lunedì 20 ottobre 2014

I 7 errori fondamentali dell'alimentazione odierna

Se da un lato è evidente che l'evoluzione tecnologica dell'uomo ha portato innumerevoli vantaggi è altrettanto vero che le profonde trasformazioni dell'ambiente in cui viviamo hanno avuto un impatto molto negativo sulla nostra salute. In particolare l'introduzione dell'agricoltura ed il passaggio da una vita da nomadi e cacciatori a quella di contadini stanziali, si è tradotta in un cambiamento radicale della nutrizione con impatti devastanti sulla salute umana. Il nostro genoma ed il nostro metabolismo si adattano però in tempi estremamente lunghi e i 10.000 anni intercorsi dalla nascita dell'agricoltura ad oggi non sono stati sufficienti ad indurre adattamenti metabolici. Questo significa in parole semplici che il nostro corpo è ancora adattato ad un'alimentazione primordiale mentre da 10.000 anni a questa parte mangiamo in modo sempre più raffinato, cibi sempre più lavorati con sempre più calorie e sempre meno nutrienti.
Alcuni studi molto interessanti condotti separatamente da Cordain, Lindenberg e Ames e pubblicati su prestigiose riviste internazionali, hanno messo in evidenza in tutta la sua drammaticità l'inadeguatezza dell'alimentazione moderna e anche dell'approccio della medicina classica al problema nutrizione. La chiave per un'alimentazione sana è la comprensione della progressiva introduzione di cibi inadeguati per la nostra fisiologia durante l'evoluzione umana, introduzione che è alla base di molte patologie moderne come testimoniato dai numerosi studi che hanno confrontato l'incidenza di malattie come gli infarti, i tumori, il diabete e l'obesità in popolazioni che hanno un'alimentazione più vicina a quella primordiale rispetto a noi occidentali. 

I difetti fondamentali dell'alimentazione odierna si possono riassumere in 7 punti: 

1. 
Eccessivo carico glicemico: l'eccessivo consumo di carboidrati raffinati (non integrali) e di zuccheri semplici è legato a molte patologie tra cui obesità, diabete, iperinsulinemia e resistenza insulinica, sindrome metabolica, ipertensione, malattie cardiovascolari, dislipidemie, sindrome dell'ovaio policistico, acne, gotta ed alcune forme di tumore (colon, seno, prostata). Il problema non è solo l'assunzione consapevole di zucchero ma anche quella che avviene all'insaputa del consumatore. Lo zucchero è infatti aggiunto in moltissimi prodotti confezionati tra cui bibite, merendine, caramelle, condimenti e perfino nel salmone affumicato e nella senape. Eliminare il consumo di zucchero e sostituire i carboidrati raffinati con quelli integrali è un passo decisivo per migliorare la nostra salute. 

2. Errata assunzione di acidi grassi: la demonizzazione spesso eccessiva dei grassi ha comportato un ridotto consumo anche di grassi sani e uno spostamento verso cibi a basso contenuto di grassi ma con zuccheri aggiunti. Un bilanciato consumo di acidi grassi è invece essenziale per la salute umana garantita in particolare dall'assunzione di acidi grassi omega 3 con proprietà anti-infiammatorie, neuro e cardio-protettive. Molte della patologie cronico-degenerative e infiammatorie sembrano essere associate ad uno squilibrio tra omega 3 ed omega 6 con eccessiva assunzione di questi ultimi. Abbondare con il pesce e utilizzare 2 cucchiai al giorno di olio di semi di lino permettono di assicurarsi l'introito adeguato di omega 3. L'altro problema che riguarda i grassi è la massiccia introduzione nei cibi industriali di grassi idrogenati che non vengono metabolizzati dal corpo umano e hanno effetti davvero devastanti sul metabolismo. 

3. Errata distribuzione dei macronutrienti: la ridotta assunzione di verdure, legumi e proteine a discapito dei carboidrati ha variato la ripartizione dei macronutrienti. Le raccomandazioni in genere suggeriscono di limitare l'introito di grassi al 30%, mantenere le proteine al 15% ed aumentare i carboidrati al 55-60%. Questi valori, comprese le raccomandazioni, non hanno nessun fondamento evolutivo in quanto si discostano molto dai valori osservati nelle diete primordiali nelle quali le proteine coprono il 19-35% delle calorie totali, i carboidrati solo il 22-40% e il rimanente viene fornito dai grassi con alto contenuto di omega 3. Inoltre va sottolineato che le percentuali sono meno importanti delle caratteristiche dei macronutrienti. C'è una bella differenza tra il 45% di carboidrati forniti da zuccheri semplici o da verdure e carboidrati complessi integrali. 

4. Scarso contenuto di micronutrienti: la raffinazione e produzione industriale dei cibi li rende sostanzialmente privi delle concentrazioni di micronutrienti necessarie a garantire la salute. Nella preparazione dei carboidrati raffinati per esempio vengono eliminate quasi tutte le vitamine e i minerali. Secondo molti autori tra cui Bruce Ames, nel mondo occidentale viviamo in una condizione di carenza cronica di vitamine e minerali, carenza che non è sufficiente a dare una vera e propria avitaminosi ma che incide negativamente sul nostro metabolismo e sulla funzionalità enzimatica. Questo indirettamente potrebbe essere alla base delle patologie cronico-degenerative così tristemente frequenti nei paesi sviluppati.

5.  Scarso contenuti di fibra: ai cibi raffinati viene ovviamente tolta la fibra che però ha un ruolo importante nella fisiologia dell'apparato gastrointestinale. La fibra solubile, di cui sono ricche frutta e verdura funge da tampone per l'assorbimento di zuccheri e grassi, riduce le LDL e aumenta le HDL mentre la fibra insolubile, che si trova prevalentemente nei cereali integrali serve ad ottimizzare il transito gastrointestinale e l'alvo. 

6. Errato equilibrio acido-base: tutti i cibi dopo essere stati digeriti e metabolizzati rilasciano sostanze alcaline o acide nella circolazione sistemica. Oggi la maggior parte dei cibi alcalinizzanti o neutri (legumi, verdure, frutta, noci, semi, tuberi) sono spariti dalla nostra alimentazione per lasciare spazio a cibi acidificanti (carne, uova, latte, formaggi, sale). Questo comporta che molti di noi sono in uno stato di acidosi cronica che è incide sulla perdita di tessuto muscolare, sull'osteoporosi, sui calcoli renali, sull'ipertensione e sull' insufficienza renale.

7. Errato equilibrio sodio-potassio: la dieta occidentale ha un contenuto di sodio molto più elevato del contenuto di potassio. Anche in questo caso la causa è la progressiva sostituzione di cibi ricchi di potassio con cibi poveri come i carboidrati raffinati, il latte e  formaggi e ovviamente l'introduzione del sale da tavola. Complessivamente queste nuove abitudini hanno causato una riduzione del 400% del consumo di potassio e un pari aumento del sodio. Questa inversione dell'equilibrio sodio-potassio è stata correlata ad ipertensione, ictus, calcoli renali, osteoporosi, tumori gastrointestinali, asma e insonnia.

Il consumo estremo di cibi ipercalorici e iponutrienti è purtroppo molto diffuso e comporta una cronica disfunzione metabolica che coinvolge anche i mitocondri, le centrali energetiche del nostro organismo. Le carenze di micronutrienti (vitamine e minerali) causano veri e propri danni al DNA oltre che una complessiva perdita di efficienza delle reazioni enzimatiche. Esiste una notevole mole di dati che indica che una carenza cronica di vitamine e minerali favorisce lo sviluppo di malattie come il cancro.

La vitamina D per esempio agisce come un regolatore della proliferazione cellulare e sembra proteggere contro molte forme di tumore tra cui il cancro del seno e della prostata. La nutrigenomica, un nuovo ramo della genomica che studia gli effetti del cibo sull'espressione genica, ha messo in evidenza quanto sia errato vedere il cibo solo in termini di calorie (come viene fatto nella scienza dell'alimentazione classica). Il cibo è invece "informazione" che arriva nell'organismo e modula una serie complessa di processi anche genomici alla base della salute e della malattia. 

L'inadeguatezza dell'alimentazione moderna è un dato di fatto scientificamente dimostrato. Purtroppo la maggior parte dei medici fatica a comprendere l'importanza dell'alimentazione nella salute dell'uomo (nel corso di laurea di medicina ancora oggi non si studia nemmeno 1 ora di nutrizione clinica) e a volte sembra anche che le indicazione fornite dalla classe medica siano ancora una volta filtrate delle industrie, in questo caso non quelle farmaceutiche ma quelle alimentari. 
Anche se sarà necessaria ancora molta ricerca nel campo dell'alimentazione e della nutrigenomica, esiste già una solida evidenza scientifica che carenze nell'assunzione di micronutrienti possono portare a molte conseguenze deleterie tra le quali il cancro.
Sembra quindi scientificamente poco serio continuare a dare suggerimenti generici sull'alimentazione quando essa potrebbe essere il primo livello di intervento per la prevenzione e la cura di molte malattie.
Non si può più oggi suggerire semplicemente una nutrizione equilibrata quando la produzione stessa del cibo lo priva delle sostanze necessarie a promuovere la salute. E' di ieri la pubblicazione di uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità sull'obesità infantile che indica come in Italia 1 bambino su 3 tra gli 8 e i 9 anni sia sovrappeso o obeso. Questo significa che oltre 1 milione di bambini è destinato ad avere gravi problemi di salute a causa dell'alimentazione a cui sono stati esposti da genitori, scuola e spesso anche dai pediatri e medici in genere, troppe volte succubi delle incessanti pressioni pubblicitarie. 

Proprio nel caso dell'alimentazione dei bambini si continuano a sentire consigli infondati e non scientifici che spingono i genitori a nutrire i propri figli con latte, yogurt, formaggio, merendine, pasta, pane, etc.
Questi ultimi inoltre saziano poco essendo privi di sostanze come la fibra che riempie lo stomaco e sono studiati appositamente per creare forme di dipendenza e stimolazione dei centri del piacere a livello cerebrale. In questo modo raggiungono l'obiettivo industrialmente molto utile che è quello di spingerci a mangiare sempre di più e sempre più spesso.
Un esempio estremo di questa strategia commerciale sono i cosiddetti cibi light, studiati appositamente per illuderci che essendo light non ingrassano e che quindi se ne possono assumere di più. Infatti l'introduzione dei cibi light (per altro ricchi di zuccheri e dolcificanti) ha coinciso con un aumento dell'obesità e con un relativo maggior consumo di quelle particolari categorie di cibo rispetto alle versioni non light. 



La dipendenza dagli zuccheri



L’eccesso di zuccheri è responsabile di numerose malattie (diabete, obesità in primis) che affliggono il mondo occidentale e che sono tra le cause di morte primarie.

La dipendenza da zucchero riguarda numerosissime persone e può avere effetti gravissimi, al punto da paragonarla alla dipendenza da sostanze stupefacenti.

La concentrazione eccessiva e la velocità di assorbimento dello zucchero sono tali da squilibrare il metabolismo fisiologico: l’eccesso di zucchero altera l'equilibrio naturale del corpo dal punto di vista ormonale, del metabolismo e del sistema immunitario, andando a sostituire la nostra condizione di equilibrio con uno stato alterato che finiamo per percepire come normale pur non essendolo.

Il sistema nervoso, connesso all'apparato digerente, segnala la presenza di zuccheri negli alimenti e attiva la liberazione di dopamina. 

La dopamina (o dopammina) è un neurotrasmettitore endogeno della famiglia delle catecolamine, prodotta in diverse aree del cervello. In particolare, si trova nel nucleus accumbens, la parte adibita alla motivazione e al meccanismo di ricompensa. L’eccesso di zuccheri così come l’abuso di droghe fa aumentare il rilascio di dopamina in questa parte del cervello. L’effetto è una sensazione di gratificazione/ soddisfazione e il desiderio di ripetere l'esperienza.

Nel caso degli eccessi di zucchero, la frustata insulinica indotta rinforza questo circolo vizioso portandoci ad un atteggiamento compulsivo verso sostanze contenenti zuccheri.
L'assunzione di zuccheri, infatti, innalza rapidamente i livelli di glucosio nel sangue (glicemia); un normale livello di glicemia fornisce l'energia al nostro corpo, ma, livelli elevati scatenano reazioni negative, tra cui l'aumento dell'insulina, che viene prodotta dal nostro organismo per evitare che gli zuccheri nel sangue raggiungano livelli di tossicità pericolosi.

L'aumento dell'insulina, a sua volta trasforma gli zuccheri sottratti al sangue in glicogeno il quale viene immagazzinato nel fegato come riserva energetica, stimola la produzione di grassi saturi a partire da zuccheri, favorisce l'accumulo di grassi saturi nel tessuto adiposo, impedisce l'utilizzo dei grassi presenti nel nostro corpo.

Con l'assunzione degli zuccheri si verifica un immediato picco nella quantità di insulina prodotta, che abbassa repentinamente la glicemia, per cui compare lo stimolo della fame e inizia un circolo vizioso.

I geni e lo sviluppo postnatale indirizzano le persone verso alcool, zucchero o cocaina. La scelta dell'oggetto della dipendenza dipende dall'esperienza e alla predisposizione personale.
La carenza di zucchero determina spesso crisi di astinenza, i cui sintomi sono: ansia, irritabilità, mancanza di concentrazione, emicrania, depressione e in qualche caso persino capogiri e mancamenti.

Lo zucchero industriale

Un errore molto comune è quello di pensare che quando si parla di esigenza di zuccheri per l’organismo ci si riferisca allo zucchero raffinato industriale.

Lo zucchero raffinato proviene dalla barbabietola e subisce numerosi processi chimici prima di arrivare in tavola, venendo impoverito delle sue sostanze nutrienti e dei sali minerali, in quanto manipolato con sostanze come la calce e i solfiti.

Tra i danni causati dall'assunzione di zucchero raffinato: contribuisce ad innalzare velocemente il livello glicemico, creando forti scompensi all'asse glicemico-insulinico, apporta calorie prive di valori nutrizionali, squilibra sensibilmente il pH del sangue e quello della cavità orale, provocando carie e altre disfunzioni e svolge una azione dannosa nei confronti del sistema scheletrico.

Consumo di zuccheri nel tempo:
- nel 1700 il consumo annuo pro capite è stato di 1,8 Kg
- nel 1800 il consumo annuo pro capite è stato di 8 kg
- nel 1900 il consumo pro capite annuo è salito a 40 Kg
- nel 2009 il  consumo pro capite annuo è salito a 80 Kg
 
Dalla fine del 1800 ad oggi:

I casi di diabete sono passati da 3 casi su 100.000 persone a 8.000 su 100.000 persone.

Si è passati dal 3,4% di persone obese al 32%, cui va aggiunto un altro 33% di persone in sovrappeso. 

Fino agli anni '70 in Italia si consumava il 60% di zucchero semplice acquistato nei negozi mentre il 40% proveniva da alimenti confezionati. Oggi le proporzioni si sono invertite per cui si assume prevalentemente zucchero contenuto nei cibi elaborati, in particolare dall'industria. Molto spesso non ci rendiamo conto di quanto zucchero è contenuto nei cibi industriali e  soprattutto in quelli destinati ai bambini ed ai ragazzi.

Ridurre lo zucchero

Uno degli obiettivi che si sono posti i nutrizionisti per il 2014  è la riduzione di almeno un terzo della quantità di zucchero introdotto con l’alimentazione. La quantità di zuccheri quotidianamente assunti non dovrebbe superare il 10% del totale delle sostanze ingerite.
Ponendoci come obiettivo la riduzione degli zuccheri assunti, l’approccio migliore è quello graduale, evitando di interrompere bruscamente il consumo di zucchero per non provocare una fase di dolorosa astinenza. Per la maggior parte delle persone è possibile ridurre progressivamente lo zucchero mediante l’autocontrollo.


Ecco alcuni consigli pratici per ridurre quotidianamente il consumo di zucchero:

Sostituire lo zucchero raffinato con quello di canna, o meglio ancora con miele o sciroppo d'acero

Acquistare biscotti, dolci, gelati o yogurt, nelle versioni con minori quantità di zuccheri

Esaminare con cura le etichette dei prodotti alimentari per controllare la quantità di zucchero

Sostituire i dolci con frutta fresca o secca

Optare per marmellate non zuccherate

Sostituire le bevande gassate con acqua o succhi di frutta non zuccherati

Evitare di aggiungere zucchero al latte


Ecco un esempio di quanto zucchero c'è nella Coca cola




Lo zucchero è DAPPERTUTTO, in ogni cosa confezionata che mangiamo !!
 


 





mercoledì 30 luglio 2014

Intossicazione acuta da veleni animali

Ecco gli animali i cui morsi sono pericolosi per l'uomo.

VIPERA




MORFOLOGIA: testa piatta triangolare, più' larga del collo, ricoperta di placchette piccole e di forma irregolare. Pupilla ellittica e verticale.
Corpo lungo 45-100 cm, tozzo, spesso a coda breve, ricoperto da squame carenate, non sempre sormontato da una riga romboide nera. Massima varietà' di colorazione (grigio, bruno, rossastro, giallastro, olivastro, arancione, nerastro, nero) e di ornamentazione; la parte inferiore dell'apice della coda e' spesso di colore arancione.
HABITAT: zona mediterranea, dalla fascia sud-mediterranea a quella mediterraneo-altomontana; zona medio-europea, zona atlantica. Capace di vivere in tutti gli ambienti dal livello del mare fino a 3000 metri sulle Alpi italiane. Distribuzione: Spagna nord-est, Francia, Germania sud-ovest, Svizzera nord-ovest, Italia continentale, peninsulare ed isole di Montecristo, Elba, Sicilia, Jugoslavia e Bulgaria.
AMBIENTI A RISCHIO: luoghi caldi ed aridi, sotto i sassi, in mezzo ad arbusti e siepi; temperatura ottimale 15-35 ° C. Attacca solo se senza via di uscita o se colpita.
TOSSINE: proteine con attività' enzimatica: fosfolipasi, l-aminoacidossidasi, fosfodiesterasi, nucleotidasi, fosfomonoesterasi, deossiribonucleasi, ribonucleasi, adenosintrifosfatasi, ialuronidasi, nad-nucleosidasi, arilamilasi, peptidasi.
Enzimi: endopeptidasi, arginina-estereidrolasi, chininogenasi, enzima trombinosimile, attivatore del fattore X e attivatore della protrombina. Colesterolo, lecitina, sostanze lipidiche, riboflavina (responsabile del colore giallo caratteristico di alcuni veleni), ioni metallici e non metallici, sodio, potassio, calcio, zinco, rame, manganese, ferro, cobalto, alluminio, argento, fosforo, ioni cloruro.
VIA DI PENETRAZIONE DEL VELENO: morso tramite 2 denti scanalati che, in genere, provocano 2 incisioni distanti tra loro 6-8 mm.
MECCANISMO DI TOSSICITA': il veleno e' formato da vari enzimi ad azione diversa:
azione neurotossica: agisce sia mediante una colinesterasi, distruggendo l'acetilcolina muscolare, sia con azione curarizzante
reazione anafilattica con possibile insorgenza di shock
azione citotossica e necrotizzante
azione emorragica: tramite enzimi che, a piccole dosi, agiscono sulla coagulazione gelificando il fibrinogeno e provocando trombosi vascolari, ad alte dosi lisando lo stesso e provocando emorragie
azione danno diretto sull'endotelio dei capillari.
SINTOMATOLOGIA: è caratterizzata da sintomi locali, specifici ed estremamente importanti per la diagnosi e da una serie di sintomi a carattere sistemico, aspecifici data la notevole variabilità di azione degli enzimi contenuti nel veleno.
I sintomi locali consistono nella comparsa, nel punto del morso, di edema duro, dolore intenso, arrossamento e fenomeni necrotici, espressione della intensa reazione infiammatoria che, col passare del tempo si estende in senso centripeto coinvolgendo tutto l'arto. I classici due punti in cui sono penetrati i denti del rettile non sono sempre visibili perché mascherati dall'edema infiammatorio. I segni locali sono un fattore determinante per la diagnosi.
I sintomi sistemici, aspecifici e molto variabili, vanno dai fenomeni trombotici, per attivazione del fibrinogeno, alle sindromi emorragiche, per attivazione della plasmina; inoltre possono presentarsi disturbi cardiocircolatori di tipo vasoparalitico (ipotensione e shock) o al contrario fenomeni da attivazione del sistema simpatico. E' possibile la necosi tubulare con conseguente insufficienza renale. Il sistema nervoso centrale può essere depresso (coma) o, al contrario, "eccitato" (convulsioni).
DIAGNOSI: è basata sui dati anamnestici e sul riscontro della reazione locale, ricordando che i classici due punti in cui sono penetrati i denti del rettile non sono sempre visibili perché mascherati dall'edema infiammatorio. La sintomatologia sistemica, per la sua aspecificità, non è diagnostica ma è utile nell'inquadramento generale del paziente e, soprattutto, per intraprendere le decisioni terapeutiche.
REPERTI LABORATORIO e STRUMENTALI: ipofibrinogenemia, allungamento del tempo di protrombina, leucocitosi, neutrofilia, trombocitopenia, ematuria, urobilinuria, inversione dell'onda T, deviazione del tratto ST
TERAPIA: è controindicato incidere, succhiare il veleno, applicare laccio emostatico, cauterizzare.
Bisogna, invece, mantenere calmo il paziente, immobilizzare l'arto colpito ed applicare una benda elastica larga 7-10 cm e lunga 6-12 m (dopo aver tolto orologi ed anelli), sia a monte che a valle della zona colpita, cercando di comprimere in modo da rallentare al massimo la circolazione linfatica senza pero' alterare quella arteriosa: per esempio, in caso di morso alla mano, occorre fasciare almeno fino al gomito e, possibilmente, immobilizzare l'arto applicando anche una stecca rigida. In presenza di sintomi sistemici importanti e conclamati, ma solo in ambiente ospedalierio, possibilmente in reparto di terapia intensiva, somministrare il siero antiofidico per infusione (1 fiala in 250 ml di soluzione glucosata al 5%), tenendo presente la possibilita' di insorgenza di shock anafilattico da siero eterologo. Se la prima infusione di siero non e' stata risolutiva, ripetere un'altra dose. Dal 1994 sono disponibili frammenti purificati di fab ovini, purtroppo non in commercio in Italia. I Fab, essendo privati della parte antigenica del frammento fc della gamma-globulina sono gravati di una minore incidenza di reazioni allergiche nel paziente. Il trattamento consta dell' inoculazione di 2 fiale diluite in 250 ml di soluzione fisiologica da somministrare in unica soluzione in 1 ora. La dose e' invariata per adulti e bambini. Per il resto la terapia è sintomatica, sia per i sintomi locali che sistemici, e di supporto.

APE



MORFOLOGIA: imenottero di colore nero a striscie gialle.
HABITAT: vario
AMBIENTI A RISCHIO: nelle vicinanze dell' alveare.
TOSSINE: enzimi: ialuronidasi, fosfolipasi A, fosfolpipasi B, esterasi, fosfatasi. Mega-peptidi: mellitina, peptide ad azione degranulante sulle mast cellule, apamina, minimine, cardiopeptide, inibitore di proteasi. Micro-peptidi: istamina, procamina, fosfolipidi. Di ancora incerta definizione: 5-idrossitriptamina, dopamina, nor-adrenalina, acido vanilmandelico.
VIA DI PENETRAZIONE DEL VELENO: inoculazione del veleno tramite aculeo.
MECCANISMO DI TOSSICITA': non tutti i componenti del veleno dell' ape sono stati ancora identificati, trattandosi di una composizione molto complessa e variabile in relazione alla stagione ed all' eta'. La ialuronidasi e' l' enzima responsabile della diffusione del veleno nei tessuti. La mellitina e il peptide "mast cell degranulating" sono responsabili della reazione dei mastociti. Il contenuto in istamina varia in relazione all' eta' ed alla stagione. La fosfolipasi sarebbe responsabile della contrazione dei muscoli lisci, della ipotensione, aumento della permeabilita' capillare. La localizzazione della puntura determina la gravita' dei sintomi.
SINTOMATOLOGIA: immediati: dolore, ponfo, edema, macchie. Descritta una sindrome meningea da puntura alla faccia, al labbro superiore, al collo. Possibili, in individui sensibilizzati, o per punture multiple: edema generalizzato, broncocostrizione, crampi addominali, nausea, vomito, vertigini, ipotensione, shock anafilattico, insufficienza renale, possibile emolisi acuta.
TERAPIA: estrarre l' aculeo facendolo saltare con una lama di coltello o altro, evitando accuratamente la rimozione con pinze che spremono il sacco velenifero, determinando l' inculazione totale del veleno. Applicazione di ghiaccio. Disinfezione ed applicazione di pomata a base di corticosteroidi. I sintomi generalizzati, se presenti, vengono trattati con la terapia usuale delle reazioni allergiche (corticosteroidi ev anche dosi elevate).

VESPA



MORFOLOGIA: imenottero di colore nero a striscie gialle.
APPARATO VELENIFERO: consiste di un sistema ghiandolare, un sacco velenifero ed un aculeo dentellato per l' inoculazione del veleno. A differenza dell' ape, la vespa non lascia l' aculeo nella cute della vittima: infatti, il sacco serve soltanto da contenitore, non essendo provvisto di muscolatura. Ciò significa, praticamente, che la vespa può pungere ripetutamente a differenza, appunto, dell'ape che muore, perdendo l'aculeo, dopo aver punto. La ghiandola, detta "acida", e' responsabile della secrezione del veleno.
HABITAT: vario
AMBIENTI A RISCHIO: gli individui portatori dell'aculeo sono le femmine (sia quelle feconde che quelle non, operaie). Esse pungono in genere se colpiscono o vengono colpite da un ostacolo e soprattutto per la difesa del nido. La loro aggressività' aumenta con le temperature elevate e quando i nidi sono molto popolati.
TOSSINE: istamina, serotonina, acetilcolina, dopamina, noradrenalina, adrenalina, chinine, enzimi: ialuronidasi, fosfolipasi A, fosfolpipasi B, esterasi, colinesterasi, proteasi.
VIA DI PENETRAZIONE DEL VELENO: inoculazione del veleno tramite un aculeo che si trova all'estremo posteriore dell'addome ed in posizione di riposo e' ritratto. A differenza dell'ape, la vespa non lascia l' aculeo nella cute della vittima.
MECCANISMO DI TOSSICITA': non tutti i componenti del veleno della vespa sono stati ancora identificati, trattandosi di una composizione molto complessa e variabile in relazione alla stagione ed all'età'. La ialuronidasi e' l'enzima responsabile della diffusione del veleno nei tessuti. Il contenuto in istamina varia in relazione all'età' ed alla stagione. La fosfolipasi sarebbe responsabile della contrazione dei muscoli lisci, dell'ipotensione e dell'aumento della permeabilità' capillare. La localizzazione della puntura determina la gravita'.
SINTOMATOLOGIA: esattamente riconducibile a quella causata dalla puntura di ape
TERAPIA: applicazione di ghiaccio, disinfezione, applicazione di pomata a base di corticosteroidi.
Anche in questo caso, i sintomi generalizzati, se presenti, vengono trattati con la terapia usuale delle reazioni allergiche (corticosteroidi ev anche dosi elevate).

SCORPIONE ITALIANO



MORFOLOGIA: piccolo, corpo lungo 5-7 cm., di colore scuro, porta 2 cheliceri anteriori (pinze), coda segmentata provvista di aculeo.
APPARATO VELENIFERO: e' situato in posizione terminale sull'ultimo anello della coda. e' formato da una ghiandola doppia.
HABITAT: diffuso nei luoghi aridi.
MECCANISMO DI TOSSICITA': lo scorpione italico e' generalmente non tossico.
SINTOMATOLOGIA: generalmente nessuna. Possibili: dolore locale, edema, eritema; rare le reazioni allergiche.
TERAPIA: disinfezione e sieroterapia antitetanica. Se necessario applicazione di pomate cortisoniche. Usuale trattamento di eventuali (rare) reazioni sistemiche.

TRACINA



MORFOLOGIA: lunghezza 20-40 cm, testa tozza, bocca a taglio obliquo, occhi posti superiormente (molto ravvicinati tra loro), due spine dorsali, due aculei opercolari, dorso bruno-giallastro, ventre biancastro.
HABITAT: mare: fondo sabbioso, vicino alla riva. Abbonda nel mar mediterraneo, lungo le coste del sud dell'Inghilterra e nelle zone meridionali del mare del nord. E' un pesce commestibile.
AMBIENTI A RISCHIO: nella maggior parte dei casi l'intossicato e' un pescatore che si punge nel togliere il pesce dalle reti o dall'amo. Negli altri casi quando si poggia il piede su fondi sabbiosi, dove la tracina si nasconde molto frequentemente.
TOSSINE: adrenalina, noradrenalina, sostanza liberatrice di istamina. Tossina termolabile.
VIA DI PENETRAZIONE DEL VELENO: apparato pungente che inietta veleno.
SINTOMATOLOGIA: dopo 1-30 min: dolore (dal punto ferito si irradia), edema, colorazione cianotica della cute attorno alla ferita. Reazioni generalizzate: brividi, ipertermia, sudorazione, artralgie, vomito, agitazione psicomotoria. Nei casi più gravi: convulsioni, allucinazioni, dispnea, palpitazioni. Nei giorni successivi: adenomegalia, linfangite. Possibili emolisi e nefropatia.
TERAPIA: immediata: immersione dell'arto in acqua quanto piu' possibile calda (tossina termolabile) per 30 minuti. Applicazione di pomate cortisoniche. Siero profilassi antitetanica. I sintomi generalizzati, se presenti, vengono trattati con la terapia usuale delle reazioni allergiche (corticosteroidi ev anche dosi elevate). Gli anestetici locali possono trovare indicazione a causa del dolore spesso violento.

MALMIGNATTA


La femmina raggiunge i 15mm ed ha una colorazione nera con 13 macchie rosse sull'addome. 


I maschi sono più piccoli di colore nero con macchie giallo chiaro.

MORFOLOGIA: ragno piccolo (7-15 mm) di colore nero lucente con addome sferico punteggiato da 13 macchiette rosse.
HABITAT: Europa meridionale. Italia centro-meridionale: Sardegna, Toscana, Alto-Lazio (Tolfa). Vive in genere sotto i sassi in luoghi aridi. E' aggressivo specialmente in primavera ed in estate.
La gravita' del quadro clinico dipende da numerosi fattori: dal ragno stesso, dal numero dei morsi, dalla zona (grave l'inoculazione diretta in circolo); dalle condizioni fisiche del paziente, dall'eta': particolarmente sensibili sono i bambini; dal grado di immunita' dovuto a precedenti morsicature (in zone endemiche).
MECCANISMO TOSSICO: la gravita' del quadro clinico dipende da numerosi fattori: dal ragno stesso, dal numero dei morsi, dalla zona (grave l'inoculazione diretta in circolo); dalle condizioni fisiche del paziente, dall'eta': particolarmente sensibili sono i bambini; dal grado di immunita' dovuto a precedenti morsi (in zone endemiche).
Il veleno e' composto da piu' tossine (proteine) di cui la più' nota e' l'alfa-latrotossina ad effetto essenzialmente neurotossico. La neurotossina determina una liberazione massiva di acetilcolina con distruzione delle vescicole sinaptiche, la cui membrana possiede siti di fissazione ad alta affinita'; in questo modo si determina depolarizzazione della membrana delle cellule nervose del sistema nervoso centrale e periferico.
VIA DI PENETRAZIONE DEL VELENO: solo la femmina e' velenosa. Il ragno morde (o pizzica) tramite gli uncini delle 2 chele, determinando 2 piccoli fori attraverso i quali inietta il veleno, contraendo i muscoli che circondano le ghiandole.
SINTOMATOLOGIA: in oltre il 50% dei casi non viene avvertito alcun dolore al momento del morso. Localmente: piccola macchia di 0,5 cm di diametro, rossastra a pelle d'oca il cui diametro tende ad allargarsi. Spesso "raggi" rossastri si estendono verso i linfonodi. Successivamente: dolore e tumefazione dei linfonodi regionali. Dopo qualche ora si forma una zona pallida di circa 5 cm di diametro delimitata da un anello rosso-bluastro con dolore ed anestesia locale.
Generalmente in 4a giornata appare un rash o eritema scarlattiniforme o morbilliforme con prurito che puo' essere piu' o meno generalizzato.
Altri sintomi sistemici gravi includono lo shock, le aritmie, le crisi ipertensive (per azione diretta della tossina sui centri vasomotori).
Un aspetto sintomatologico tipico e' costituito dall'intenso dolore alle regioni linfoghiandolari con diffusione a tutto il corpo. Tipiche anche le artralgie, i tremori diffusi, i crampi muscolari, opistotono, il trisma, le contrazioni cloniche, il senso di costrizione toracica, l'iperreflessia.
I dolori muscolari possono regredire lentamente dopo circa 20 ore residuando bruciore delle piante dei piedi e parestesie delle estremità. Possibili anche ipertermia, iperemia congiuntivale, fotofobia, lacrimazione, iperemia della papilla del nervo ottico, miosi iniziale, midriasi successiva.
La sintomatologia respiratoria comprende la tachipnea iniziale seguita da bradipnea, la broncocostrizione, la broncorrea.
La sintomatologia gastroenterica comprende nausea, vomito, pirosi, meteorismo.
Dal punto di vista epatico può essere presente epatomegalia, e subittero.
Dal punto di vista renale l'oliguria o anuria durante le prime 12 ore può essere dovuta al globo vescicale (da contrazione colinergica dello sfintere) o alla disidratazione dovuta al vomito e alla sudorazione.
TERAPIA: disinfezione locale ed applicazione di pomate cortisoniche. Controindicata l'applicazione di sostanze chimiche o l'incisione, che possono aumentare il pericolo di necrosi locale. Per il resto la terapia è assolutamente di supporto e sintomatica, in relazione alla gravità del quadro clinico e di laboratorio.


Tratto da: (Alessandro Barelli, Paolo Poleggi, Claudia Addario - Centro Antiveleni, Servizio di Tossicologia Clinica - Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma)

Punture di ape e vespe

Reazione normale
Area cutanea tumefatta (circa 10 cm arrossata). Può rimanere così anche per alcuni giorni.
La maggior parte delle punture degli Imenotteri provocano piccole reazioni locali che non presentano complicanze mediche di rilievo. Queste reazioni  sono caratterizzate da dolore, prurito, arrossamento e gonfiore della regione colpita.

Reazioni IgE-mediate
Non dipendono dalla dose di veleno (quindi può bastare una sola puntura).

Sindromi LLR (large local reaction)
Edema, eritema con estensione superiore a 10 cm che perdura per più di 48 ore.
Talvolta si osservano reazioni locali più estese che si presentano inizialmente di leggera entità ma che progrediscono nell’arco di 12-24 ore e arrivano ad un diametro di circa 5 cm; queste di solito raggiungono un picco di intensità tra le 48 e le 72 ore. Queste reazioni  sono contigue alla regione interessata dalla puntura e possono coinvolgere l’intera estremità.  Quest’ultimo tipo di reazioni si risolve tipicamente in 5-10 giorni. In teoria, tutti gli individui che presentano una reazione locale estesa continuano a mostrare lo stesso tipo di reazione a seguito di punture successive. Questa tendenza non è modificata dalla immunoterapia; questa classe di pazienti non è candidata per ulteriori valutazioni diagnostiche.

Sindromi anafilattiche sistemiche
Sono gli eventi più gravi. Possono essere classificati, a seconda della gravità, grazie alle scale di Muller e Brown che prevedono tutta una serie di sintomi oggettivi a cui se ne possono aggiungere altri, soggettivi e non verificabili, dovuti probabilmente alla paura e quindi all’iperventilazione, alla cefalea, palpitazioni, parestesie, sensazione di caldo.

Classificazione di Muller (ordine crescente di gravità)

1.      Orticaria generalizzata, prurito, malessere, ansia
2.      Orticaria generalizzata, prurito, malessere, ansia più uno o più dei seguenti sintomi: angioedema (grado 2. anche se è presente solo questo sintomo), senso di costrizione toracica, sibili respiratori, nausea e vomito, dolore addominale, diarrea e vertigini.
3.      Sintomi precedenti in associazione a due o più dei seguenti sintomi: dispnea, stridore polmonare, disartria, afonia, debolezza, obnubilamento del sensorio (stato confusionale e apatia), sensazione di morte imminente.

4.      Sintomi precedenti più due o più dei seguenti: cianosi, ipotensione, collasso cardio-circolatorio, perdita di coscienza, incontinenza urinaria/fecale.


Classificazione di Brown (ordine crescente di gravità)

1.      Rash generalizzato, prurito, rinocongiuntivite, edema locale e angioedema (non altri sintomi sistemici)
2.      Sintomi respiratori, cardiovascolari, gastroenterici, neurologici. Pressione sistolica (massima) maggiore di 90 mm Hg e frequenza respiratoria minore di 25 atti/minuto

3.      Pressione sistolica minore di 90 mm Hg, frequenza respiratoria maggiore di 25 atti/minuto, perdita di coscienza, sincope, stordimento. E’ una sintomatologia potenzialmente fatale.


Oltre alle precedenti ci possono essere anche tutta una serie di “reazioni inusuali” decisamente rare tipo: sindromi della malattia di siero (febbre, linfadenopatia, esantema), interessamento renale (sindrome nefrosica, glomerulo nefrite), sistema nervoso (neurite periferica, reazioni epilettiche), danno al sistema nervoso centrale (reversibile o irreversibile), complicanze sanguigne (trombocitopenia, anemia emolitica, CID), complicanze cardiache (angina, IMA).

Reazioni tossiche


Sono strettamente dose-dipendenti e dipendono dall’effetto dei secreti inoculati in associazione alla risposta dell’organismo. Possiamo avere:


Sindromi locali (nel caso di 1 o 2 punture)


Con una singola puntura (vespa/ape) viene iniettata una dose di veleno pari a 0.5-2 µl. La dose letale per un individuo adulto in buono stato di salute è decisamente molto più elevata ed il decesso avviene entro la prima ora.

Sindromi sistemiche

Si presentano nel caso di 40-50 punture ed interessano più organi ed apparati.
Va detto che il grado di gravità della situazione deve anche tener conto del sito della puntura, tant’è che la maggior parte dei decessi sono dovuti a punture sulla testa, collo, cavo orale. E’ bene precisare che una puntura all’interno del cavo orale potrebbe causare edema della glottide il quale potrebbe portare a complicanze respiratorie e soffocamento (comunque ciò non è detto che si verifichi).

La tabella che segue fornisce una più globale visione del grado di pericolosità delle punture di Imenottero, tenendo conto sia della sintomatologia (tossica/IgE mediatica) sia del sito di puntura.


Grado di pericolosità (ordine crescente di gravità)

1.      Punture in siti non particolarmente sensibili (es. gambe, braccia, addome, schiena)
2.      Punture a siti prossimi ad aree a rischio di ostruzione con possibilità di edema migrante oppure particolarmente dolorose (es. collo, volto, testa, labbra, cavità nasale, zona oculare, genitali)
3.      Punture in siti che possono dare edema con rischio di occlusione: cavità orale e tratto oro-faringeo.
4.      Punture che possono causare sindromi sistematiche, quindi, tutte le punture in soggetti allergici e tutti i casi di punture in numero superiore a 40 (possibilità di reazione al veleno).

Un’altra situazione potenzialmente pericolosa è il caso di punture superiori a 20. La terapia, in questo caso, prevede l’uso di cortisonici e fisiologica, trattamento sintomatico e correzione dei valori ematici alterati. Il ricovero può durare più giorni, fino a completa stabilizzazione clinica; verranno controllati saturazione, pressione, ECG, transaminasi, CPK, creatinina, azotemia, piastrine e coagulazione. Per soggetti allergici sono consigliabili misure di desensibilizzazione (più cicli in cui viene iniettato una certa quantità di veleno purificato). In più è utile che, durante escursioni in cui potrebbero venire a contatto con tali insetti, portino con sé i farmaci per un intervento tempestivo (adrenalina, corticoidi).
Un altro problema che può insorgere in seguito a punture di imenotteri è l’artropatia (in genere colpisce gli apicoltori che vanno incontro più facilmente a questo tipo di incidente, soprattutto alle mani). Si manifesta con intenso dolore, edema, eritema nella sede di puntura: la flogosi articolare può manifestarsi 8-10 ore dopo la puntura o comparire a distanza di giorni. La funzione articolare resta compromessa per 14-21 giorni. Non è ben chiaro il meccanismo di patogenesi. Forse entrano in gioco corpi estranei introdotti con la puntura o anche infezioni batteriche dovute alla stessa (spesso nel liquido sinoviale è stato isolato P. aeruginosa).

TERAPIA

Trattamento delle reazioni acute

Le reazioni locali alle punture di insetto sono abitualmente trattate con impacchi freddi, antistaminici per uso orale, analgesici e cortocosteroidi ad uso topico, al fine di alleviare sintomi quali prurito, dolore localizzato e gonfiore. Una breve cura con corticosteroidi ad uso orale può essere utile nel caso di reazioni locali molto estese ed è più efficace nelle prime ore dopo la puntura.
Talvolta, reazioni locali molto estese possono venir confuse per celluliti: quando tali reazioni si manifestano 24 o 48 ore dopo la puntura, l’infezione è improbabile, e il trattamento più adatto prevede impacchi freddi e somministrazione di corticosteroidi per 4 o 5 giorni.

Trattamento delle reazioni sistemiche

Le reazioni sistemiche lievi si manifestano solo con sintomi cutanei e rispondono bene agli antistaminici. Più reazioni sistemiche, tuttavia, richiedono trattamento con epinefrina.
Pazienti con segni e sintomi di ostruzione delle alte o basse vie aeree o di ipotensione devono essere immediatamente trattati con epinefrina intramuscolare, ricevere con urgenza cure mediche e adeguati trattamenti, e vanno tenuti in osservazione per almeno 4 ore a seconda della gravità della reazione. Alcuni pazienti possono aver bisogno di un’ulteriore dose di epinefrina o di altri trattamenti per gravi reazioni anafilattiche. Un ritardo nella somministrazione di epinefrina può avere esito fatale; alcuni pazienti, inoltre, sono resistenti all’epinefrina (ad esempio quelli che assumono beta bloccanti) e possono richiedere grandi quantità di fluidi intravena e di glucagone per far regredire l’anafilassi.



COMPOSIZIONE DEL VELENO
COMPOSIZIONE DEL VELENO DELLE VESPE
COMPOSIZIONE DEL VELENO DELLE API
SOSTANZE A BASSO PESO MOLECOLARE
SOSTANZE A BASSO PESO MOLECOLARE
Istamina
Istamina
Tiramina
Dopamina
Dopamina
Norepinefrina
Epinefrina
Amino acidi
Norepinefrina
Oligopeptidi
Serotonina
Fosfolipidi
Acetilcolina
Carboidrati
Putrescina
Spermidina
Spermina


PEPTIDI
PEPTIDI
Chinine
Mellittina
Mastoporani
Apamina
Peptide chemiotattico
Peptide 401 degranulante le mast-cellule
Secapina
Tertiapina
Inibitore delle proteasi
Procamina A e B


SOSTANZE AD ALTO PESO MOLECOLARE
SOSTANZE AD ALTO PESO MOLECOLARE
Fosfolipasi A e B
Fosfolipasi A e B
Ialuronidasi
Ialuronidasi
Fosfatasi acida
Fosfomonoesterasi acida
Fosfatasi alcalina
a-D-Glucosidasi
Proteasi
DNAasi
Colinesterasi
Istidindecarbossilasi
"Antigene 5"
"Vmac 1"
"Vmac 3"




FIGURA 1 : Numero di punture mortali.
% dei casi di morte


Numero di punture
Colonna 1 : 1 sola puntura
Colonna 2 : da 2 a 50 punture
Colonna 3 : più di 50 punture

FIGURA 2 : Intervallo di tempo intercorso dalla puntura al decesso.
% di casi di morte


Tempo intercorso fra la puntura e il decesso ( ore )
Colonna 1 : fino ad 1 ora
Colonna 2 : da 1 a 24 ore
Colonna 3 : più di 24 ore

FIGURA 3 : Età delle vittime
 % dei casi di morte


Età delle vittime ( anni )
Colonna 1 : da 1 a 19 anni
Colonna 2 : da 20 a 39 anni
Colonna 3 : più di 40 anni

FIGURA 4 : Regione del corpo ove è stata inflitta la puntura.
%di punture

Regione del corpo
Colonna 1 : testa
Colonna 2 : collo
Colonna 3 e 4 : estremità

Differenze tra API e VESPE





Le api pungono una volta sola (dopodichè muoiono).

Le vespe possono pungere quante volte vogliono.

I bombi sono poco aggressivi; le regine e le operaie sono in grado però di pungere e, a differenza delle api comuni, sono dotate di un pungiglione privo di seghettatura, che gli permette di pungere anche più di una volta.


Il calabrone (vespa crabro) è generalmente poco aggressivo, tendenzialmente indifferente nei confronti dell’uomo (non cominciano a ronzare attorno alle persone come la vespa comune); tuttavia tendono a diventare molto aggressivi se disturbati o in prossimità del nido.
Le punture possono essere molto dolorose.