lunedì 19 giugno 2017

Probiotici, azione dimagrante e antipsicotica

La relazione tra il microbiota intestinale (flora batterica) e la comparsa di malattie metaboliche (obesità, diabete) e neuropsichiatriche è stata ampiamente documentata, così come l’efficacia della somministrazione dei probiotici (microrganismi vivi) nel controllo dei processi infiammatori.

Ma esistono dei probiotici che possono ridurre la massa grassa e contemporaneamente indurre effetti benefici sulla psiche?
Lo hanno indagato i ricercatori della Sezione di Nutrizione Clinica e Nutrigenomica, Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’Università di Tor Vergata (Roma) su 48 donne normopeso e sovrappeso, trattate per 3 settimane con una sospensione orale di probiotici (3 grammi).
I partecipanti, sottoposti a valutazione della composizione corporea e del profilo psicologico mediante questionari, sono risultati per il 26% normali come peso e massa grassa, il 24% normopeso (indice di massa corporeo BMI <25 kg/m2), ma con massa grassa superiore alla norma, e il 50% preobeso con BMI tra 25 e 30 kg/m2 ed eccesso di massa grassa.
Al termine dell’assunzione dei probiotici è stato osservato un effetto dimagrante nei soggetti preobesi, ossia una diminuzione significativa del BMI (7%), della circonferenza addominale (9%) e della massa grassa (8%) e un aumento della massa magra; un decremento del (3%) di tessuto adiposo negli individui normopeso con massa grassa superiore.
E’ stato interessante rilevare in tutti i soggetti un miglioramento di disturbi del comportamento emozionale, quali percezione errata del proprio corpo, insoddisfazione, depressione, ansia, turbe ossessivo/compulsive, fobia, paranoia e alterazioni del sonno.
Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Journal of Translational Medicine, nel giugno 2017.

Microbiota intestinale

E’ un ecosistema dinamico e complesso contenente circa 1 kg di batteri nell’adulto, paragonabile al peso del cervello umano.

Composto da 14 famiglie, 45 generi e 400-500 specie di microrganismi nel tratto intestinale, viene influenzato dalla dieta e interferisce con il sistema immunitario, il metabolismo e l’umore dell’ospite mediante il rilascio di mediatori (neutrotrasmettitori): Lactobacillus e Bifidobacterium producono il trasmettitore GABA; Escherichia, Bacillus e Saccharomices spp, la noradrenalina; Candida, Streptococcus, Escherichia e Enterococcus, la Serotonina; Bacillus, la Dopamina; Lactobacillus, l’acetilcolina.

Per questo è stato chiamato anche psicobiota: è coinvolto nei disordini psichiatrici come stress, ansia e depressione, regola la neuroinfiammazione, la risposta neuroendocrina allo stress e il comportamento.

Sospensione di probiotici nello studio

Sono stati somministrati probiotici Bifidobatteri e Lattobacilli, in particolare Streptococcus thermophilus SGSt01, Bifidobacterium animalis, lactis SGB06, bifidum SGB02, Lactobacillus delbrueckii spp., bulgaricus DSM 20081, Lactococcus lactis subsp.lactis SGLc01, acidophilus SGL11, plantarum SGL07, reuteri SGL01.
Gli effetti positivi su stress psicologico, ansia, depressione, controllo dell’appetito ed effetto sul peso corporeo, li rendono degli psicobiotici.
L’azione sul comportamento si è manifestata tramite l’asse microbiota intestinale-cervello: i mediatori prodotti dai batteri hanno modulato la funzione cerebrale e viceversa, dal cervello alla secrezione intestinale.

L’esperienza clinica sta sempre più mettendo in evidenza l’importanza della personalizzazione di probiotici e dieta, in base alla composizione corporea, al microbiota intestinale e al comportamento alimentare.




lunedì 30 gennaio 2017

Il Ribes nigrum

Azione antinfiammatoria – antidolorifica – antiallergica

Il ribes nigrum è da molti considerata una pianta “cortison-like”, cioè una pianta con proprietà ed attività cortisono-simili.
Tale proprietà è legata alla capacità di alcune sostanze in esso contenute di stimolare la corteccia surrenalica a produrre steroidi, con l’evidente vantaggio di avere tutti gli effetti che un surplus cortisonico può dare, evitando al contempo gli effetti collaterali (potenziale ulcerogenicità) che un cortisone di sintesi può invece arrecare; tutto confermato anche in sperimentazioni durante le quali la somministrazione dell’estratto idroalcolico di foglie di ribes è stata effettuata in alte dosi in trattamenti cronici.
Si ottiene quindi in tal modo, prima di tutto una spiccata capacità antinfiammatoria, confermata anch’essa più volte sperimentalmente, e dovuta principalmente alle già citate prodelfinidine (proantocianidine) le quali sono dotate di azione capillaroprotettiva ed antiedemigena.  A queste ultime  vanno aggiunti i flavonoidi (ed in particolare rutina, quercetina, miricetina, altre fondamentali sostanze dalle spiccate capacità antinfiammatorie possedute dal ribes nero; capacità che nel caso dei flavonoidi in questione, vanno di pari passo con quelle analgesiche da questi ultimi ugualmente dimostrate sperimentalmente. Riguardo a quest’ultima proprietà essa è probabilmente dovuta all’inibizione della biosintesi di prostaglandine.

Alla luce della ben nota capacità di ridurre esclusivamente la biosintesi di IgE (immunoglobuline che aumentano nei casi di allergia), e del suo impiego da decenni nella risoluzione di diverse sindromi allergiche, per ciò che si è detto finora riguardo anche alle se proprietà cortisono-simili, risulta di immediata comprensione perché contro le allergie il ribes nero risulta da sempre tra i rimedi fitoterapici di elezione, e perché spesso l’utilizzo di Ribes nigrum viene consigliato a supporto e per la risoluzione dei dolori articolari nelle loro manifestazioni meno gravi ed invalidanti.

Azione antiradicalica (“antinvecchiamento”)

Per molti non sarà una novità, ma è bene ricordare che il ribes sia come frutto che in particolare nella forma di estratto delle foglie e nelle gemme, nasconde importanti capacità antiradicaliche (conferitele dai flavonoidi, dalle antocianidine e dalle vitamine antiossidanti), che consentono di impedire l’attacco di queste molecole nocive alle nostre membrane cellulari preservandole “dall’invecchiamento precoce”. Queste fungono da veri e propri “spazzini” dei radicali liberi circolanti nel nostro organismo, abbassando la loro concentrazione nel nostro organismo, con comprensibili benefici per il nostro stato di benessere generale. A proposito delle antocianidine, quelle specificamente contenute nei ribes, da una ricerca che ha testato l’attività antiradicali liberi di nove diversi estratti da “frutti a bacche”, si sono dimostrate le seconde più efficaci confermando ancora una volta l’attitudine “antiscorie” di questo frutto. Un altro studio clinico ha inoltre provato, che diminuendo la secrezione di citochine infiammatorie derivata da un prolungato esercizio fisico, il ribes nigrum è capace di ridurre lo stress ossidativo da prolungata attività motoria. Non trascurabile è infine l’apporto dato dall’elevatissimo contenuto in Vitamina C, da molti considerato l’antiossidante naturale per eccellenza.
  
Azione neuro protettiva e vasoprotettrice

Direttamente collegata alla precedente azione è poi quella “antisenescente”, principalmente dal punto di vista neurologico, la quale è stata rivelata negli ultimi anni grazie a specifiche sperimentazioni nelle quali è stata testata l’azione di questa pianta. Si è così evidenziato che estratti fenolici di ribes nero consentono un efficace effetto neuro protettivo dallo stress ossidativo indotto, in colture di cellule umane. Altri studi suggeriscono che l’isoramnetina ha effetti neuro protettivi, e la miricetina sembra inibisca la formazione e crescita delle fibrille di proteina beta-amiloide.
Studi preliminari condotti dall’ Horticulture and Food Research Institute in Nuova Zelanda qualche anno fa (ed ora in fase di ulteriore approfondimento), hanno dimostrato che i polifenoli e le antocianine contenute in questo “frutto pluriterapico”  influenzano l’espressione genica legata alla memoria ed all’apprendimento in tarda età, svolgendo in tal modo un’azione protettiva contro l’Alzheimer.

Sia la quercetina che la isoramnetina inoltre, riducendo la pressione sanguigna migliorano l’attività circolatoria, innescando una potenziale funzione protettiva contro lo sviluppo di fenomeni di demenza a connotazione vascolare. In tale attività protettiva, è da dire comunque, che è sicuramente coinvolto l’intero fitocomplesso che caratterizza il ribes nero, in quanto questo  si è mostrato anche capace di inibire le lipoproteine a bassa densità (colesterolo LDL), così come di ridurre le malattie cardiovascolari.

Azione ipotensiva e diuretica

Come già accennato, le foglie di ribes nero essiccate e preparate come decotto, vengono utilizzate da sempre come diuretico con buoni risultati. Tali risultati risultano oggi suffragati anche da dati sperimentali certi che pongono l’estratto fluido delle foglie di questa pianta (siano essi in soluzione alcolica, idroalcolica o di macerato) come paragonabile per efficacia diuretica, ad uno dei farmaci di elezione quali il furosemide (molecola attiva del Lasix). A questo pare contribuisca anche l’elevato rapporto sodio/potassio rilevato sperimentalmente sia nelle semplici foglie che nei decotti di quest’ultime. Se a tale riduzione dei liquidi circolanti aggiungiamo il qui precedentemente citato effetto congiunto di quercetina ed isoramnetina, ecco motivata anche l’azione ipotensiva, anch’essa sperimentalmente accertata.Uno studio condotto seppur su un piccolo campione di pazienti ha inoltre dimostrato  che innalzando il pH dell’urina, l’utilizzo del ribes incrementa l’eliminazione di acido ossalico e citrico con evidenti effetti benefici sull’urolitiasi (calcoli urinari).

Azione antibiotica ed antivirale

Anche in quest’ambito di proprietà la fanno da padrone per efficacia le antocianine, le quali oltre alle sopracitate proprietà si sono dimostrate efficaci anche come sostanze ad azione antimicrobica con un discreto spettro d’azione (attive contro Acinetobacter, Escherichia, Pseudomonas, Staphylococcus ,nonchè antivirale, in particolare per ciò che riguarda il virus influenzale e l’herpes virus).
Anche per prevenire e/o rallentare la progressione delle infezioni a carico del tratto urinario si sono rivelate utilissime ancora le antocianine, ed anche se i più studiati a tal proposito sono i mirtilli anche il ribes dato l’elevato contenuto di queste sostanze si è mostrato molto efficace allo scopo.
Importante risulta anche l’azione antimicotica conferita dal flavonoide sacuranetina presente in particolare nelle foglie.
Azione antitumorale

Prendiamo l’indicazione senza facili entusiasmi o clamori eccessivi, ma affidandole il giusto peso che un supporto sperimentale accertato può garantire. Ebbene, tenendo presente che in questa pianta il contenuto in resveratrolo è elevato, non è difficile comprendere perché vengano assegnate al Ribes nigrum anche delle proprietà antineoplastiche, principalmente legate alla capacità di questa sostanza di inibire l’insorgenza, la promozione e la progressione di alcuni tipi cancro. In particolare si è verificata sperimentalmente una accertata efficacia da parte degli antiossidanti naturali contenuti nel ribes per alcune linee cellulari del cancro del colon, per il melanoma, e per le cellule del  carcinoma mammario con riscontri direttamente proporzionali alle concentrazioni di sostanza presente. L’estratto di ribes confrontato in laboratorio con altri tredici differenti succhi, estratti da altri frutti a bacca dalle caratteristiche simili ha dimostrato il secondo miglior effetto inibitorio sulla crescita cellulare di diverse linee cellulari tumorali.
Infine ottimi riscontri si sono ottenuti anche in seguito a recentissime sperimentazioni sull’efficacia delle antocianine contro i tumori epatici. Risultati che visto l’elevato contenuto di queste ultime generalmente in tutte le bacche, ma ancor più nel ribes nero dove in media si arriva ai 250 mg in 100gr. di frutto fresco, collocano questo frutto tra i nostri migliori alleati naturali per la prevenzione ed il supporto terapeutico verso le manifestazioni tumorali. Ed a tal proposito negli ultimi anni, l’intero mondo scientifico internazionale (non solo esclusivamente quello relativo alla “medicina naturale”), sta interessandosi sempre più a  questo aspetto terapeutico non ancora completamente esplorato nei suoi aspetti più sorprendenti, al fine di ottenere impieghi sempre più mirati ed efficaci nella risoluzione e prevenzione dell’insorgenza delle manifestazioni tumorali.

Quantità terapeutiche efficaci consigliate

Riguardo alla formulazione da utilizzare la forma galenica del "Macerato Glicerico" per via della facilità di assunzione nonché della diluizione dei principi attivi (che riducono i già di per se minimi effetti collaterali),  è quella preferita per l’utilizzo terapeutico.
Per la somministrazione mirata alla risoluzione di affezioni allergiche e/o come antinfiammatorio, abitualmente si opera o in assunzione unica di 50/100 gocce di macerato glicerico 1 DH  la mattina al risveglio, o in alternativa con assunzioni giornaliere di 30/50 gocce due volte al giorno alle 8 ed alle 15.
Per la risoluzione dei dolori articolari e per un buon effetto diuretico si consiglia anche l’utilizzo dell’estratto secco titolato (0,54 % minimo di flavonoidi totali) in capsule o in altra formulazione, pari a 169 mg. da 1 a 3 volte al giorno, o una tazza di infuso o di the da assumere 3 volte al giorno.




Tipi di vertigini

Per vertigine si intende una erronea percezione di movimento dell’ambiente o di noi stessi.
Tale sintomo, essendo solitamente improvviso, di notevole intensità, e poiché altera i normali rapporti spaziali del soggetto, è solitamente associato ad uno stato di grande spavento e di vera e propria ansia.

Nella genesi dello stato di ansia non è di poca importanza il fatto che il soggetto non è in grado di identificare la sede della sua malattia e si sente impotente di fronte all’immobilità cui è costretto durante la crisi. Accanto alla vertigine spesso si associano turbe neurovegetative, quali nausea, vomito, sudorazione, tachicardia, che oltre ad essere estremamente fastidiosi sono particolarmente debilitanti.
Purtroppo le poche conoscenze a riguardo di questo frequentissimo disturbo qual è la vertigine portano ad allungare i tempi diagnostici e quindi terapeutici. E’ quasi la norma vedere pazienti in ambulatorio che hanno effettuato molteplici esami radiologici (risonanze, TAC, radiografie cervicale, doppler TSA etc.) e visite specialistiche (ortopediche, neurologiche, otorinolaringoiatriche etc.) senza aver mai praticato quello che è l’esame cardine ossia “l’esame vestibolare”.

L’esame vestibolare
L’esame vestibolare è essenziale ogni qual volta ci troviamo di fronte ad un soggetto con sindrome vertiginosa.

Esso consiste nel fare indossare al paziente occhiali particolari (occhiali di frenzel) debolmente illuminati, o in alternativa mediante un sistema più sofisticato di video-oculoscopia all’infrarosso. In questo modo vengono valutati i movimenti oculari sia involontari (come il nistagmo) sia volontari (come i movimenti di inseguimento lento e quelli rapidi).

L’esame viene effettuato su un lettino prima con le gambe fuori e poi facendo assumere al paziente varie posizioni (sdraiato, sul fianco destro e sinistro, con la testa fuori dal lettino etc.).
L’esame vestibolare rappresenta uno strumento utile per individuare la causa della vertigine e molte volte, qualora la causa sia rappresentata dal distacco di piccoli sassolini nell’orecchio, chiamati otoliti, vengono effettuate delle manovre atte a riposizionare gli otoliti, con la scomparsa definitiva della sintomatologia vertiginosa.

Vertigini Posizionali
Una delle cause più frequenti di vertigini è sicuramente la vertigine parossistica posizionale benigna. Essa si presenta come una vertigine che insorge prevalentemente a letto o quando ci si rialza, oppure quando ci si abbassa come per allacciarsi le scarpe o ancora quando si guarda in alto.
E’ una vertigine tipicamente oggettiva (ossia si ha la sensazione che l’ambiente ci giri intorno), insorge in maniera brusca ed ha una durata di pochi secondi o minuti (in genere meno di un minuto). Tale sintomatologia è spesso accompagnata da nausea, vomito, sudorazione, pallore cutaneo etc.

La causa é da ricondurre al distacco di piccolissimi sassolini, chiamati otoliti, nell’orecchio interno che muovendo nel liquido labirintico sono capaci di generare le vertigini.

Neurite vestibolare (labirintite)
La neurite vestibolare rappresenta la 2° causa più frequente di vertigine oggettiva improvvisa. Essa è dovuta ad una infiammazione del nervo vestibolare la cui causa sarebbe riconducibile ad una infezione virale o ad un insufficiente apporto vascolare labirintico.
Si presenta con una intensa vertigine improvvisa, spesso rotatoria, accompagnata da nausea e vomito che costringe il paziente a rimanere a letto per ore o giornate intere.
La diagnosi si basa sul: racconto anamnestico, nistagmo spontaneo unidirezionale, otoscopia ed esami audiometrici negativi.

Il quanto prima possibile va instaurata una terapia cortisonica con risultati eccellenti già dopo le prime ore di trattamento e successivamente va iniziato il trattamento riabilitativo.
Con un trattamento adeguato il 50% dei pazienti guarisce completamente dopo 3 mesi, il 75% dopo 6 mesi.

Vertigine vascolare
Per vertigine vascolare si intende qualsiasi manifestazione di vertigine soggettiva, oggettiva o di disequilibrio la cui causa scatenante è la ridotta o mancata perfusione degli organi vestibolari all’interno dell’orecchio e/o nel sistema nervoso centrale.
A seconda delle sedi e del tempo di ipoafflusso ematico possiamo avere differenti quadri clinici.
E’ tipico il quadro del paziente anziano affetto da ipertensione, diabete, dislipidemia, vasculopatico il quale riferisce episodi di vertigine di breve durata (alcuni secondi o pochi minuti) accompagnati da una riduzione della vista e mancanza di forza.
La diagnosi è sostanzialmente clinica (importante è l’anamnesi e l’esame clinico/vestibolare) avvalorata da esami radiodiagnostici (doppler TSA; angio-RMN etc.) e quindi la terapia il più delle volte è farmacologica. Infatti alla terapia cronica che spesso il paziente anziano assume quotidianamente va associata una terapia vasoattiva, antitrombotica, regolatrice del flusso sanguigno atta a migliorare il flusso ematico.

Malattia di Ménière
La Malattia di Ménière è un’affezione che colpisce l’orecchio interno caratterizzata da un’aumento della pressione dei liquidi labirintici (endolinfa e perilinfa) con la conseguenza di disturbi uditivi e dell’equilibrio.

I sintomi tipici sono rappresentati da ipoacusia, acufeni, ovattamento auricolare e vertigini.
La maggior parte delle volte il paziente riesce a predire l’episodio vertiginoso in quanto esso è preceduto inizialmente dall’ovattamento auricolare e calo dell’udito quindi acufeni ed infine vertigini oggettive.

La diagnosi si basa oltre che sull’anamnesi e sulla sintomatologia, sul quadro audiometrico con ipoacusia neurosensoriale fluttuante prevalentemente sulle basse frequenze. La terapia si avvale di farmaci quali la betaistina (vertiserc, microser), diuretici osmotici (glicerolo, mannitolo), cortisonici, etc.

In casi selezionati è indicato un intervento chirurgico con infiltrazione endotimpanica di gentamicina.

Parossismo vestibolare
Il parossismo vestibolare è definito come brevi attacchi di vertigine della durata di pochi secondi, che ricorrono spesso nella stessa giornata. E’ una diagnosi molto difficile da effettuare in quanto l’esame vestibolare risulta essere il più delle volte negativo durante la visita medica. La causa sarebbe riconducibile ad una compressione vascolare del nervo vestibolare.
Utile ai fini diagnostici è il test di iperventilazione durante l’esame vestibolare che risulta positivo in circa il 70% dei soggetti affetti. Il farmaco di elezione è la carbamazepina a basso dosaggio.

“Dizziness” soggettivo cronico
Si intende una condizione di instabilità e di barcollamento presente tutta la giornata con alti e bassi. I sintomi peggiorano in piedi e quando si cammina, mentre si riducono quando ci si siede o addirittura scompaiono quando ci si sdraia. Inoltre, l’instabilità peggiora in condizioni particolari: muovendo attivamente o passivamente la testa o il corpo, seguendo oggetti in movimento, leggendo o scrivendo, camminando per esempio nei centri commerciali. Questa condizione è secondaria ad un evento acuto o ricorrente come una disfunzione vestibolare periferica o centrale (vertigine parossistica posizionale, malattia di Meniere, vertigine emicranica), patologie varie (trauma cranico, colpo di frusta, aritmie), disordini psichiatrici (attacchi di panico, ansia generalizzata). Gli esami otoneurologici risultano negativi se non per un disturbo vestibolare preesistente mentre è tipico ed unico il quadro della posturografia statica e dinamica. La causa di questo disturbo va ricercata in un fallimento del riadattamento dopo un evento acuto, favorito da un uno stato ansioso. Il trattamento medico consiste nell’utilizzo di farmaci inibitori della ricaptazione di serotonina e/o noradrenalina, associato a rieducazione vestibolare e terapia cognitivo-comportamentale.

Vertigine emicranica
Patologia molto frequente e a carattere familiare l’emicrania colpisce prevalentemente il sesso femminile. La manifestazione più comune e sicuramente più frequente è la cefalea che si presenta spesso unilaterale, migrante, pulsante, resistente ai comuni antidolorifici. La cefalea molte volte si accompagna a vertigine(vertigine emicranica associata) o viene da questa sostituita(vertigine emicranica equivalente). Gli episodi ricorrenti di vertigine e/o cefalea possono manifestarsi a seguito di fattori scatenanti quali privazione del sonno, squilibri ormonali, alimenti vari, stress emotivo etc. La diagnosi si basa sostanzialmente su una attenta anamnesi dopo aver escluso altre cause di vertigine periferica o centrale. Uno stile di vita sano ed una corretta alimentazione associati il più delle volte ad appropriato trattamento farmacologico sono alla base del successo terapeutico.

Vertigine centrale

Non raramente sintomi vertiginosi, instabilità posturale possono essere la spia di un disordine centrale (tronco encefalo, cervelletto) di varia origine (vascolare, neoplastica, degenerativa etc.). Nella maggior parte dei casi si associano altri sintomi come la visione doppia, l’atassia, parestesie, difficoltà nell’articolare il linguaggio, disturbi della memoria o talvolta essere l’unico sintomo. In questi casi l’esame vestibolare presenta segni tipici per patologia centrale ed una buona anamnesi ed esame obiettivo possono condurre ad una diagnosi presunta poi confermata da indagini radiologiche come la TAC e la RMN. La terapia dipende dalla patologia e può essere medica o chirurgica e minore è il tempo per diagnosticarla migliore sarà la prognosi.


Otoliti e VPPB

Cosa sono gli otoliti

Gli otoliti, sono dei cristalli di carbonato di calcio, contenuti all’interno di strutture presenti nella porzione interna dell’orecchio chiamati sacculo ed utricolo (organi otolitici). 

A che cosa servono gli organi otolitici?

Sacculo ed utricolo sono organi capaci di captare le accelerazioni lineari a cui è sottoposto il capo, differentemente dai canali semicircolari che invece captano le accelerazioni angolari. Le accelerazioni lineari comprendono quei movimenti che si generano durante la flessione o la traslazione del capo e quella di gravità, esercitata costantemente.

Allo stesso modo, quando la testa è sottoposta ad un movimento di accelerazione lineare, come può accadere durante la deambulazione o in auto, la membrana otolitica rimane indietro rispetto alla macula, inducendo una transitoria deflessione delle ciglia.
Ogni macula è divisa in due parti da una linea virtuale, la striola, attorno alla quale sono orientati gli assi di polarizzazione dei ciuffi di ciglia: nell’utricolo i ciuffi sono orientati con il chinociglio rivolto verso la striola, mentre nel sacculo hanno orientamento opposto. A causa del decorso arcuato della striola, l’orientamento dei ciuffi varia sistematicamente in modo da rilevare stimoli provenienti da tutte le direzioni.

Dove sono localizzati

Gli otoliti sono presenti, come detto sopra, all’interno di utricolo e sacculo, e precisamente adesi alla membrana otolitica, una membrana fibrosa, a sua volta adagiata su una superficie gelatinosa, all’interno della quale sporgono i ciuffi di ciglia delle cellule epiteliali. La struttura recettoriale in questione prende il nome di macula. Gli otoliti aumentono la densità della membrana otolitica  rendendola più pesante rispetto alle strutture ed ai liquidi circostanti, in modo che quando la testa è flessa, a causa della forza di gravità, avviene uno spostamento relativo della membrana otolitica rispetto alla macula  e quindi una  deflessione dei ciuffi di ciglia.


Distacco degli otoliti

Gli otoliti, adesi alla membrana otolitica all’interno dell’utricolo, possono per varie cause spostarsi dalla loro sede, e quindi possono entrare all’interno di uno dei 3 canali semicircolari dell’orecchio. Ricordiamo che ogni canale semicircolare comunica con l’utricolo attraverso un ostio di comunicazione.
All’interno dei canali semicircolari è presente un liquido, chiamato endolinfa, per tale motivo, quando un otolita entra all’interno del canale, determina lo spostamento del liquido a seconda del movimento che compie (forza di gravità), generando a tal proposito, una stimolazione recettoriale che si traduce con vertigini rotatorie.

Quali sono i sintomi del distacco degli otoliti

Fin quando gli otoliti non entrano all’interno di uno o più canali semicircolari non determinano alcuna sintomatologia (tranne nei casi di distacco massivo). Nel momento in cui gli otoliti superano gli osti di comunicazione, allora si presentano le vertigini legate ai cambiamenti di posizione (vertigine parossistica posizionale). Le vertigini sono tipicamente rotatorie, associate a sintomi neurovegetativi (nausea, vomito etc.) ed hanno una durata di meno di un minuto. Sono scatenate dai cambiamenti di posizione, come quando ci si sdraia a letto o quando ci si rialza, ma anche quando ci si abbassa come per raccogliere un oggetto da terra.

Quali sono le cause

Le cause del distacco degli otoliti  possono essere tante ed  il più delle volte rimangono sconosciute in quanto non è sempre semplice identificarle. Tra le più frequenti, il trauma cranico come può succedere per un incidente stradale una caduta accidentale, come anche una carenza della vitamina D che come è risaputo partecipa nei processi di assorbimento intestinale del calcio.  Altre cause possono essere disturbi del microcircolo, dismetabolismi, malattie autoimmuni.

Come si effettua la diagnosi

Per diagnosticare tale patologia l’anamnesi ci aiuta moltissimo in quanto il paziente riferisce una vertigine che insorge durante i cambiamenti di posizione. Il sospetto clinico viene poi confermato grazie all’esame vestibolare che viene effettuato in video-oculoscopia (sistema di maschera con telecamera a raggi I.R.). Il quadro tipico nel caso dell’interessamento dei canali semicircolari posteriori (forma più frequente) è rappresentato da un nistagmo parossistico posizionale, dissociato, con componente verticale-rotatoria  che batte verso l’alto (forma tipica) o verso il basso (forma atipica). La componente rotatoria ci indica il lato che nel caso della forma tipica è antiorario per il canale destro, orario per il sinistro.

La manovra tipica per evocare una vertigine posizionale da interessamento dei canali verticali e quindi il nistagmo relativo è quella di Hallpike.

Nei casi in cui vi è interessamento dei canali semicircolari laterali, il nistagmo sarà prevalentemente orizzontale, parossistico, geotropo, ossia che batte verso terra, nelle litiasi che interessano l’emibraccio ampollare, apogeotropo (batte contro terra), se interessano l’emibraccio non ampollare.

Manovra liberatoria
Per risolvere questa vertigine l’unico modo è quello di far uscire gli otoliti dal canale interessato e riposizionarli nell’utricolo. A tal proposito ci vengono in aiuto le manovre liberatorie, ossia quei movimenti che vengono compiuti al paziente per consentire e facilitare il passaggio degli otoliti attraverso l’ostio di comunicazione tra canale semicircolare ed utricolo.
Esistono differenti manovre a seconda del canale interessato.
Le più comuni sono la manovra di Epley, la Brandt-Daroff, la Gufoni, la barbecue.





Emicrania vestibolare

Cos’è l’emicrania vestibolare?

Il termine “emicrania vestibolare” è stato coniato da Dietrerich e Brandt nel 1999 e stava a significare una condizione caratterizzata da associazione di sintomi vestibolari (vertigini) in pazienti cefalalgici dove ogni altra diagnosi era esclusa e dove i pazienti rispondevano bene alle terapie utilizzate nella classica emicrania. Nella stessa definizione, veniva anche considerata la possibilità in cui non erano presenti gli attacchi di cefalea.

Fisiopatologia dell’emicrania vestibolare

Attualmente i meccanismi fisiopatologici che sono alla base della vertigine emicranica non sono ancora del tutto chiari. Esistono vari modelli presi in considerazione per spiegare tali meccanismi e 3 dei quali sono maggiormente accreditati:
1) Mediazione di neurotrasmettitori quali serotonina e noradrenalina come trigger per la crisi vertiginosa ed algica (mal di testa)
2) Azione di tipo trigeminale con successiva vasodilatazione nel sistema nervoso centrale
3) Disregolazione talamo-corticale con successiva eccitabilità delle vie vestibolare

Quali sono i sintomi dell’emicrania vestibolare?

Il quadro sintomatologico nella emicranica vestibolare può essere differente di paziente in paziente. I sintomi vestibolari (vertigini, disequilibrio, instabilità posturale) possono accompagnarsi alla cefalea o possono essere indipendenti. Quando non si accompagnano alla cefalea diventa sicuramente più difficile la diagnosi e quindi va posta attenzione maggiormente alla storia clinica del paziente (episodi pregressi di cefalea, equivalenti emicranici nell’infanzia etc.) nonché i fattori scatenanti gli episodi vertiginoso-posturali.

Quindi i criteri indispensabili sono i seguenti:
Soggetti con emicrania vera classificate secondo il sistema internazionale delle cefalee (I.H.S.)
Presenza di episodi ricorrenti di crisi vertiginose e/o turbe posturali
Assenza di altra patologia  che giustifichi i sintomi vertiginoso-posturali
Esclusione di patologie neurologiche (RMN encefalo negativa)
Assenza di fattori di rischio vascolare clinicamente importanti

Fattori scatenati gli attacchi di vertigini o cefalea

I fattori che possono influenzare l’andamento delle crisi vestibolari e/o cefalalgiche sono tanti tra i quali:

Fattori scatenanti l’emicrania
Fattori temporali: 
periodo perimestruale
andamento stagionale
cambiamenti atmosferici
ora del giorno
Fattori comportamentali
stress, affaticamento
disordini del sonno
alimenti particolari
cambiamenti di abitudini

Esami diagnostici

Nel sospetto di emicrania vestibolare è di fondamentale importanza escludere altre cause di vertigini ricorrenti e quindi risulta necessario fare, oltre ad una anamnesi completa, almeno i seguenti esami diagnostici: esame vestibolare, esame audiometrico, RMN encefalo. 

Emicrania vestibolare associata ad altre patologie

Grazie a studi epidemiologici si è notato che vi è una stretta correlazione tra emicrania vestibolare e malattia di meniere. Infatti  la prevalenza di emicrania oscilla tra il 40% e il 55% nei menierici rispetto a circa il 20% dei non menierici. Nonostante questi dati, non è ancora del tutto chiarito il meccanismo fisiopatologico che metterebbe in relazione le due patologie.
Altra condizione spesso associata all’emicrania vestibolare è la vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) (otoliti). Infatti, nei pazienti affetti da VPPB l’incidenza di emicrania è circa il 50% e la possibilità di una ricorrenza degli episodi di VPPB è circa il 70%.

Nessuna associazione invece è stata trovata con la neurite vestibolare (nel linguaggio comune labirintite).

Quali sono le cure?


I farmaci che possiamo utilizzare nelle vertigini emicraniche sono vari ed alcuni dei quali utili in fase acuta come i triptani, i FANS, i psicoattivi mentre altri nelle fasi intercritiche (ossia quando non sono presenti i sintomi) i farmaci così detti preventivi come i calcio antagonisti (funarizina), beta-bloccanti, antidrepessivi triciclici, antiepilettici etc. 









lunedì 14 novembre 2016

Gli anticorpi

ANCA

Gli anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (spesso chiamati ANCA, dall'inglese anti-neutrophil cytoplasmic antibodies), costituiscono un gruppo di autoanticorpi, prevalentemente del tipo IgG, diretti contro antigeni situati nel citoplasma dei granulociti neutrofili (il tipo più numeroso di globuli bianchi) e dei monociti. Si possono rilevare nel siero, mediante un semplice esame del sangue, in molte malattie autoimmuni, ma in particolare sono associati con alcune forme di vasculiti, le cosiddette vasculiti ANCA-associate.
Gli ANCA si possono suddividere in due classi, chiamate rispettivamente c-ANCA e p-ANCA, in base alla disposizione che assumono legandosi a neutrofili fissati con etanolo e al loro principale antigene bersaglio. Il titolo anticorpale degli ANCA si misura solitamente con metodica ELISA o con l'immunofluorescenza indiretta.
p-ANCA si legano alla cellula bersaglio intorno al nucleo (pattern perinucleare). L'antigene contro cui sono diretti è comunemente lamieloperossidasi (MPO).
c-ANCA si dispongono sulla cellula secondo un disegno di tipo granulare, diffuso nel citoplasma. L'antigene bersaglio più comune è la proteinasi 3 (PR3).
Gli ANCA diretti contro antigeni diversi da MPO e PR3 possono, talvolta, assumere un aspetto "a chiazze" all'immunofluorescenza, e sono più comuni nei pazienti con malattie diverse dalle vasculiti, tre quelle associate con la produzione di ANCA.
Un'ulteriore variante, detta x-ANCA, si può ritrovare nel corso di molte patologie, ma in particolare è frequente nelle malattie infiammatorie croniche intestinali.
Il processo che porta alla produzione degli ANCA non è completamente conosciuto, sebbene siano state proposte diverse ipotesi. È probabile che esista una predisposizione genetica, verosimilmente legata a geni coinvolti nella regolazione immunitaria, ma con il contributo di fattori ambientali, come vaccinazioni o esposizione ad alcune sostanze (silicati). Tuttavia nessuno dei meccanismi patogenetici proposti finora spiega il motivo delle diverse specificità di questi anticorpi.
Tre malattie sono particolarmente associate alla presenza degli ANCA nel circolo ematico: la granulomatosi di Wegener, la poliangioite microscopica e la sindrome di Churg-Strauss. Colpendo prevalentemente i piccoli vasi (compresi i capillari glomerulari), tali condizioni patologiche interessano frequentemente il rene.
Solitamente i c-ANCA si ritrovano nella granulomatosi di Wegener (sono presenti nel 90% dei casi attivi), mentre i p-ANCA sono associati con la poliangioite microscopica, con la glomerulonefrite rapidamente progressiva di tipo necrotizzante e con la sindrome di Churg-Strauss.
In molte altre malattie autoimmuni, come la rettocolite ulcerosa e la spondilite anchilosante, è possibile trovare ANCA in circolo.
In questi casi, comunque, non vi sono segni di vasculite, tanto che la presenza degli anticorpi è considerata incidentale, un epifenomeno più che una causa della malattia.
Nel caso della granulomatosi di Wegener è stata dimostrata una correlazione positiva fra il titolo degli ANCA e l'attività di malattia. Inoltre, alcuni studi in vitro hanno evidenziato come gli ANCA provocano l'attivazione dei neutrofili a cui si legano e reagiscono con le cellule endoteliali che esprimono l'antigene PR3. Gli ANCA potrebbero indurre il rilascio di enzimi litici da parte dei globuli bianchi, provocando un'infiammazione delle pareti del vaso (vasculite).


Vasculiti
ANCA e/o test per MPO e PR3 vengono di norma richiesti quando il paziente presenta segni e sintomi di vasculite autoimmune sistemica. Inizialmente i sintomi sono vaghi e non specifici, come febbre, affaticamento, perdita di peso, dolori muscolari e vari e sudorazione notturna. Al progredire della patologia i sintomi divengono più chiari e gravi, coinvolgendo vari organi e tessuti. Alcuni esempi sono:
-        Occhi- rossore (congiuntivite); problemi di vista
-        Orecchie- perdita dell’udito
-        Naso- raffreddamenti che non scompaiono
-        Pelle- rash cutaneo e/o granulomi
-        Polmoni- tosse e difficoltà respiratorie
-        Rene- proteinuria
Nei soggetti già diagnosticati il test deve essere effettuato a intervalli regolari come monitoraggio.

ANCA (anticorpi anticitoplasma dei neutrofili)
Normalmente sono utilizzati per le vasculiti (che sono molti rare). Abbiamo due pattern diversi di ANCA all’immunofluorescenza indiretta:
C-ANCA (citoplasmatici)
Il citoplasma è completamente verde, è visibile la classica forma dei nuclei dei neutrofili.
P-ANCA (perinucleari)
In questo caso invece la fluorescenza è tutta intorno al nucleo. Nel caso si abbia un immunofluorescenza positiva per ANCA, si passa ad una metodica di immunoenzimatica per capire con precisione contro cosa sono gli anticorpi trovati.
C-ANCA: di solito con questo pattern siamo di fronte alla presenza di anti “Proteinasi 3”, questo quadro è associato al morbo di Wegener, è una patologia estremamente grave con una granulomatosi diffusa che può portare il paziente alla morte (possono esserci quadri apparentemente banali con interessamento di distretti non vitali come orecchi o naso, ma possono complicarsi in maniera drammatica). L’anti-proteinasi 3 è anche associato anche a micropoliangioite.
P-ANCA: il pattern p-ANCA ha invece più possibilità:
anti-Mieloperossidasi, che è comunque la più importante, questo anticorpo è associato al morbo di Churg-Strauss o alla micropoliangioite
anti-lattoferrina, associato a LES, artrite reumatoide e Morbo di Crohn
anti-catepsina G, associato alla rettocolite ulcerosa
anti-antigene sconosciuto, associato a epatite cronica


ANA (auto-anticorpi anti-nucleo)

Si è calcolato che il 5 % circa della popolazione giovane (sopra i 65 anni si arriva al 10 %) avrà gli auto-AB antinucleo (ANA) misurati con l’ANA-test, senza essere necessariamente malati o comunque senza avere necessariamente patologie autoimmuni, ad esempio:
Individui sani
Epatopatie
Epatiti croniche attive (HCV positive hanno ANA nel 30 % dei casi o più)
Cirrosi biliare primitiva
Epatiti alcoliche
Patologie polmonari
Fibrosi
Asbestosi
Infezioni croniche (ad esempio TBC)
Neoplasie
Linfomi
Leucemie
Melanomi
Tumori solidi
Varie
Endocrinopatie
Sclerosi multipla
Post-trapianto d’organo
Prendiamo ad esempio il lupus eritematoso sistemico, è la malattia autoimmune per eccellenza ed in cui nel 95 % dei casi troviamo un ANA-test positivo (praticamente sempre), la sua incidenza è 1 caso su 2000 soggetti. Però su 2000 persone circa, 100 avranno un ANA-test positivo indipendentemente dal fatto che abbiamo una patologia autoimmune o meno, quindi di questo centinaio di persone solamente 1 avrà il LES.

ANTICORPI ANTI-DNA

Un altro tipo di auto-anticorpo importante nelle patologie autoimmuni sistemiche è quello degli anticorpi-anti DNA a doppia elica (nativo, quello a singola elica è denaturato), è un anticorpo che è già patogenetico, al contrario di ANA che è solo un epifenomeno, è per questo che gli anti-DNA vano controllati nel tempo durante il follow-up.
Si può individuare con varie metodiche, immunoenzimatiche, radioimmunologiche, ecc… . Il test che noi utilizziamo (che è anche il più economico) è l’immunofluorescenza indiretta su vetrini con “crithidia luciliae”, che è un parassita emoflagellato che presenta un ampia rete di dsDNA (DNA nativo) chiamata chinetoplasto. La metodica immunoenzimatica spesso faceva si che il DNA denaturasse e quindi l’anticorpo che si individuava era contro DNA denaturato, in questo caso invece il DNA del chinetoplasto è nativo e l’anticorpo trovato non può che essere anti-DNA nativo. Gli anti-DNA sono molto specifici, quando un paziente è anti-DNA positivo nel 90 % è un caso di LES.


ENA

Gli ENA antigeni nucleari specifici, quando li troviamo di solito il paziente ha una patologia autoimmune. Si individuano con tecniche immunoenzimatiche. Noi ne studiamo 7/8, solo quelli che riusciamo ad associare ad un problema clinico:
SM: sospetto LES, è poco sensibile (c’è solo nel 10/30 % di LES) ma se c’è, è per forza LES, inoltre il nome deriva da Smith, che è stato il primo paziente in cui è stato trovato questo anticorpo.
RNP: connettivite mista (molto rara) o subset di LES, sono anti-ribonucleoproteina.
SSA: subset di LES o sindrome di Sjogren (secchezza agli occhi ed in bocca e in alcuni pazienti linfomi e patologie importanti).
SSB: subset di LES o sindrome di Sjogren.
SCL-70: sclerosi sistemica progressiva. Abbiamo visto prima che un pattern di fluorescenza anticentromero è legato ad una sclerodermia limitata, in questo caso invece si avrà una sclerosi sistemica progressiva con un quadro polmonare.
JO-1: polidermatomiosite, malattia rara ma gravissima con un quadro muscolo-cutaneo e problemi respiratori. Anche qui il nome deriva dalla sigla della provetta in cui è stato identificato la prima volta.
Istoni: LES da farmaci, LES e in pazienti sani.
Nucleosomi: LES.


ANTICORPI ANTI-FOSFOLIPIDI

Individuati nel 1983 da Harris, la loro scoperta è stata importantissima per i pazienti con LES o connettiviti, infatti la loro presenza è responsabile di trombofilia assoluta con alto rischio di trombosi in distretti importantissimi come quello cerebrale, cardiaco od intestinale. Questa trombofilia molte volte compare già in età giovanile (pazienti che iniziano ad avere ictus già a 16-20 anni).
Un tempo si trattavano questi pazienti con grandi quantità di cortisone (senza successo) oggi sappiamo che dietro questa trombofilia assoluta ci sono anticorpi anti-fosfolipidi, soprattutto fosfolipidi a carica negativa (fosfatidilserina, fosfatidiletanolamina, ecc…). Tre gruppi di ricercatori indipendenti hanno poi scoperto che molte volte l’anticorpo anti-cardiolipina (un fosfolipide) non si lega direttamente ai fosfolipidi ma tramite una proteina plasmatica, la beta2 glicoproteina 1, quindi in realtà l’anticorpo è contro la proteina e non contro il fosfolipide, il risultato è sempre una trombofilia.

LAC (LUPUS ANTICOAGULANT)

Questo nome dato ad un gruppo di anticorpi è fuorviante, infatti in vitro abbiamo una situazione anticoagulante ma in vivo c’è comunque un effetto protrombotico. In vitro infatti avremo tempi di coagulazione molto allungati. Molte volte abbiamo dei soggetti giovani che fanno test di coagulazione in preparazione ad interventi o donazioni e trovano tempi di coagulazione allungati. A questo punto si indaga e si ricercano autoanticorpi. La presenza di LAC determina in vitro una ritardo nella conversione di protrombina in trombina, prolungando tutti i test fosfolipido dipendenti in particolare il PTTa.

QUANTI SONO GLI AUTO-AB?
Sono tantissimi, in un LES ne sono stati scoperti 116 (al momento) il lupus è il prototipo della presenza di auto-AB, contro molti target diversissimi tra loro (anti piastrine, anti rossi, anti leucociti, anti Ig,…). Quindi per clinica ne studiamo un numero limitato, ma per ricerca ne individuiamo molti di più. Trovarli è utile come abbiamo già detto per individuare le patologie autoimmuni e alcuni ci indicano con precisione a che livello è il danno, contro quale organo.

TIMING DEGLI AUTO-AB
Un tempo quando si individuava un auto-AB ci si fermava li, oggi si sa che invece c’è un preciso timing. Ad esempio nel LES prima compaiono quelli anti-fosfolipidi e anti-SSA/SSB detti anche rispettivamente anti-ro/la (3-4 anni prima della patologia), poi gli anti-DNA (2-4 anni prima), infine compaiono gli anti SM e gli anti RNP (1-2 anni prima) ed a questo punto si avrà il LES.

ANTI ASCA

Gli anticorpi anti Saccharomyces cerevisiae (ASCA) di classe IgA / IgG sono anticorpi diretti contro il Saccharomyces cerevisiae, agente lievitante comunemente utilizzato in molti alimenti e presente nel lievito di birra.
Sono considerati un marker per il morbo di Crohn (malattia infiammatoria intestinale che colpisce preferibilmente l'ileo terminale) e sono presenti nel 60-70% dei pazienti con malattia di Crohn (CD) e 10-15% dei pazienti con colite ulcerosa (UC).

Gli anticorpi IgA Saccharomyces cerevisiae sono presenti in circa il 35% dei pazienti anche con celiachia, oltre che con morbo di Crohn ma meno dell'1% in pazienti con rettocolite ulcerosa.

Individuazione di entrambi Saccharomyces anticorpi IgG e IgA nelle stesse campione di siero è altamente specifico per CD.

Questo test può essere uno strumento utile per distinguere la colite ulcerosa (UC) da malattia di Crohn (CD) in pazienti con sospetta malattia infiammatoria intestinale.