventi tutte in comune l’assenza di un meccanismo d’azione noto e che possa giustificare benefici diversi da un eventuale e comunque molto raro, effetto placebo o risoluzione spontanea non legata alla terapia, oltre ai già citati vasodilatatori e fluidificanti, i farmaci più comuni ancora oggi impiegati in modo specifico per l’idrope sono i diuretici per via orale.
Purtroppo questi, e l’ultima letteratura scientifica sembra anche iniziare a confermarlo, spesso si rivelano più dannosi che utili, e comunque privi di qualunque efficacia, visto che la loro azione specifica sull’orecchio è bassissima se non addirittura nulla.

Molto diffuso è anche l’impiego di un altro tipo di diuretico, il diuretico osmotico, (mannitolo, glicerolo) che nonostante condivida la definizione relativa all’effetto più evidente (l’aumentata diuresi) con i diuretici per via orale, agisce con un meccanismo del tutto differente.
Introdotte per via endovenosa direttamente nel sangue, queste sostanze ad alto peso molecolare attirano verso il sangue acqua dagli spazi interstiziali dei tessuti per osmosi (il liquido si sposta verso le soluzioni a maggior concentrazione) e questo è il meccanismo che poi porta all’effetto terapeutico per ulteriore inibizione dell’ADH e ovviamente alla maggior diuresi esattamente come avviene in modo molto più diretto e fisiologico per l’iperassunzione di acqua per via orale.

Vanno inoltre menzionate le terapie meccaniche che puntano a spingere meccanicamente il liquido in eccesso verso il suo presunto punto di riassorbimento.

Sullo stesso principio si basa la documentata ma non costante efficacia dei trattamenti in camera iperbarica, dove il paziente vien esposto ad una pressione ambientale superiore a quella atmosferica abituale.

Infine è necessario citare una procedura chirurgica che nella sua logica si presenta come la più ovvia delle soluzioni: l’apertura e l’inserimento mediante intervento chirugico di una valvola nel sacco endolinfatico, ovvero là dove si presume debba avvenire il riassorbimento dei liquidi. In tal modo l’aumento della pressione dell’endolinfa verrebbe immediatamente (in teoria) smaltito attraverso la valvola. La procedura prende il nome di drenaggio del sacco endolinfatico. La procedura chirurgica purtroppo non è immune da possibili complicanze anche gravi, non solo a carico dell’udito ma anche maggiori, seppur rare.  


Tratto da: (Dr. Andrea La Torre – Specialista in Otorinolaringoiatria – www.drlatorre.info)



domenica 3 gennaio 2016

Esercizi per la canalolitiasi dx e sx

Eseguire questi esercizi solo dopo aver consultato il proprio medico !! 

CANALOLITIASI SINISTRA

-       Seduti di traverso al letto (1) passate rapidamente sul fianco sinistro ed aspettate che la vertigine termini.
-       Nel caso non si scatenasse alcuna vertigine rimanete nella posizione (2) per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (3) e mantenetela per 30 secondi o fino all'esaurimento della vertigine.
-       Passate rapidamente sul fianco destro (4); nel caso compaia vertigine attendete che termini; qualora non comparisse vertigine mantenete questa posizione per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (5).
-       Nel caso che in almeno una delle posizioni compaia vertigine ripetete la sequenza fino a quando nessuna delle posizioni provochi vertigine.
-       Ripetete questi esercizi ogni 3 ore.
-       Interrompete gli esercizi quando da due giorni non compare vertigine.

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CANALOLITIASI DESTRA

-       Seduti di traverso al letto (1) passate rapidamente sul fianco destro ed aspettate che la vertigine termini.
-       Nel caso non si scatenasse alcuna vertigine rimanete nella posizione (2) per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (3) e mantenetela per 30 secondi o fino all'esaurimento della vertigine.
-       Passate rapidamente sul fianco sinistro (4)
-       nel caso compaia vertigine attendete che termini
-       qualora non comparisse vertigine mantenete questa posizione per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (1).
-       Nel caso che in almeno una delle posizioni compaia vertigine ripetete la sequenza fino a quando nessuna
delle posizioni provochi vertigine.
-       Ripetete questi esercizi ogni 3 ore.
-       Interrompete gli esercizi quando da due giorni non compare vertigine.

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La Vertigine Parossistica Posizionale Benigna

La Vertigine Parossistica Posizionale Benigna rappresenta la forma di vertigine più frequente in assoluto e colpisce qualsiasi fascia d’età, dal bambino al novantenne, con un picco intorno ai 40-60 anni.

La Vertigine Parossistica Posizionale Benigna (VPPB) è caratterizzata da violente crisi di vertigine e, spesso, da instabilità. La vertigine è estremamente caratteristica poiché:

è di breve durata: dura circa 20-40 secondi, durante i quali il paziente vede muovere l’ambiente;
è parossistica: i sintomi aumentano gradualmente fino a raggiungere un picco, per poi ridursi fino a scomparire del tutto;
è posizionale: è scatenata solo dall’assunzione di alcune posizioni e movimenti come stendersi o alzarsi dal letto, girarsi su un fianco o sull’altro quando si è distesi, alzare o abbassare la testa, piegarsi in avanti;
è benigna: molto frequentemente (ma non sempre) si risolve spontaneamente nel giro di 7-15 giorni;
è associata ad un nistagmo specifico: il nistagmo è un movimento dei globi oculari, le cui caratteristiche consentono di stabilire qual è l’orecchio e qual è il canale semicircolare interessato dal disturbo.

Perché insorgono i sintomi?

I sintomi sono determinati dalla presenza, in uno o più canali semicircolari, di una quantità eccessiva di otoconi.
Nel soggetto normale, gli otoconi ricoprono le macule dell’utricolo e del sacculo, due strutture che contribuiscono al controllo dell’equilibrio e dalle quali gli otoconi stessi si distaccano fisiologicamente, penetrando in quantità controllate nei canali semicircolari.

Se il distacco è eccessivo, dalla macula dell’utricolo gli otoconi penetrano in uno o più canali semicircolari, all’interno dei quali formeranno una massa critica che potrà rimanere libera nel lume del canale, dando luogo alla canalolitiasi, o potrà aderire a una struttura gelatinosa definita cupola, dando luogo alla meno frequente cupololitiasi.

In ordine di frequenza, il posteriore è il canale semicircolare più interessato, seguito dal laterale e quindi dall’anteriore.

Il movimento degli otoconi nel canale, conseguente ai movimenti o alle posizioni scatenanti ricordati prima, sarà responsabile della vertigine. Contemporaneamente, la macula dell’utricolo, alleggerita eccessivamente dal distacco non fisiologico degli otoconi, non svolgerà correttamente la propria funzione e sarà pertanto responsabile dell’instabilità.

Quali sono le cause?

Numerose possono essere le cause responsabili dell’eccessivo distacco degli otoconi dalle macule:
un banale trauma cranico, sofferenza circolatoria, ipertensione, presenza di livelli elevati di colesterolo e trigliceridi, diabete, infezioni virali, malattie a carico dell’orecchio come otite cronica, otosclerosi, malattia di Menière, malattia autoimmune della tiroide, emicrania, ecc.
Purtroppo, nella maggior parte dei casi non è possibile riscontrare alcuna causa apparente e allora la VPPB è definita idiopatica.

Diagnosi

Un’attenta anamnesi è fondamentale per orientare la diagnosi.
Generalmente il paziente è molto preciso nel raccontare i suoi sintomi: riferirà, infatti, che la vertigine insorge a seguito di precisi movimenti e in particolari posizioni, che è molto violenta e altrettanto breve, e che si ripete ogni qualvolta ripete lo stesso movimento o assume la stessa posizione.

L’esame vestibolare e in particolare le manovre di posizionamento rapido di Dix-Hallpike, positiva se sono interessati i canali semicircolari posteriore ed anteriore, e di Pagnini-McClure, positiva se è interessato il canale semicircolare laterale, confermano il sospetto diagnostico.

Tali manovre hanno lo scopo di mobilizzare gli otoconi e di provocare la vertigine ed il tipico nistagmo, le cui caratteristiche consentono di stabilire in quale orecchio ed in quale canale semicircolare è presente l’ammasso di otoconi.
Confermata la diagnosi, sarà possibile passare alla terapia. Nei casi tipici, non è necessario eseguire alcun altra indagine.

La terapia

La VPPB è trattata sottoponendo il paziente a manovre liberatorie specifiche, il cui scopo è di allontanare, nel giro di pochi secondi, l’ammasso dal canale semicircolare interessato. Tra le più utilizzate ricordiamo la manovra di Epley, Semont, Gufoni, la posizione coatta di Vannucchi, ecc.

L’efficacia della manovra è confermata dall’immediata scomparsa dei sintomi: i movimenti e le posizioni scatenanti che fino a qualche minuto prima determinavano vertigine e nistagmo non provocheranno più alcun fastidio.

Dopo manovra liberatoria efficace può persistere instabilità, che scomparirà con il recupero della funzione della macula dell’utricolo: affinché questo avvenga, dovrà essere prodotta una quantità di otoconi tale da “riempire” il vuoto lasciato dagli otoconi distaccatisi in eccesso.

In caso di fallimento delle manovre liberatorie si ipotizza la presenza di un ammasso eccessivamente voluminoso che stenta pertanto a fuoriuscire dal canale o che l’ammasso stesso sia adeso alla cupola (cupololitiasi) e pertanto non mobilizzabile. 

In entrambi i casi, il paziente si sottoporrà per 7-10 giorni a particolari esercizi domiciliari (tecnica di dispersione di Brandt-Daroff) che hanno lo scopo di mobilizzare gli otoconi e di favorire quindi il buon esito delle successive manovre liberatorie.

Anamnesi attenta, esame vestibolare e manovre liberatorie correttamente condotti consentono di riconoscere, diagnosticare e trattare la forma più comune di vertigine nell'uomo.

(tratto da Medicitalia)



Le vertigini

La corretta sensazione di equilibrio è resa possibile da una serie di informazioni che derivano fondamentalmente da tre sistemi:
vestibolare;
visivo;
propriocettivo.

1. Il sistema vestibolare è costituito da:

una struttura periferica, il labirinto, localizzato nell’orecchio interno e costituito da tre canali semicircolari (anteriore, laterale e posteriore) e dalle macule del sacculo e dell’utricolo. I canali semicircolari sono sensibili alla rotazione (destra-sinistra) ed alla flesso-estensione del capo (alto-basso). Le macule sono sensibili alla forza di gravità ed alle accelerazioni sul piano verticale (come nell’ascensore) o orizzontale (come nel caso di una spinta da dietro);

varie strutture cerebrali (tronco encefalico, cervelletto, corteccia cerebrale) che formano le vie vestibolari centrali. Tali strutture hanno lo scopo di elaborare i segnali, di modularli ed integrarli con segnali provenienti dal sistema visivo e propriocettivo e di trasferirli alla corteccia cerebrale, dove daranno luogo alla percezione cosciente del nostro stato di equilibrio.

Tali complesse strutture svolgono due fondamentali funzioni:

stabilizzazione dello sguardo; ogni movimento del corpo e/o della testa determina una stimolazione del labirinto e quindi un riflesso compensatorio degli occhi che ha lo scopo di mantenere sempre stabile la visione: il riflesso vestibolo-oculomotore. Si tratta di un riflesso ad alto guadagno: ossia, se la testa ruota ad esempio ad una velocità di 50 gradi al secondo, gli occhi si muoveranno in senso contrario ad una velocità molto simile, diciamo 45 gradi al secondo;

stabilizzazione della postura; anche in questo caso, il movimento determina la stimolazione del labirinto e quindi la contrazione di precise catene muscolari indispensabili per il mantenimento dell’equilibrio e della posizione della testa sul collo: i riflessi vestibolo-spinale e vestibolo-collico.

2. Il sistema visivo svolge un ruolo fondamentale nell’esplorazione dello spazio e consente, grazie ai riflessi visuo-oculomotori, di:

spostare rapidamente lo sguardo allo scopo di visualizzare un oggetto che compare improvvisamente nel campo visivo: il movimento saccadico;

seguire un oggetto che si muova lentamente nel campo visivo, generando un  movimento oculare definito di inseguimento;

stabilizzare lo sguardo quando si osservano scene in movimento, come quando si guarda fuori dal finestrino viaggiando in auto o in treno: il riflesso otticocinetico.
 
3. Il sistema propriocettivo cervicale consente di:

stabilizzare il capo, grazie al riflesso cervico-collico;
stabilizzare lo sguardo, grazie al riflesso cervico-oculomotore. A differenza del riflesso vestibolo-oculomotore, il riflesso cervico-oculomotore nell’uomo ha un guadagno estremamente basso: ossia, se ruotiamo la testa con una velocità di 50 gradi al secondo, gli stimoli a partenza del collo determineranno un movimento oculare compensatorio di soli 3-5 gradi al secondo. Pertanto, in condizioni normali, la capacità di stabilizzazione dello sguardo ad opera delle strutture cervicali è estremamente ridotta.

Riassumendo, per un corretto equilibrio sono necessari riflessi per la:

stabilizzazione dello sguardo: sono implicati esclusivamente il riflesso vestibolo-oculomotore ed il riflesso otticocinetico; il riflesso cervico-oculomotore nell’uomo sano non gioca praticamente alcun ruolo;

stabilizzazione della postura: vestibolo-spinale, vestibolo-collico, cervico-collico;
variazione dello sguardo: movimenti saccadici e di inseguimento.

La vertigine è un sintomo determinato dalla impossibilità di mantenere lo sguardo stabile ed è definita oggettiva se il paziente “vede muovere (e non necessariamente girare) l’ambiente”, mentre è definita soggettiva se il paziente “si sente muovere o girare rispetto all’ambiente”.

Da cosa sono causate?

Qualsiasi patologia in grado di alterare i riflessi di stabilizzazione dello sguardo (vestibolo-oculomotore, ottico-cinetico e cervico-oculomotore) determinerà vertigine.
In realtà, poiché il peso maggiore fra tali riflessi è giocato dal riflesso vestibolo-oculomotore, soltanto una sofferenza a carico del sistema vestibolare periferico o centrale potrà determinare la comparsa di vertigine.
La contemporanea alterazione del riflesso vestibolo-spinale sarà responsabile dell’instabilità, spontanea o provocata dal movimento.
Da quanto appena ricordato, deriva che la vertigine di origine cervicale non esiste. Considerato infatti lo scarso guadagno del riflesso cervico-oculomotore, la sofferenza cervicale non potrà mai indurre una instabilità oculare tale da indurre vertigine, mentre è possibile che tale sofferenza possa alterare il riflesso cervico-collico con conseguente instabilità.
I disturbi della vista infine possono indurre instabilità ma, anche in questo caso, mai vertigine.

Le cause devono essere dunque ricercate in patologie vestibolari periferiche (labirintite, neurite vestibolare, malattia di Menière, fistola labirintica, vertigine parossistica posizionale benigna, ictus labirintico, deiscenza del canale semicircolare superiore, ecc), o centrali (emicrania, lesioni vascolari, insufficienza vertebro-basilare, malattie degenerative, epilessia, neoplasie).

Diagnosi

Il paziente deve sottoporsi il più precocemente possibile ad esame vestibolare e ad una serie di esami audiologici mirati alla ricerca di una eventuale patologia a carico delle strutture vestibolari periferiche e/o centrali.
In sintesi, i punti fondamentali di un corretto iter diagnostico sono i seguenti:
L'anamnesi. È di estrema importanza analizzare correttamente le caratteristiche della vertigine, l’epoca e la durata del primo episodio, le modalità di insorgenza, l’andamento temporale dei sintomi, la ricorrenza degli stessi, i fenomeni neurovegetativi di accompagnamento (nausea, vomito, sudorazione, pallore, sbadigli), gli eventuali sintomi uditivi associati (sensazione di sentire di meno, ovattamento auricolare, fischi, ronzii).

Lo studio della funzione vestibolo-oculomotoria e vestibolo-spinale. Prevede lo studio del nistagmo spontaneo-posizionale (nelle cinque posizioni canoniche); del nistagmo provocato da manovre cliniche (rotazione e flesso-estensione e del capo, manovre di Dix-Hallpike e di Pagnini-McClure, head shaking test); del nistagmo provocato da manovre strumentali (prove di stimolazione termica, prove roto-acceleratorie, test vibratorio); del nistagmo evocato da manovre oculari; il test di Halmagyi; la stabilometria statica e dinamica, i potenziali vestibolari miogenici (cervicali ed oculari) evocati da stimolo acustico.

Lo studio della funzione visuo-oculomotoria. Prevede lo studio dei movimenti saccadici, dei movimenti di inseguimento e del riflesso otticocinetico.

Lo studio della funzione uditiva. Si avvale, quando necessario, dell’audiometria tonale liminare, dell’esame impedenzometrico con lo studio dei riflessi stapediali, dei potenziali evocati precoci del tronco (ABR).

Trattamento

Stabilita la diagnosi, ed escluse patologie di interesse chirurgico o che richiedano l’intervento di altre figure specialistiche, il paziente viene sottoposto ad un trattamento farmacologico ma soprattutto riabilitativo personalizzato, da iniziare il più precocemente possibile.
L'approccio terapeutico è radicalmente cambiato negli ultimi anni grazie alle conoscenze sempre più approfondite del compenso vestibolare, ossia di quel complesso fenomeno spontaneo che consente al sistema nervoso centrale di riprogrammare il nostro sistema dell’equilibrio in presenza di una lesione a carico del sistema vestibolare.
Fino a qualche anno fa, infatti, il trattamento si basava essenzialmente sul concetto di soppressione del sintomo, con paziente costretto a letto ed invitato ad assumere farmaci sintomatici aventi lo scopo di ridurre la sensazione di vertigine.
Oggi è invece noto che l’immobilità e la soppressione del sintomo “vertigine” privano le strutture del sistema nervoso centrale di quel "conflitto di informazioni" assolutamente indispensabile per favorire l'instaurarsi del compenso vestibolare e della già ricordata riprogrammazione del sistema dell’equilibrio.
Si è passati dunque dalla vestibolo-soppressione farmacologica alla stimolazione fisica precoce, che si concretizza in una vera e propria riabilitazione vestibolare: il paziente con disturbi dell’equilibrio deve essere sottoposto ad un corretto e precocissimo trattamento riabilitativo mirato, al quale si associa, a seconda dei casi, la terapia farmacologia a base cortisonici, anticolinergici, antistaminici, antiemetici, osmotici, diuretici, farmaci per migliorare la circolazione, nootropi, benzodiazepine ecc.

La vertigine è un sintomo determinato da una sofferenza del sistema vestibolare periferico o centrale. La correttezza della diagnosi, la terapia farmacologica e soprattutto la riabilitazione vestibolare precoce garantiscono il raggiungimento di risultati eccellenti, che smentiscono in maniera categorica il luogo comune che  “dalla vertigine non si guarisce”.

(Tratto dal sito di: medicitalia)