martedì 1 marzo 2016

Collegamento tra disbiosi e autismo

Disturbi autistici e dell’umore potrebbero essere collegati ad alterazioni della flora intestinale: lo sostiene un recente studio tutto italiano pubblicato sulla rivista World journal of Gastroenterology,  in cui gli autori fanno notare come la modulazione del microbiota come approccio terapeutico all’autismo e ai disturbi dell’umore sia stato valutato finora solo in condizioni cliniche sperimentali, ma con risultati molto promettenti, invitando quindi al sostenimento di altri, appositi studi.

Secondo lo studio, la flora batterica intestinale rappresenta il primo sistema di protezione del tratto gastrointestinale (GI) e svolgerebbe un ruolo chiave nell’insorgenza di questi disturbi, ma il meccanismo attraverso il quale ciò avviene non è stato ancora pienamente chiarito.

Dati recenti mostrano la forte correlazione tra disbiosi e condizioni come obesità, allergie, malattie autoimmuni, la sindrome dell'intestino irritabile (IBS), malattie infiammatorie intestinali (IBD), e disturbi psichiatrici.

Proprio per queste evidenze sul fondamentale ruolo della flora intestinale nell’alterazione del sistema immunitario, neuronale, e nei percorsi endocrini, il cosiddetto ‘asse cervello-intestino’ sta acquisendo un nuovo significato, anche se le vie di comunicazione non sono ancora definite.

In particolare, la disbiosi è la conseguenza dell’alterazione della permeabilità intestinale che porta rispettivamente alla produzione e alla diffusione nel sangue di una potente endotossina pro-infiammatoria, cioè il lipopolisaccaride (LPS).
Questa piccola molecola ha un influenza importante nella modulazione del sistema nervoso centrale (CNS), aumentando l'attività di aree deputate al controllo dell’emotività come l’amigdala e portando anche alla produzione di citochine infiammatorie che alterano l'attività cerebrale fisiologica, modulando la sintesi di neuropeptidi.

Ci sono studi che sottolineano l'importanza dei collegamenti bidirezionali tra intestino e cervello con particolare focus sulle cellule enterocromaffini. 


A supporto del coinvolgimento dell’intestino nell’autismo, è stato dimostrato che una grande quantità di specie appartenenti al genere Clostridium (10 volte di più) caratterizzano la composizione qualitativa di campioni fecali di bambini autistici. Quindi, in questi soggetti è stata caratterizzata la composizione del microbiota, che mostra uno squilibrio di phyla Bacteroidetes e Firmicutes, con una maggiore presenza di Bacteroidetes e altri commensali intestinali quali Bifidobacterium, Lactobacillus, Sutterella, Prevotella, genere Ruminococcus e famiglia Alcaligenaceae.





Disbiosi intestinale e patologie correlate

Dentro il nostro intestino brulicano quantità davvero importanti di batteri e virus. 
Il canale intestinale accoglie più di 500 tipi diversi di batteri e oltre 1200 ceppi virali. 
I numeri sono importanti perché solo i batteri intestinali sono nell'ordine di 10 alla 14esima cioè 100.000.000.000.000 (centomila miliardi), un numero pari a 10 volte le cellule che compongono il corpo umano.

Tutta questa popolazione si può dividere in due grandi gruppi:

1) batteri autoctoni che cominciano a colonizzare il tubo digerente sin dalla nascita e, già dopo lo svezzamento, si trasformano in colonie stabili permanenti. La qualità e la quantità di alcuni ceppi caratteristici possono fornire un imprintig così costante che può essere usata per l'identificazione individuale con una precisione superiore a quella delle impronte digitali!

2) Batteri alloctoni che si trovano nel nostro intestino solo in forma transitoria senza formare colonie stabili e che sono introdotti con il cibo (es. i formaggi o i salumi e tutti i cibi fermentati): quando il loro numero aumenta causano squilibri che dalla semplice disbiosi possono arrivare fino a malattie più gravi.

Man mano che si procede all'interno dell'apparato gastroenterico, le condizioni ambientali mutano e ciò determina la varietà delle specie microbiche che si insediano ai diversi livelli. La struttura dell'organo è importante e per questo motivo ogni specie animale presenta una microflora batterica di composizione diversa e con un'elevata specificità (un lattobacillo acidofilo del pollo non è esattamente lo stesso di quello dell'uomo).
I batteri colonizzano i segmenti del tubo intestinale dove trovano le condizioni più adatte al loro sviluppo: l'anatomia e la fisiologia sono assai importanti nel determinare la quantità e la qualità dei microrganismi. In linea di massima sono graditi i tratti dove il movimento contrattile dell'intestino (peristalsi) è più contenuto.

Tra i fattori che regolano l'equilibrio della popolazione batterica vi sono il pH, cioè l'acidità o basicità dell'ambiente, l'ossigeno, i nutrienti, la presenza di competitori. I probiotici amano un ambiente acido con un pH intorno a 5 o 6 mentre i patogeni amano un pH più alto verso il 7; l'acidificazione del tratto intestinale operato dai probiotici con la trasformazione di zuccheri in acido lattico, riduce la capacità proliferativa dei patogeni.
Tutti i batteri che vivono nell'apparato gastroenterico si trovano anche nelle feci la cui composizione riproduce l'equilibrio che si è instaurato negli ultimi tratti. 

I due gruppi di batteri, probiotici (buoni) e patogeni (cattivi), sono in equilibrio tra loro, ma il rapporto può sbilanciarsi per effetto dell'età, dell'alimentazione, delle malattie intestinali acute (diarrea), croniche (stitichezza) e delle terapie antibiotiche.
L'uso di integratori biologici a base di batteri probiotici ha un senso solo se gli stessi sono umano compatibili e soprattutto se vengono assunti in modo mirato per il tratto intestinale compromesso.
L'ottimizzazione dei risultati la si può ottenere solo con una conoscenza e un utilizzo degli integratori probiotici mirata al tratto compromesso o alla funzione desiderata.


Non esiste il probiotico che fa tutto, ma esistono probiotici per problematiche diverse.

L'interazione tra batteri probiotici e cellule enterocitarie possono portare a modifiche dell'espressione citochinica che governa il comportamento delle cellule immunitarie. 
Questa interazione può portare, in caso di mal funzionamento, alle malattie infiammatorie e autoimmuni che sono in vistoso aumento. 

La somiglianza tra una famiglia di proteine (chaperoni) mitocondriali indotte dall'infiammazione e quelle batteriche dei patogeni (GroEl) può dare una spiegazione anatomo-patologica all'insorgenza di questo tipo di patologie.  







mercoledì 27 gennaio 2016

L'idrope endolinfatico e la sindrome di Ménière

Per idrope endolinfatico si intende una condizione di aumento della endolinfa, liquido contenuto nell’orecchio interno ed  in particolare all’interno del labirinto membranoso, costituito dal canale cocleare, dal sacculo, dall’utricolo, dai tre canali semicircolari e dal dotto e sacco endolinfatico.

L’idrope endolinfatico è riconosciuto da tutta la comunità medico-scientifica da moltissimi anni come il substrato patologico della sindrome di Ménière, definita come l’associazione, con caratteristiche particolari, di crisi di vertigine rotatoria (illusoria percezione di movimento o dell’ambiente rispetto al corpo o del corpo rispetto all’ambiente), acufeni soggettivi (percezione uditiva non organizzata in assenza di qualunque sorgente sonora), ipoacusia neurosensoriale(riduzione dell’udito per disfunzione dell’orecchio interno), fullness (termine inglese, generalmente tradotto in italiano come ovattamento, sebbene nell’uso clinico si preferisca utilizzare il termine inglese, corrispondente a un senso di pressione e/o chiusura dell’orecchio, non obbligatoriamente accompagnato a riduzione dell’udito).

Definizioni utilizzate per la diagnosi

Idrope  endolinfatico e Malattia o Sindrome di Ménière non possono essere considerati sinonimi o definizioni intercambiabili poiché la prima rappresenta il substrato anatomopatologico della seconda, che si definisce per i suoi sintomi e non per la sua base anatomopatologica. In tutti i casi di Sindrome di Meniere è presente idrope ma non tutti i casi di idrope si manifestano o si manifesteranno in futuro come sindrome o malattia di Ménière.

I sintomi dell’Idrope

L’idrope oltre che manifestarsi con il quadro classico e tutti i sintomi della sindrome o malattia di Ménière, che peraltro possono fare la loro prima comparsa in epoche differenti, permettendo di definire i tal modo il quadro clinico del paziente spesso solo a distanza di molto tempo dall’esordio dei primi sintomi, può dare origine anche solo ad uno o più degli stessi sintomi che compongono, se associati, la sindrome, o con varianti tradizionalmente non incluse nella sindrome stessa. E l’idrope asintomatico, se si accetta, come ormai accettato dalla comunità scientifica da tempo che l’esame più affidabile per la diagnosi dell’idrope sia l’elettrococleografia, è molto più frequente di quanto non appaia dalle statistiche che tengono conto solo di pazienti, visto che l’esame risulta alterato anche in moltissime persone che non riferiscono alcun disturbo.
Avere “idrope” non significa quindi avere un patologia o che questa inevitabilmente si manifesterà con dei disturbi, ma solo avere una condizione parafisiologica (al limite del normale cioè) che potrebbe evolvere o meno in una vera condizione patologica con dei sintomi successivamente, ma la frequenza stessa dell’idrope, la frequente sporadicità dei sintomi che si prestano spesso in modo del tutto occasionale e in modo non invalidante, e l’assenza di vere terapie preventive, rendono impensabile e del tutto illogico lo sfruttamento di questo dato o di esami diagnostici di screening per attuare strategie di prevenzione.
L’idrope creando una disfunzione idromeccanica nell’orecchio interno può dare origine a uno o più dei seguenti sintomi da questa direttamente derivanti, contemporaneamente o in epoche differenti.
L’insieme dei sintomi elencati costituisce la Sindrome di Méniére. Ufficialmente si può usare quest’ultima definizione diagnostica solo se il paziente “ha avuto nella vita almeno 2 attacchi di vertigine rotatoria oggettiva della durata di almeno 20 minuti”, oltre ad acufeni ed ipoacusia. 

VERTIGINI
crisi rotatorie RECIDIVANTI oggettive spontanee
crisi parossistiche posizionali
disequilibrio soggettivo a crisi o cronico

ACUFENI SOGGETTIVI  (bio-elettrici)
fluttuanti, non costanti, variabili persistenti, invariabili, progressivi

ALTERAZIONEDELL’UDITO
ipoacusia fluttuante, variabile, incostante
ipoacusia persistente invariabile o progressiva
disacusia e/o iperacusia

FULLNESS
(Sensazione di pressione o occlusione)

VERTIGINI

Tutte le forme di vertigini recidivanti a crisi, spontanee o posizionali, di qualunque durata e tipo,  e ogni situazione di disequilibrio soggettivo transitorio o persistente sono sempre dovute ad idrope.

Sono quindi da ricondurre all’idrope, secondo questa affermazione,  non solo crisi recidivanti di tipo rotatorio-oggettivo spontanee della durata di almeno 20 minuti l’una come richiesto nella definizione classica della sindrome di Méniere, ma anche la vertigine parossistica posizionale scatenata in modo specifico da cambiamenti di posizione, tradizionalmente attribuite ad una patogenesi mai realmente dimostrata, la cupololitiasi, o disturbi soggettivi dell’equilibrio (disequilibrio soggettivo cronico). Le crisi rotatorie oggettive spontanee, che possono peraltro durare un tempo anche minore di quanto preso in considerazione dalla definizione ufficiale di sindrome di Meniere, sono la diretta espressione di un brusco aumento dell’endolinfa e del conseguente stimolo delle cupole dei canali semicircolari, i recettori che informano il cervello circa le accelerazioni angolari (ovvero di tipo rotatorio) della testa nei tre assi,  al fine di aggiustare automaticamente la posizione degli occhi, e l’equilibrio.

Ma è anche sempre dovuta all’idrope, e in questo caso agli effetti dell’asimmetria esercitata dall’eccesso di endolinfa sulle macule del sacculo e dell’utricolo, i recettori gravitazionali e di accelerazione lineare già menzionati,  la percezione di disequilibrio soggettivo (percezione di instabilità o sbandamento in assenza di vera instabilità o di vera perdita di equilibrio), più o meno invalidante nello specifico paziente anche a seconda del grado di attenzione prestata, e del tentativo di correzione del disturbo, a sua volta strettamente correlati allo stato psichico del paziente ed a componenti intimamente psichiche come ansia e ipocondria.

ACUFENI E IPOACUSIA

L’acufene soggettivo, ovvero la percezione di un segnale acustico di tipo non intermittente (fischio, ronzio, fruscio, sibilo, rombo ecc), indipendentemente dalle sue caratteristiche di durata, è sempre l’espressione di un segnale bio-elettrico generato nell’ambito dell’apparato uditivo ed in particolare nel tratto orecchio interno – nervo acustico
Non esiste alcuna sorgente sonora che produca meccanicamente (secondo le regole fisiche dell’acustica) il suono o rumore percepito dal paziente, ma una sorgente di segnale bio-elettrico che produce un segnale bio-elettrico, il quale viaggiando lungo le fibre del nervo acustico e passando per le stazioni intermedie delle vie acustiche centrali, giunge alla area acustica della corteccia cerebrale, dove viene percepito come segnale acustico.

L’acufene soggettivo, nella maggior parte dei casi, non è altro che la percezione del segnale bio-elettrico generato e propagato fino alla corteccia esattamente come avviene normalmente, ma in questo caso non in risposta ad  una stimolazione reale proveniente dall’esterno.  

Sebbene al momento non sia stato confermato alcun altro meccanismo certo con il quale qualcosa diverso dall’idrope e dalla disfunzione idromeccanica da questo esercitata possa produrre un acufene soggettivo, è possibile che esistano anche meccanismi, quali danni permanenti a livello delle cellule ciliate, o una produzione autonoma, improbabile ma che non può ancora essere esclusa, a causa di danni a livello delle vie uditive centrali. 

Il tipico acufene della Sindrome di Meniere, e quindi da idrope, comunque, stando a quello su cui tutti concordano è un acufene, almeno all’inizio, fluttuante, sebbene non sia assolutamente vero che un acufene esordito come persistente non possa essere dovuto ad un idrope persistente. Ciò nonostante la diagnosi è spesso misconosciuta in assenza di un quadro classico e tipico “da manuale” dei Malattia di Ménière con tutti i sintomi che la costituisco.
Dall’ idrope sono causati, con lo stesso meccanismo, ovviamente anche tutti gli acufeni transitori di breve durata, quali quelli da trauma acustico che si verificano all’uscita da un concerto o da una discoteca. La frequenza di questi acufeni transitori da idrope è tale da aver generato noti detti popolari a conferma di quanto l’idrope sia frequente.

FULLNESS

La sensazione di orecchio chiuso e/o pressione nell’orecchio (fullness) è sempre dovuta a una di queste tre possibili cause: ostruzione del condotto uditivo esterno, ad esempio da tappo di cerume; accumulo di secrezione a densità variabile dell’orecchio medio (otite catarrale o sieromucosa, glue ear), o a un idrope endolinfatico o forse anche più spesso perilinfatico dell’orecchio interno.

Nei primi due casi però è inevitabile l’associazione con una ipoacusia trasmissiva di tipo meccanico,  (e non neurosensoriale), dovuta all’ostruzione del meccanismo di conduzione aerea dell’orecchio esterno, nel caso del tappo di cerume, o all’impedimento alla normale vibrazione della membrana del timpano.

Nel caso di percezione di orecchio chiuso (fullness) dovuta all’idrope (più probabilmente in questo caso alla pressione nel compartimento perilinfatico per aumento di perilinfa o per trasmissione della aumentata pressione endolinfatica), invece l’ipoacusia  può associarsi o anche mancare mentre è, di solito, riferito dal paziente un senso di pressione, di spinta avvertito all’interno dell’orecchio, più raramente riferito se il senso di occlusione è dovuto ad altre cause.
La diagnosi differenziale è comunque in questo caso molto semplice eseguendo un esame audiometrico e soprattutto un esame impedenzometrico (timpanometria, studio della motilità del timpano). Se la timpanometria mostra l’assenza di ostacoli alla normale mobilità della membrana timpanica, l’unica causa possibile di fullness resta l’idrope dell’orecchio interno.

LE CAUSE DELL’IDROPE E LE TERAPIE SPECIFICHE ANTi-IDROPE

Il meccanismo primario che porterebbe all’aumento dei liquidi labirintici non è ancora stato accertato nonostante molte ipotesi siano state formulate. Quelle attualmente più seguite sono il difetto di riassorbimento dovuto ad ostruzione del dotto endolinfatico e/o del sacco endolinfatici, che si ritiene essere la sede primaria di riassorbimento dell’endolinfa e l’eccesso di produzione da parte della cosiddetta stria vascolare. Che l’occlusione sperimentale del dotto endolinfatico possa portare a idrope è un dato certo e confermato, ma in patologia umana sono probabilmente implicati anche altri fattori.

L’ipotesi più suggestiva e finora l’unica supportata da conferme scientifiche e basi logiche  di fisiologia umana è invece quella che mette in relazione l’idrope con l’ormone antidiuretico (ADH, vasopressina, adiuretina). Nonostante la conferma, certa ormai da diversi anni (Beitz E. 1999 e numerose altre pubblicazioni) della presenza nell’orecchio interno di recettori specifici per l’ADH e di aquaporine(canali proteici che modificherebbero la loro permeabilità in risposta all’interazione tra l’ADH ed i suoi recettori), e l’efficacia dimostrata da terapie specifiche che riducono indirettamente la produzione di ormone antidiuretico, l’esatto meccanismo che porterebbe all’idrope o all’insorgenza dei non è però ancora noto ed è probabile che questo risulti da più fattori associati quali ad esempio una ipersensensibilità all’azione dell’ADH e/o condizioni anatomiche favorenti, quali un ridotto riassorbimento a livello del sacco endolinfatico.

Ormai accertato invece è il ruolo dello stress, come fattore favorente e di mantenimento o ricorrenza dei sintomi ed è certo che l’ormone antidiuretico è uno dei principali ormoni da stress del nostro organismo.
Una possibile spiegazione è che picchi non costanti di ADH (ormone sensibile soprattutto alla osmolarità plasmatica, ovvero alla carenza di liquidi, e allo stress, non solo psicogeno, ma anche di natura climatica o legata  ad altri fattori) determinerebbero una aumentata produzione a poussées di endolinfa nell’orecchio interno.  

Quando la capacità di smaltimento e riassorbimento dell’eccesso dei liquidi si mantiene nella norma potrebbero comparire sintomi sporadici e occasionali, o  anche nessun sintomo, mentre la presenza di ostacoli al riassorbimento dei liquidi associati ad aumentata produzione potrebbero portare a disturbi più frequenti o duraturi o addirittura a disturbi stazionari.

Senza tenere in considerazione le numerose terapie prive a priori di alcuna possibile efficacia nei confronti dell’idrope e propagandate spesso solo a scopo speculativo per questa come per molte altre situazioni, quali integratori, vitamine, aminoacidi, ricostituenti, rimedi omeopatici, e tutte le cure cosiddette “alternative”agopunturaosteopatia ed altro, aventi tutte in comune l’assenza di un meccanismo d’azione noto e che possa giustificare benefici diversi da un eventuale e comunque molto raro, effetto placebo o risoluzione spontanea non legata alla terapia, oltre ai già citati vasodilatatori e fluidificanti, i farmaci più comuni ancora oggi impiegati in modo specifico per l’idrope sono i diuretici per via orale.
Purtroppo questi, e l’ultima letteratura scientifica sembra anche iniziare a confermarlo, spesso si rivelano più dannosi che utili, e comunque privi di qualunque efficacia, visto che la loro azione specifica sull’orecchio è bassissima se non addirittura nulla.

Molto diffuso è anche l’impiego di un altro tipo di diuretico, il diuretico osmotico, (mannitolo, glicerolo) che nonostante condivida la definizione relativa all’effetto più evidente (l’aumentata diuresi) con i diuretici per via orale, agisce con un meccanismo del tutto differente.
Introdotte per via endovenosa direttamente nel sangue, queste sostanze ad alto peso molecolare attirano verso il sangue acqua dagli spazi interstiziali dei tessuti per osmosi (il liquido si sposta verso le soluzioni a maggior concentrazione) e questo è il meccanismo che poi porta all’effetto terapeutico per ulteriore inibizione dell’ADH e ovviamente alla maggior diuresi esattamente come avviene in modo molto più diretto e fisiologico per l’iperassunzione di acqua per via orale.

Vanno inoltre menzionate le terapie meccaniche che puntano a spingere meccanicamente il liquido in eccesso verso il suo presunto punto di riassorbimento.

Sullo stesso principio si basa la documentata ma non costante efficacia dei trattamenti in camera iperbarica, dove il paziente vien esposto ad una pressione ambientale superiore a quella atmosferica abituale.

Infine è necessario citare una procedura chirurgica che nella sua logica si presenta come la più ovvia delle soluzioni: l’apertura e l’inserimento mediante intervento chirugico di una valvola nel sacco endolinfatico, ovvero là dove si presume debba avvenire il riassorbimento dei liquidi. In tal modo l’aumento della pressione dell’endolinfa verrebbe immediatamente (in teoria) smaltito attraverso la valvola. La procedura prende il nome di drenaggio del sacco endolinfatico. La procedura chirurgica purtroppo non è immune da possibili complicanze anche gravi, non solo a carico dell’udito ma anche maggiori, seppur rare.  


Tratto da: (Dr. Andrea La Torre – Specialista in Otorinolaringoiatria – www.drlatorre.info)



domenica 3 gennaio 2016

Esercizi per la canalolitiasi dx e sx

Eseguire questi esercizi solo dopo aver consultato il proprio medico !! 

CANALOLITIASI SINISTRA

-       Seduti di traverso al letto (1) passate rapidamente sul fianco sinistro ed aspettate che la vertigine termini.
-       Nel caso non si scatenasse alcuna vertigine rimanete nella posizione (2) per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (3) e mantenetela per 30 secondi o fino all'esaurimento della vertigine.
-       Passate rapidamente sul fianco destro (4); nel caso compaia vertigine attendete che termini; qualora non comparisse vertigine mantenete questa posizione per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (5).
-       Nel caso che in almeno una delle posizioni compaia vertigine ripetete la sequenza fino a quando nessuna delle posizioni provochi vertigine.
-       Ripetete questi esercizi ogni 3 ore.
-       Interrompete gli esercizi quando da due giorni non compare vertigine.

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CANALOLITIASI DESTRA

-       Seduti di traverso al letto (1) passate rapidamente sul fianco destro ed aspettate che la vertigine termini.
-       Nel caso non si scatenasse alcuna vertigine rimanete nella posizione (2) per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (3) e mantenetela per 30 secondi o fino all'esaurimento della vertigine.
-       Passate rapidamente sul fianco sinistro (4)
-       nel caso compaia vertigine attendete che termini
-       qualora non comparisse vertigine mantenete questa posizione per 30 secondi.
-       Ritornate alla posizione seduta (1).
-       Nel caso che in almeno una delle posizioni compaia vertigine ripetete la sequenza fino a quando nessuna
delle posizioni provochi vertigine.
-       Ripetete questi esercizi ogni 3 ore.
-       Interrompete gli esercizi quando da due giorni non compare vertigine.

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