giovedì 5 febbraio 2015

Le metilxantine e il cioccolato

La struttura delle metilxantine è caratterizzata da una base purinica metil-sostituita, ovvero da un composto eterociclo metil-sostituito ottenuto dalla condensazione fra la piridina e l’imidazolo. Il numero e la posizione dei metili sostituenti differenzia le metilxantine. Le metilxantine (teobromina, caffeina e teofillina), anche se non dotate di valore nutritivo, sono fra i componenti più importanti della cioccolata. Sono proprio questi i componenti responsabili della “voglia di cioccolato”.






La loro presenza, nel prodotto finale di cioccolato, è dovuta alla composizione stessa delle materie prime usate. I valori possono variare, anche considerevolmente, in relazione al tipo di semi, alle tecniche colturali e al processo di fermentazione a cui vengono sottoposti prima di essere torrefatti.

L’importanza di tali molecole è dovuta all’attività farmacologica espletata nei confronti di alcuni sistemi corporei.

La conformazione chimica delle metilxantine, infatti, le rende idonee ad interagire con specifici recettori biologici che regolano le funzionalità del sistema nervoso centrale, del sistema cardiovascolare e del sistema endocrino.

Tali sostanze hanno il pregio di tenere svegli e di favorire la concentrazione, non facendo sentire la fatica.
Una tavoletta da 100 gr. di cioccolato fondente ne contiene tanto quanto un caffè espresso, mentre in una tazza di cioccolata calda si riscontra una quantità simile alla quantità contenuta in una tazza di thè forte.

Bassi dosaggi possono produrre effetti benefici e favorevoli all’organismo, dosaggi elevati possono causare effetti negativi o tossici, con un margine di tolleranza abbastanza preciso e ben delineato.

Nella cioccolata prevale nettamente la teobromina sulla caffeina.

 CIOCCOLATO
CAFFEINA [mg/100g]
TEOBROMINA [mg/100g]
AL LATTE
20
140
FONDENTE
20-60
600-1800
BIANCO
tracce
2


La teobromina è dotata di una minore attività farmacologica se confrontata con la caffeina. Entrambe però posseggono proprietà diuretiche, eccitanti e stimolanti nei confronti del respiro e dell’attività cardiaca, mentre solo la teofillina ha proprietà broncodilatatorie.

L'effetto stimolante della teobromina sul sistema nervoso centrale è circa 10 volte inferiore rispetto a quello della caffeina; a dosi elevate, comunque, la teobromina può causare irrequietezza, tremori, ansietà, sudori, aritmie, perdita di appetito, nausea e vomito.

Considerando il livello medio di consumo di cioccolata (in Italia 7-8 g al giorno), decisamente poco significativo nella dieta globalmente consumata, i rischi di effetti sfavorevoli derivanti dal consumo di cioccolata sono praticamente nulli.




mercoledì 4 febbraio 2015

Il reflusso gastroesofageo

Per reflusso gastroesofageo si intende quella condizione molto comune, in cui il contenuto dello stomaco risale in esofago.
Una piccola quota di reflusso, liquido e gassoso, lo si può avere anche in condizioni normali, soprattutto dopo i pasti. Nei soggetti sani si possono avere in media 1-4 episodi/ora durante le tre ore successive al pasto.
Si tratta di un reflusso poco acido, breve, e poco avvertito proprio in quanto poco acido.
Quando, al contrario, il fenomeno diventa più frequente o si accompagna a sintomi, allora si hanno di disturbi e si parla di “malattia da reflusso gastroesofageo” (MRGE).




Cause

L’esofago ha alle sue estremità, prossimale e distale, due “valvole” (sfinteri) che si aprono al passaggio del bolo, mentre esternamente è avvolto da una tunica muscolare che si contrae e si rilascia ritmicamente (peristalsi) e che facilita il movimento del cibo verso lo stomaco.
Se la valvola inferiore (sfintere esofageo inferiore) si rilascia quando non dovrebbe (rilasciamenti inappropriati) si può avere reflusso gastroesofageo.
Anche la scarsa motilità dell’esofago, che non consente di rimuovere velocemente il liquido refluito, rientra nel meccanismo patogenetico del reflusso.
Il materiale refluito in esofago è in gran parte composto da acido cloridrico, ma a volte può associarsi alla bile di provenienza duodenale.

A volte alla base del reflusso vi è un’ernia iatale che è uno scivolamento dello stomaco in torace attraverso il diaframma.




Va però detto che non sempre la MRGE è causata da un’ernia iatale così come non sempre l’ernia iatale è accompagnata da MRGE.

Altri fattori che possono favorire in modo diverso il reflusso gastroesofageo sono:

Predisposizione familiare e genetica

Sovrappeso ed obesità, in particolare la deposizione di grasso al “giro-vita”, ovvero alla circonferenza addominale

Diabete mellito (a causa del rallentato svuotamento gastrico)

Fumo. Il fumo favorisce il reflusso con un chiaro effetto-dose: chi ha fumato più di 20 anni ha un rischio del 70% rispetto ai non fumatori

Gravidanza: il feto aumentando di volume aumenta la pressione addominale e va a comprimere direttamente lo stomaco.

Dieta alimentare squilibrata e scorretta: Cibi con grassi animali che rallentano lo svuotamento gastrico. Pasti abbondanti prima di coricarsi. Abuso di alcol, caffe, tè, cioccolato, menta, bevande fortemente acide.

Farmaci che infiammano l’esofago, come gli antiinfiammatori non steroidei (FANS), Sali di ferro, di potassio; farmaci che favoriscono l’apertura dello sfintere esofageo inferiore come alcuni ipertensivi, ossia beta-bloccanti e calcio antagonisti; farmaci contro l’ansia e l’insonnia come le benzodiazepine; i broncodilatatori a lunga durata (LABA) usati per asma e bronchite cronica; la terapia ormonale sostitutiva estro progestinica in menopausa.

Abitudini di vita. Impiego di cinture e abiti troppo stretti. Sport che richiedono sforzi in inspirazione “bloccata” (come il sollevamento pesi).

Sintomi

I sintomi più frequenti del reflusso gastroesofageo, definiti “tipici”, sono il bruciore (o pirosi) e il rigurgito acido.

Il bruciore è riferito alla parte alta dell’addome (anatomicamente definita “epigastrio” e comunemente chiamata “bocca dello stomaco”) ed a livello restrosternale.
Il bruciore, che si può accompagnare a scialorrea (aumentata secrezione salivare), si manifesta tipicamente nelle ore dopo i pasti, ma può presentarsi anche di notte quando il paziente è supino.
Altre volte tale disturbo può essere accusato come “dolore” che fa subito pensare ad una causa cardiaca.

In alcuni soggetti, soprattutto nei soggetti anziani, può essere presente una sintomatologia non specifica, solitamente riferita come "cattiva digestione" (dolore-fastidio-tensione nella parte alta dell'addome, sazietà precoce, senso di ripienezza dopo mangiato, nausea, vomito), definita con il termine medico di dispepsia.





Poiché il reflusso può anche superare la valvola superiore dell’esofago (sfintere esofageo superiore) ed interessare faringe, laringe, polmoni ne consegue la possibilità di una sintomatologia extraesofagea. I sintomi extraesofagei, definiti “atipici”, possono essere:
- faringite (mal di gola ricorrente); laringite cronica ed altre affezioni delle corde vocali o delle aritenoidi (polipi, granulomi, ecc.); sensazione di nodo alla gola (sensazione di corpo estraneo e di contrazione alla gola); bronchiti croniche ed asma bronchiale; patologie del naso e del rinofaringe; russamento abituale ed apnee notturne; laringospasmo; dolore toracico non cardiaco; alitosi; erosione dello smalto dentario.
In assenza di sintomi tipici è difficile, a volte, associare tali disturbi al reflusso gastroesofageo e per tale motivo i pazienti non si rivolgono allo specialista per cui la diagnosi è spesso tardiva.

Diagnosi

La diagnosi della malattia da reflusso è prevalentemente clinica basandosi sulla presenza dei sintomi tipici (pirosi e/o rigurgito) e dopo aver escluso altre patologie con sintomi simili. Sono disponibili comunque alcuni esami specifici per la diagnosi di reflusso gastro esofageo che il medico specialista indicherà per la conferma della diagnosi o per lo studio delle complicanze.
L’esofago-gastro-duodenoscopia. L’esplorazione endoscopica ci consente di valutare lo stato della mucosa esofagea (erosioni, ulcere) ed eventuali complicanze (stenosi, Barrett). Le biopsie possono essere utili per definire le caratteristiche del Barrett, ma anche per escludere altre forme di malattia esofagea (esofagite eosinofila, ad esempio). Raramente è possibile riscontrare un pemfigoide dell’esofago che può simulare un’esofagite da reflusso (con erosioni e fibrina). La gastroscopia, ovviamente, è l’esame che tutti i pazienti devono assolutamente effettuare prima di una eventuale valutazione di correzione chirurgica del reflusso.

La manometria esofagea stazionaria: studia la peristalsi esofagea, valutando ampiezza durata e coordinazione delle onde motorie esofagee allo stimolo deglutitivo. Valuta inoltre la capacità di rilasciamento riflesso dello sfintere esofageo inferiore. È una metodica fondamentale per escludere patologie motorie dell’esofago, quali l’acalasia e la sclerodermia che possono a volte simulare un reflusso e che costituiscono delle controindicazioni ad una gestione chirurgica del reflusso.

La pH-impedenzometria esofagea/24 ore (pH-IIM 24): valuta in modo dinamico nelle 24 ore sia la composizione (acida e non acida) che la natura del reflusso gastroesofageo (gassoso, liquido, misto). E' una nuova metodica che ha progressivamente sostituito la pH-metria esofagea/ 24 ore, nella diagnostica del reflusso, divenendone il nuovo gold standard migliorando sensibilmente l’entità del reflusso, la correlazione tra reflusso e sintomatologia, e l’estensione del refluito in esofago prossimale. Per questo ultimo aspetto è di capitale importanza in tutte le manifestazioni atipiche del reflusso, in particolar modo nella sintomatologia polmonare e otorinolaringoiatra da possibile eziologia gastro-esofagea. Permette inoltre di identificare quei pazienti con una cosiddetta ipersensibilità esofagea all'acido. Sono soggetti cioè con un reflusso in esofago ancora nei limiti di normalità ma con un'eccellente corrispondenza tra sintomi e refluito. L'identificazione di questo tipo di soggetti ne consente un miglior approccio terapeutico e gestionale.
La radiografia con bario può essere utile per valutare lo stato anatomico esofago-gastrico soprattutto nelle grosse ernie. Tale esame viene richiesto soprattutto in previsione di un intervento chirurgico.

Terapie

Alimentazione e stile di vita

La prima “terapia” è la corretta alimentazione e un adeguato stile di vita che, in caso di un reflusso di lieve entità, possono di per sé essere sufficienti. Mentre nei casi più gravi della malattia, oltre che le regole alimentari, solo un’adeguata terapia anti-secretiva può consentire un’efficace controllo dei sintomi e la cura delle lesioni. Ad ogni modo, le norme alimentari costituiscono delle regole che il paziente dovrebbe seguire.
E’ importante, come prima regola, il “modo” di mangiare che significa evitare di mangiare in fretta mentre è bene masticare lentamente. Infatti, la prima tappa della digestione, avviene in bocca perché la saliva contiene una sostanza l' amilasi salivare (prodotta dalle ghiandole salivari) che opera la digestione dell' amido; inoltre la triturazione e lo sminuzzamento del cibo facilita l' attività gastrica di digestione ed assorbimento dei principi nutritivi.
Per quanto concerne i cibi bisogna tenere conto che un reflusso più intenso può essere causato da determinati cibi che possono stimolare la secrezione gastrica, rallentare lo svuotamento gastrico o anche ridurre il tono della valvola tra esofago e stomaco.
Il latte può essere consumato in quanto, essendo un cibo alcalino, neutralizza l'acidità del reflusso. Da preferire però il latte scremato poiché il latte intero è ricco di grassi, proteine e calcio che aumentano l'acidità gastrica e rallentano lo svuotamento dello stomaco. Quindi, dopo un immediato beneficio si ha una veloce ricomparsa dei sintomi. Lo Yogurt va bene ma, anche per questo alimento, ricordarsi di preferire sempre quelli a basso contenuto di grassi.
Evitare le carni grasse (maiale) e quelle affumicate ed evitare gli insaccati , mentre vanno bene tutti i tipi di pesce (sia fresco che surgelato). Evitare le uova sode o fritte e preferire quelle alla coque.
A rischio i formaggi molto grassi o fermentati (gorgonzola, taleggio, mascarpone e brie) perché rallentano lo svuotamento gastrico, mentre sono più adatti quelli freschi (come ricotta o mozzarella).
E’ bene evitare (o non esagerare) con la frutta acidula come agrumi, limoni, mandarini, arance, cedro, melograno, ribes e ananas. mentre si possono tranquillamente mangiare mele, more, lamponi, meloni, banane, pere, pesche.
Per quanto concerne il “bere” sono da evitare assolutamente i superalcolici, a digiuno. No al vino bianco, meglio un bicchiere di rosso. Limitare l’uso di thè, caffè, bibite gassate, bibite contenenti caffeina, succhi di frutta (arancio, pompelmo, limone, ananas, pomodoro). La menta è "da evitare" perché sembra ridurre il tono della valvola tra stomaco ed esofago. Attenzione, infine, a non assumere bevande troppo calde (the, caffè, tisane, ecc.)
Non esagerare con dolci soprattutto con quelli farciti con creme o cioccolato. Il cioccolato, anche se buonissimo, ha l’effetto di ridurre il tono della valvola esofago-gastrica.
Evitare l'uso di spezie (cannella, noce moscata e curry) ed evitare fritti e soffritti. Preferire sempre cotture leggere, scegliere quindi una cottura alla griglia e ottima la bollitura e le cotture saltate.

Regole comportamentali

Mantenere il proprio peso forma perché i chili in eccesso peggiorano i sintomi della malattia ed aumentano la pressione addominale (e, quindi, il reflusso)
Ridurre lo stress e le tensioni che la vita giornaliera comporta;
Non saltare mai i pasti, ma questi devono essere non abbondanti e frequenti.
Smettere di fumare: la nicotina ha un effetto ipotonico sul cardias, determina una ipersecrezione di acido cloridrico e riduce la produzione di bicarbonato che ha lo scopo di proteggere la mucosa gastrica dall' azione corrosiva del succo gastrico.
Bere tanta acqua in modo da diluire gli acidi rendendoli meno efficaci.
Evitare dopo il pasto di assumere posizioni, come il distendersi sul divano, che agevolano il reflusso, mentre una buona passeggiata facilita il processo di digestione

Farmaci

L’obiettivo primario della terapia medica della MRGE e’ il pieno controllo dei sintomi, (pirosi con o senza rigurgito) accompagnato dal miglioramento della qualità di vita del paziente.
Per contrastare il reflusso gastroesofageo oggi abbiamo disponibili dei farmaci particolarmente efficaci in grado di ridurre la secrezione acida da parte dello stomaco. Dai più blandi anti-secretivi di un tempo, come gli H2-antagonisti (ranitidina) si è passati oggi ai più potenti inibitori di pompa protonica (IPP): lansoprazolo 15mg e 30mg; omeprazolo 10mg e 20 mg; pantoprazolo 20mg e 40 mg; rabeprazolo 10 mg e 20 mg; esomeprazolo 20 mg e 40 mg. Tali farmaci, in linea generale equivalenti come efficacia fra di loro, riducendo la quantità di acido gastrico disponibile per il reflusso nell’esofago, alleviano i sintomi e permettono la guarigione delle lesioni esofagee, qualora siano presenti. Tali farmaci vanno presi a stomaco vuoto, 30-60 minuti prima dell’assunzione del pasto (si ricorda che è importante non frantumare o masticare le compresse).

Per quanto concerne i farmaci procinetici non c’è alcuna comprovata efficacia a meno che non ci sia anche un’alterata motilità gastrica (svuotamento rallentato).

Gli antiacidi e l’alginato, spesso assunti dal paziente sotto forma di automedicazione al bisogno, sono senz’altro utili nell’ottenere un rapido sollievo sintomatico in situazioni occasionali.
Nell’impostare la terapia bisogna tenere conto che c’è una scarsa correlazione tra intensità dei sintomi e gravità delle lesioni endoscopicamente riscontrabili sulla mucosa esofagea. Nella maggior parte dei casi, quando sussistano lesioni mucose, il pieno controllo dei sintomi si accompagna alla risoluzione delle lesioni, che invece tendono a persistere qualora non si raggiunga l’asintomaticità.






Cattiva digestione e dispepsia

La digestione è un processo essenziale per la vita dell'uomo e di molti altri organismi viventi. Nutrirsi non è solo un istinto, ma un piacere, un rito irrinunciabile finalizzato alla socializzazione ed alla sopravvivenza stessa della specie. 
Nel corso dei millenni il nostro organismo è stato sottoposto ad un continuo processo di adattamento necessario per fronteggiare i mutamenti climatici ed ambientali. Tra questi un ruolo di primaria importanza è stato ricoperto dalla dieta. 
Da cacciatore e raccoglitore di bacche e tuberi l'uomo primitivo è gradualmente passato all'agricoltura e all'allevamento modificando radicalmente sia le abitudini di vita sia quelle alimentari.
Se tutto ciò da un lato ha consentito una maggiore disponibilità di cibo dall'altro ha decisamente limitato la varietà di cibi presenti nella dieta. Da allora fino ad oggi i cereali hanno infatti costituito la base imprescindibile dell'alimentazione umana.
Nel corso dei secoli mano a mano che le condizioni sociali ed economiche migliorarono a queste colture furono associati ulteriori alimenti. Pensiamo ad esempio all'introduzione del mais e della patata nel periodo successivo alla scoperta dell'America.

Nonostante l'evoluzione delle conoscenze agricole bisogna tuttavia aspettare la rivoluzione industriale per poter apprezzare i primi significativi cambiamenti in campo alimentare. A partire dal primo dopoguerra l'ondata economica che ha percorso i Paesi più industrializzati ha improvvisamente ampliato la disponibilità di cibo. Nel corso di pochi anni l'industria alimentare ha letteralmente rivoluzionato le abitudini dietetiche di milioni di persone.
Oltre agli innumerevoli benefici derivanti da questo boom alimentare si sono tuttavia poste le basi per molti dei problemi digestivi che ogni giorno affliggono milioni di persone in tutto il mondo. 

Eccesso di cibo, additivi chimici ed abitudini alimentari scorrette sono tra i principali fattori alla base dei problemi digestivi.

Le difficoltà digestive, raggruppate sotto il generico termine dispepsia (dal greco dys-pepsia, ossia "cattiva digestione"), sono responsabili di sintomi come inappetenza, pesantezza di stomaco, stanchezza, sonnolenzaeruttazionialitosiflatulenza.

Cos'è la Dispepsia?
Con il termine dispepsia si fa riferimento ad una condizione sommariamente descritta dal paziente come "cattiva digestione".
Si stima che circa il 30-40% degli italiani soffra di disturbi digestivi. Il forte aumento e la capillare diffusione di questo problema nei Paesi industrializzati testimonia come la dispepsia sia un disturbo legato alle abitudini di vita e dietetiche tipiche del mondo occidentale.

I sintomi tipici della dispepsia si localizzano nella parte superiore dell'addome e comprendono:
  1. bruciori di stomaco
  2. rigurgito acido
  3. eruttazioni
  4. alitosi
  5. dolore alla parte alta dell'addome
  6. senso di digestione lunga e laboriosa
  7. intolleranza a grassifritti, carne e uova


Cause di dispepsia possono essere:

uso di medicinali (antinfiammatori non steroidei o FANS come l'aspirinaferroteofillina ecc.)
helicobacter pylori
ulcera gastrica (allo stomaco)
gastriti (infiammazioni della mucosa interna dello stomaco)
cattiva alimentazione (dieta)
obesità
malattia da reflusso gastroesofageo

A questi sintomi se ne aggiungono altri di meno comuni come cefalea, tosse, difficoltà alla deglutizione (disfagia) e a volte vomito alimentare.

In ordine di importanza tra i fattori causali della dispepsia al primo posto vi è l'Helicobacter pylori seguito dai FANS e dall'abuso di fumo e alcol.

Curare la dispepsia:

Effettuare una visita medica specializzata che consenta di ottenere una diagnosi precisa (ad es. gastroscopia, pasto opaco, esami del sangue ecc.)
Curare eventuali malattie organiche come ulcerecalcolosi delle colecisti e delle vie biliariceliachia ecc.
Eliminare o perlomeno ridurre fattori di rischio come l'assunzione di Fans, l'obesità, il fumo l'alcol, la sedentarietà e il sovrappeso.
Se tolti tutti questi problemi rimangono le difficoltà digestive si parla di dispepsia funzionale, ovvero di una forma di malattia non legata a cause organiche (disturbi dispeptici di natura benigna). In ogni caso esistono delle cure farmacologiche molto efficaci specifiche per i sintomi avvertiti.






martedì 3 febbraio 2015

Popular IBD Diet Associated With Increased Microbial Diversity

San Diego—The specific carbohydrate diet (SCD), popular among patients with inflammatory bowel disease (IBD), is associated with distinct changes in the intestinal microbiome, researchers at Rush University have found.
The trademarked SCD, as described by Elaine Gottschall, MSc, in her book, “Breaking the Vicious Cycle” (The Kirkton Press; 2012), is “predicated on the understanding that ulcerative colitis, Crohn’s disease, irritable bowel syndrome and gluten therapy resistant celiac [disease] are the consequence of an overgrowth and imbalance of intestinal microbial flora.”
Ece Mutlu, MD, associate professor of medicine, Rush University Medical Center, Chicago, and her colleagues analyzed fecal samples from 20 patients with IBD who reported following the SCD and 20 patients with IBD who did not adhere to the diet: Each group included 10 patients with Crohn’s disease and 10 patients with ulcerative colitis. Some patients were receiving immunosuppressant medications at the time of fecal sample analysis.
Dr. Mutlu and her team performed 16S rDNA pyrosequencing and found that individuals in the SCD group had greater intestinal bacterial diversity compared with those in the control group, in addition to having a differing microbiome composition. The study was not designed to measure endoscopic and clinical disease activity, but Dr. Mutlu told Gastroenterology & Endoscopy Newsthat she observed symptom relief in some patients following the diet.
“I have observed that a small number of my own IBD patients drastically improved on the SCD and achieved complete long-term mucosal healing, or were able to reduce or discontinue immunosuppressants for several years.”
These anecdotal observations and the findings from the study justify further investigation of the diet’s effect, said Dr. Mutlu, who presented the study at the American College of Gastroenterology 2013 Annual Scientific Meeting (poster 1619).

“A longitudinal study following IBD patients before the start of the diet, and during and after the SCD, would have been much harder for us to complete, but I think this should be done going forward and it could help us learn a lot more in the future.”





lunedì 2 febbraio 2015

Occlusione intestinale

I sintomi caratteristici

I segni ed i sintomi tipicamente associati all'occlusione intestinale comprendono un dolore di tipo crampiforme ed intermittente a livello addominale (salvo nei casi di strangolamento, dove il dolore è continuo), nausea, vomito (tanto più precoce quanto più alta è la sede della lesione), stitichezza (chiusura dell'alvo a feci e gas) con incapacità di espellere il contenuto intestinale e conseguente distensione dell'addome.
In caso di ileo meccanico all'esame obiettivo si apprezza un'esaltata peristalsi intestinale, invece assente in presenza di ileo paralitico (silenzio dell'addome) o di ileo meccanico in fase avanzata (quando la peristalsi cessa "arrendendosi" all'ostruzione).
Degno di nota anche lo squilibrio idro-elettrolitico dovuto al mancato riassorbimento dei succhi digestivi (ogni giorno vengono secreti e riversati nell'intestino 7-8 litri di succhi digestivi, oltre ai liquidi introdotti dall'esterno; ovviamente, il mancato assorbimento di questi liquidi determina disidratazione, ipovolemia ed ipotensione).

Possibili cause

Tra le possibili cause di occlusione intestinale su base ostruttiva (ileo meccanico) ricordiamo:
  •          aderenze intestinali (spesso postoperatorie)
  •   tumori intestinali o extraintestinali (retroperitoneali, renali, che provocano ileo da compressione)
  •           ernie
  •           torsioni dell'intestino (volvoli)
  •           stenosi congenite
  •           atresie
  •           morbo di Crohn
  •          diverticolite
  •          laparoceli, 
  •          fecalomi
  •          corpi estranei
  •          parassiti
  •          calcoli biliari.

Tra le possibili cause di occlusione intestinale legata a paralisi della muscolatura enterica (ileo paralitico o adinamico) ricordiamo:
  •         chirurgica addominale o pelvica
  •         infezioni e peritoniti
  •         traumi dell'addome
  •         alcuni farmaci (oppiacei, neuroplegici, miorilassanti)
  •         malattie dei muscoli o del sistema nervoso come il morbo di Parkinson




Trattamento ed opzioni terapeutiche

Il trattamento precoce dell'ostruzione intestinale è fondamentale per la prevenzione delle complicanze, rappresentate essenzialmente da fenomeni necrotici del tratto intestinale interessato dall'ostruzione, con possibile perforazione delle sue pareti, peritonite diffusa, sepsi e shock. Naturalmente, il trattamento dell'ostruzione intestinale dipende dalle cause che l'hanno generata; comune, qualora le condizioni lo richiedano, è la necessità di ospedalizzare il paziente per monitorare le condizioni ed i parametri vitali, e correggere la disidratazione.
L'eccesso di fluidi a livello gastrico può essere assorbito mediante sondino nasogastrico, mentre l'applicazione del catetere assicura il drenaggio delle urine e la possibilità di esame rapido delle stesse.
Normalmente il paziente viene tenuto a digiuno assoluto e nutrito per via endovenosa; spesso utile la profilassi antibiotica. Questa fase, della durata di qualche ora, ha lo scopo di stabilizzare le condizioni del paziente colpito da occlusione intestinale e di prepararlo al meglio ad affrontare un eventuale intervento chirurgico.

Quando necessario, come accade nelle ostruzioni meccaniche complete, si richiede un intervento di chirurgia maggiore per risolvere il blocco od eliminare le parti necrotiche dell'intestino.
L'ileo paralitico, invece, verte generalmente verso la risoluzione spontanea nel giro di qualche giorno; se i medici lo ritengono opportuno, la guarigione può comunque essere favorita od accelerata dalla somministrazione di farmaci (come la prostigmina) che aumentano la contrattilità della muscolatura addominale, favorendo l'avanzamento del contenuto enterico bloccato dall'occlusione intestinale.






Defecazione e movimenti peristaltici

La defecazione è il risultato della peristalsi intestinale. I muscoli dell'intestino crasso lavorano in continuazione per rimescolare il contenuto enterico, favorendo il riassorbimento dell'acqua e delle vitamine e acidi grassi prodotti dalla flora batterica intestinale. Durante queste contrazioni, dette di rimescolamento o di segmentazione, la progressione del chilo è minima. Il contenuto intestinale viene quindi fatto avanzare in maniera importante da un ulteriore tipo di contrazioni, dette di massa, durante le quali un segmento importante di colon si restringe facendo nascere un movimento propulsivo a valle.
Le contrazioni di massa non avvengono di continuo come quelle di rimescolamento, ma insorgono mediamente tre o quattro volte al giorno.
La loro insorgenza è spesso associata alla comparsa del riflesso della defecazione. Esso avviene, di norma, una volta al giorno, ma si considera ancora fisiologica una frequenza compresa tra una scarica ogni due giorni e tre al giorno.




E' possibile capire quanto a lungo le feci sono rimaste nel colon esaminandone l'aspetto e confrontandolo con una scala che va dalla consistenza liquida (diarrea, permanenza insufficiente) a quella caprina (pallottoline particolarmente dure, permanenza eccessiva), passando per la classica forma a salsicciotto, che si fa più o meno nodosa mano a mano che ci si avvicina ad un quadro di stitichezza. 



I movimenti peristaltici di massa avvengono tipicamente nei momenti successivi al risveglio; favoriti dall'assunzione eretta e dai primi passi, spingono il contenuto verso il retto producendo lo stimolo.

Il riflesso della defecazione  è innescato dal passaggio del materiale fecale nel retto. Lo sfintere anale interno si rilascia, mentre quello esterno, che è volontario quindi controllabile, si contrae. Qualora la situazione sia ritenuta appropriata lo sfintere anale esterno viene rilasciato, così come il muscolo elevatore dell'ano e si ha la defecazione.
La defecazione è un atto volontario e si basa su due eventi coordinati: il rilasciamento del pavimento pelvico e l'aumento della pressione intra-addominale. Quando il retto è vuoto non c'è il desiderio di evacuare. Nel momento in cui le feci entrano nel retto, la pressione esercitata sulla parete rettale determina una sensazione di pienezza. L'ulteriore distensione della parete rettale induce il rilasciamento dello sfintere anale interno permettendo alle feci di venire a contatto con i recettori sensoriali presenti sulla parte superiore del canale anale; si avverte così la sensazione evacuativa, che determina anche il rilasciamento dello sfintere esterno e dei muscoli del pavimento pelvico.
Quando, invece, i muscoli del pavimento pelvico si contraggono per mantenere la continenza, le feci rimangono nella parte alta del retto non venendo più a contatto con la mucosa anale. L'accomodazione delle fibrocellule muscolari al nuovo contenuto, riduce la tensione della parete rettale ed il desiderio di evacuare cessa.

L'evacuazione è favorita dall'assunzione di posizioni particolari, come quella acquattata (alla turca), in cui l'addome viene naturalmente compresso contro le cosce.
La defecazione è inoltre influenzata dallo stato psicologico e dalle abitudini dietetiche del soggetto che possono favorire un rallentamento o un aumento della motilità intestinale.

Alterazione della motilità intestinale

Le tradizionali teorie riguardanti la fisiopatologia possono essere individuate in 3 complessi capitoli:

1. motilità gastrointestinale
2. peralgesia
3. psicopatologia 

1)  L'alterazione della motilità gastrointestinale, include specifiche modificazioni della funzione motoria del piccolo e del grande intestino:
a)  l'attività mioelettrica del colon (la capacità di far procedere le feci sino alla evacuazione) è composta da un susseguirsi di lente onde di contrazione muscolare, sulle quali si sovrappongono spike di potenziali d'azione (capacità della cellula muscolare di contrarsi in modo energico). La dismotilità (alterata motilità) del colon nella sindrome del colon irritabile, si manifesta con una variazione della frequenza delle lente onde di contrazione della muscolatura interrotte, soprattutto come riposta post prandiale, dagli spike dei potenziali d'azione. I pazienti soggetti a diarrea, dimostrano questa disparità in misura maggiore rispetto ai pazienti prevalentemente soggetti a stipsi.
b)    La dismotilità del piccolo intestino si manifesta con un rallentato transito del cibo, soprattutto nei soggetti con prevalenza di alvo stitico, ed in un accelerato transito nei soggetti con prevalenza di diarrea; questi pazienti, inoltre mostrano intervalli più brevi tra onde successive di propulsione (cosiddette onde predominanti interdigestive del piccolo intestino).
c)  Le teorie correnti tendono a integrare queste alterazioni diffuse della motilità, ipotizzando una generalizzata, aumentata attività della muscolatura liscia, simile alla sommazione di contrazioni energiche subentranti. Tali teorie associano ai disturbi della motilità del piccolo e grande intestino, anche i sintomi urinari includendo aumento della frequenza, urgenza e nicturia (aumento delle frequenza notturna alla minzione) .

2)   La iperalgesia viscerale (abnorme aumento della sensibilità al dolore) è il secondo dei tre complessi capitoli.
L'anormale percezione della fisiologica motilità intestinale ed il dolore viscerale, caratterizzano la sindrome del colon irritabile.
Nell'esecuzione del test per la valutazione della sensibilità viscerale al dolore, la distensione della sonda a palloncino nel retto-sigma (ultimo tratto del colon), e nel piccolo intestino, producono dolore anche a bassissimi volumi nei pazienti affetti da sindrome del colon irritabile, rispetto ai pazienti di controllo.
Da notare che  l'ipersentività appare rapidamente, ma non gradualmente, rispetto alla distensione. 
I pazienti che ne sono affetti, riferiscono una ampia diffusione di riferimento cutaneo rispetto al dolore viscerale percepito.
Questo ultimo effetto è dovuto alla percezione del dolore (sottoforma di segnale elettrico), che le terminazioni nervose del colon inviano al cervello, attraverso una parte specifica del midollo spinale, denominata corna posteriori.
In questa sede arrivano e partono anche le terminazioni nervose cutanee; pertanto un  dolore scatenato nel retto-sigma, può essere percepito dal paziente come diffuso ad una ampia superficie cutanea dell'addome


3)    La psicopatologia è il terzo complesso capitolo. 
L'associazione tra disturbi psichiatrici e sindrome del colon irritabile non è mai stata realmente chiarita e dimostrata.
Pazienti affetti da disturbi psicologici, vanno incontro a patologie debilitanti molto più frequentemente rispetto alla popolazione di controllo.
Pazienti alla continua ricerca di terapie mediche, hanno un'alta incidenza di crisi di panico, stati depressivi, ansietà ed ipocondria rispetto alla popolazione di controllo.
Un'alterazione del Brain-Gut Axis (letteralmente Asse Cervello-Intestino) coincide con l'inizio dei disturbi dell'apparato digerente, in circa il 77% dei pazienti.
Resta non chiaro se i disturbi psicopatologici inducano alla sindrome del colon irritabile o viceversa. 

Nei soggetti con IBS si può osservare un'infiammazione di lieve entità della mucosa intestinale che può essere causata da allergie o intolleranze alimentari, da infezioni intestinali o da alterazioni della microflora intestinale.