Per idrope endolinfatico si
intende una condizione di aumento della endolinfa,
liquido contenuto nell’orecchio interno ed
in particolare all’interno del labirinto
membranoso, costituito dal canale
cocleare, dal sacculo,
dall’utricolo, dai tre canali semicircolari e dal dotto e sacco endolinfatico.
L’idrope endolinfatico è
riconosciuto da tutta la comunità medico-scientifica da moltissimi anni come il
substrato patologico della sindrome di Ménière,
definita come l’associazione, con caratteristiche particolari, di crisi di vertigine rotatoria (illusoria
percezione di movimento o dell’ambiente rispetto al corpo o del corpo rispetto
all’ambiente), acufeni soggettivi (percezione uditiva non organizzata in
assenza di qualunque sorgente sonora), ipoacusia neurosensoriale(riduzione dell’udito per disfunzione
dell’orecchio interno), fullness (termine inglese, generalmente tradotto
in italiano come ovattamento, sebbene nell’uso clinico si preferisca utilizzare
il termine inglese, corrispondente a un senso di pressione e/o chiusura
dell’orecchio, non obbligatoriamente accompagnato a riduzione dell’udito).
Definizioni utilizzate per la diagnosi
Idrope endolinfatico e Malattia o Sindrome di Ménière non
possono essere considerati sinonimi o definizioni intercambiabili poiché la
prima rappresenta il substrato anatomopatologico della seconda, che si
definisce per i suoi sintomi e non per la sua base anatomopatologica. In tutti i casi di Sindrome di Meniere è
presente idrope ma non tutti i casi
di idrope si manifestano o si
manifesteranno in futuro come sindrome
o malattia di Ménière.
I sintomi dell’Idrope
L’idrope oltre che manifestarsi con il quadro
classico e tutti i sintomi della sindrome
o malattia di Ménière, che peraltro possono fare la loro prima comparsa
in epoche differenti, permettendo di definire i tal
modo il quadro clinico del paziente spesso solo a distanza di molto tempo
dall’esordio dei primi sintomi, può dare origine anche solo ad uno o più degli
stessi sintomi che compongono, se associati, la sindrome, o con varianti
tradizionalmente non incluse nella sindrome stessa. E l’idrope asintomatico, se si accetta, come ormai
accettato dalla comunità scientifica da tempo che l’esame più affidabile per la
diagnosi dell’idrope sia l’elettrococleografia,
è molto più frequente di quanto non appaia dalle statistiche che tengono conto
solo di pazienti, visto che l’esame risulta alterato anche in moltissime
persone che non riferiscono alcun disturbo.
Avere “idrope” non
significa quindi avere un patologia o che questa inevitabilmente si manifesterà
con dei disturbi, ma solo avere una condizione parafisiologica (al limite del normale cioè) che potrebbe evolvere o meno in una vera condizione
patologica con dei sintomi successivamente, ma la frequenza stessa dell’idrope,
la frequente sporadicità dei sintomi che si prestano spesso in modo del tutto
occasionale e in modo non invalidante, e l’assenza di vere terapie preventive,
rendono impensabile e del tutto illogico lo sfruttamento di questo dato o di
esami diagnostici di screening per attuare strategie di prevenzione.
L’idrope creando
una disfunzione idromeccanica nell’orecchio
interno può dare origine a uno o più dei
seguenti sintomi da questa direttamente derivanti, contemporaneamente o in epoche differenti.
L’insieme dei sintomi elencati costituisce la Sindrome di Méniére.
Ufficialmente si può usare quest’ultima definizione diagnostica solo se il
paziente “ha avuto nella vita almeno 2
attacchi di vertigine rotatoria oggettiva della durata di almeno 20
minuti”, oltre ad acufeni ed ipoacusia.
VERTIGINI
crisi rotatorie RECIDIVANTI
oggettive spontanee
crisi parossistiche posizionali
disequilibrio soggettivo a crisi o cronico
crisi parossistiche posizionali
disequilibrio soggettivo a crisi o cronico
ACUFENI SOGGETTIVI (bio-elettrici)
fluttuanti, non costanti,
variabili persistenti, invariabili, progressivi
ALTERAZIONEDELL’UDITO
ipoacusia fluttuante, variabile, incostante
ipoacusia persistente invariabile o progressiva
disacusia e/o iperacusia
ipoacusia fluttuante, variabile, incostante
ipoacusia persistente invariabile o progressiva
disacusia e/o iperacusia
FULLNESS
(Sensazione di pressione o occlusione)
(Sensazione di pressione o occlusione)
VERTIGINI
Tutte le forme di vertigini recidivanti a
crisi, spontanee o posizionali, di qualunque durata e tipo, e ogni
situazione di disequilibrio soggettivo transitorio o persistente sono
sempre dovute ad idrope.
Sono quindi da ricondurre all’idrope, secondo questa
affermazione, non solo crisi recidivanti
di tipo rotatorio-oggettivo spontanee della durata di almeno 20
minuti l’una come richiesto nella definizione classica della sindrome di Méniere, ma anche la vertigine parossistica posizionale scatenata
in modo specifico da cambiamenti di posizione, tradizionalmente attribuite ad
una patogenesi mai realmente dimostrata, la cupololitiasi,
o disturbi soggettivi dell’equilibrio (disequilibrio
soggettivo cronico). Le crisi rotatorie oggettive spontanee,
che possono peraltro durare un tempo anche minore di quanto preso in
considerazione dalla definizione ufficiale di sindrome
di Meniere, sono la diretta espressione di un brusco aumento
dell’endolinfa e del conseguente stimolo delle cupole
dei canali semicircolari, i recettori che informano il cervello
circa le accelerazioni angolari (ovvero di tipo rotatorio) della
testa nei tre assi, al fine di aggiustare
automaticamente la posizione degli occhi, e l’equilibrio.
Ma è anche sempre dovuta all’idrope, e in questo caso agli
effetti dell’asimmetria esercitata dall’eccesso di endolinfa sulle macule del sacculo e dell’utricolo,
i recettori gravitazionali e di
accelerazione lineare già menzionati, la percezione
di disequilibrio soggettivo (percezione
di instabilità o sbandamento in assenza di vera instabilità o di vera perdita
di equilibrio), più o meno invalidante nello specifico paziente
anche a seconda del grado di attenzione prestata, e del tentativo di correzione
del disturbo, a sua volta strettamente correlati allo stato psichico del
paziente ed a componenti intimamente psichiche come ansia e ipocondria.
ACUFENI E IPOACUSIA
L’acufene soggettivo, ovvero la
percezione di un segnale acustico di
tipo non intermittente (fischio,
ronzio, fruscio, sibilo, rombo ecc), indipendentemente dalle sue
caratteristiche di durata, è sempre l’espressione di un segnale bio-elettrico generato
nell’ambito dell’apparato uditivo ed in
particolare nel tratto orecchio
interno – nervo
acustico.
Non esiste alcuna sorgente sonora che produca meccanicamente (secondo le regole fisiche
dell’acustica) il suono o rumore percepito dal paziente, ma una sorgente di segnale bio-elettrico che
produce un segnale bio-elettrico, il quale
viaggiando lungo le fibre del nervo
acustico e passando per le stazioni intermedie delle vie acustiche centrali, giunge
alla area acustica della corteccia cerebrale,
dove viene percepito come segnale acustico.
L’acufene
soggettivo, nella maggior parte dei casi, non è altro che la percezione
del segnale bio-elettrico generato
e propagato fino alla corteccia esattamente come avviene normalmente, ma in
questo caso non in risposta ad una
stimolazione reale proveniente dall’esterno.
Sebbene al momento non sia stato confermato alcun
altro meccanismo certo con il quale qualcosa diverso dall’idrope e dalla
disfunzione idromeccanica da questo esercitata possa produrre un acufene
soggettivo, è possibile che esistano anche meccanismi, quali danni permanenti a livello delle cellule
ciliate, o una produzione
autonoma, improbabile ma che non può ancora essere esclusa, a causa di
danni a livello delle vie
uditive centrali.
Il tipico acufene
della Sindrome di Meniere, e quindi da idrope,
comunque, stando a quello su cui tutti concordano è un acufene, almeno all’inizio, fluttuante, sebbene non sia
assolutamente vero che un acufene esordito
come persistente non possa essere dovuto ad un idrope
persistente. Ciò nonostante la diagnosi è spesso misconosciuta in
assenza di un quadro classico e tipico “da manuale” dei Malattia di Ménière con
tutti i sintomi che la costituisco.
Dall’ idrope sono
causati, con lo stesso meccanismo, ovviamente anche tutti gli acufeni transitori di breve durata,
quali quelli da trauma acustico che
si verificano all’uscita da un concerto o da una discoteca. La frequenza di
questi acufeni transitori da idrope è
tale da aver generato noti detti popolari a conferma di quanto l’idrope sia frequente.
FULLNESS
La sensazione di orecchio chiuso e/o pressione
nell’orecchio (fullness) è sempre dovuta a una di queste tre possibili cause:
ostruzione del condotto uditivo esterno, ad esempio da tappo di cerume;
accumulo di secrezione a densità variabile dell’orecchio medio (otite catarrale
o sieromucosa, glue ear), o a un idrope endolinfatico o forse anche più spesso
perilinfatico dell’orecchio interno.
Nei primi due casi però è inevitabile
l’associazione con una ipoacusia
trasmissiva di tipo meccanico, (e non neurosensoriale), dovuta
all’ostruzione del meccanismo di conduzione
aerea dell’orecchio esterno, nel caso del tappo
di cerume, o all’impedimento alla normale vibrazione della membrana del timpano.
Nel caso di percezione di orecchio chiuso (fullness) dovuta all’idrope (più probabilmente in
questo caso alla pressione nel compartimento
perilinfatico per aumento
di perilinfa o per trasmissione della aumentata pressione endolinfatica), invece l’ipoacusia può associarsi o
anche mancare mentre è, di solito, riferito dal paziente un senso di pressione, di spinta avvertito
all’interno dell’orecchio, più raramente riferito se il senso di
occlusione è dovuto ad altre cause.
La diagnosi
differenziale è comunque in questo caso molto semplice eseguendo un esame audiometrico e
soprattutto un esame
impedenzometrico (timpanometria,
studio della motilità del timpano). Se la timpanometria mostra
l’assenza di ostacoli alla normale mobilità della membrana timpanica, l’unica causa possibile
di fullness resta l’idrope dell’orecchio interno.
LE CAUSE DELL’IDROPE E LE TERAPIE SPECIFICHE
ANTi-IDROPE
Il
meccanismo primario che porterebbe all’aumento dei liquidi labirintici non è ancora stato
accertato nonostante molte ipotesi siano state formulate. Quelle attualmente
più seguite sono il difetto di
riassorbimento dovuto ad ostruzione del dotto endolinfatico e/o del sacco
endolinfatici, che si ritiene essere la sede primaria di riassorbimento dell’endolinfa e
l’eccesso di produzione da
parte della cosiddetta stria vascolare.
Che l’occlusione sperimentale del dotto
endolinfatico possa portare a idrope è
un dato certo e confermato, ma in patologia umana sono probabilmente implicati
anche altri fattori.
L’ipotesi più suggestiva e finora l’unica
supportata da conferme scientifiche e basi logiche di fisiologia umana è invece
quella che mette in relazione l’idrope con l’ormone antidiuretico (ADH, vasopressina,
adiuretina). Nonostante
la conferma, certa ormai da diversi anni (Beitz
E. 1999 e numerose altre pubblicazioni) della presenza nell’orecchio interno di recettori specifici per l’ADH e
di aquaporine, (canali proteici che modificherebbero
la loro permeabilità in risposta all’interazione tra l’ADH ed i suoi recettori),
e l’efficacia dimostrata da terapie
specifiche che riducono indirettamente la produzione di ormone antidiuretico, l’esatto
meccanismo che porterebbe all’idrope o
all’insorgenza dei non è però ancora noto ed è probabile che questo risulti da
più fattori associati quali ad esempio una ipersensensibilità
all’azione dell’ADH e/o condizioni
anatomiche favorenti, quali un ridotto
riassorbimento a livello del sacco endolinfatico.
Ormai
accertato invece è il ruolo
dello stress, come fattore favorente e di mantenimento o ricorrenza dei
sintomi ed è certo che l’ormone
antidiuretico è uno dei principali ormoni da stress del nostro organismo.
Una
possibile spiegazione è che picchi non costanti di ADH (ormone sensibile soprattutto alla osmolarità plasmatica, ovvero
alla carenza di liquidi, e allo stress,
non solo psicogeno, ma anche di natura climatica o legata ad altri fattori) determinerebbero una aumentata produzione a poussées di
endolinfa nell’orecchio interno.
Quando la capacità di smaltimento e riassorbimento
dell’eccesso dei liquidi si mantiene nella norma potrebbero comparire sintomi
sporadici e occasionali, o anche nessun sintomo,
mentre la presenza di ostacoli
al riassorbimento dei liquidi associati ad aumentata produzione potrebbero
portare a disturbi più frequenti o duraturi o addirittura a disturbi
stazionari.
Senza tenere in considerazione le numerose terapie
prive a priori di alcuna possibile efficacia nei confronti dell’idrope e propagandate spesso
solo a scopo speculativo per questa come per molte altre situazioni, quali integratori,
vitamine, aminoacidi, ricostituenti,
rimedi omeopatici, e tutte le cure cosiddette “alternative”, agopuntura, osteopatia ed altro,
aventi tutte in comune l’assenza
di un meccanismo d’azione noto e che possa giustificare benefici
diversi da un eventuale e comunque molto raro, effetto
placebo o risoluzione spontanea non legata alla terapia, oltre ai
già citati vasodilatatori e fluidificanti, i farmaci più comuni ancora oggi
impiegati in modo specifico per l’idrope sono i diuretici
per via orale.
Purtroppo questi, e l’ultima letteratura
scientifica sembra anche iniziare a confermarlo, spesso si rivelano più dannosi che utili, e comunque privi di
qualunque efficacia, visto che la loro azione specifica sull’orecchio è
bassissima se non addirittura nulla.
Molto diffuso è anche l’impiego di un altro tipo di
diuretico, il diuretico osmotico, (mannitolo, glicerolo) che
nonostante condivida la definizione relativa all’effetto più evidente
(l’aumentata diuresi) con i diuretici per via orale, agisce
con un meccanismo del tutto differente.
Introdotte
per via endovenosa direttamente nel sangue,
queste sostanze ad alto peso molecolare
attirano verso il sangue acqua dagli spazi
interstiziali dei tessuti per osmosi (il liquido si sposta verso le soluzioni
a maggior concentrazione) e questo è il meccanismo che poi porta
all’effetto terapeutico per ulteriore inibizione
dell’ADH e ovviamente alla maggior diuresi esattamente come avviene
in modo molto più diretto e fisiologico per l’iperassunzione
di acqua per via orale.
Vanno inoltre menzionate le terapie meccaniche che
puntano a spingere meccanicamente il liquido in eccesso verso il suo presunto punto di riassorbimento.
Sullo stesso principio si basa la documentata ma
non costante efficacia dei trattamenti
in camera iperbarica, dove il
paziente vien esposto ad una pressione
ambientale superiore a quella atmosferica abituale.
Infine è necessario citare una procedura chirurgica che
nella sua logica si presenta come la più ovvia delle soluzioni: l’apertura e
l’inserimento mediante intervento chirugico di una valvola nel sacco endolinfatico, ovvero là
dove si presume debba avvenire il riassorbimento
dei liquidi. In tal modo l’aumento della pressione
dell’endolinfa verrebbe immediatamente (in teoria) smaltito
attraverso la valvola. La procedura prende il nome di drenaggio del sacco endolinfatico.
La procedura chirurgica purtroppo non è immune da possibili complicanze anche gravi, non solo a
carico dell’udito ma anche maggiori, seppur rare.
Tratto
da: (Dr. Andrea La Torre – Specialista in Otorinolaringoiatria –
www.drlatorre.info)
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